Parola di Re
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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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KISS me: la comunicazione verbale e non-verbale di Trump, oltre i luoghi comuni
di Davide Simone
Informale e shockante, pirotecnica e sorprendente, la comunicazione di Donald Trump non è mai improvvisata, tantomeno la conseguenza di una mente borderline. Al contrario, risponde a indirizzi ben precisi, spesso legati alla "teoria dl dominio" e alla "teoria dei giochi". Nulla, insomma, è lasciato al caso, dai gesti alle parole, dai post sui social alle espressioni del viso.
Vediamone, adesso, alcuni passaggi fondamentali
La comunicazione "verbale" e la comunicazione "mediatica":
-l'uso di terminologie semplici e in coppie antinomiche (vincente/perdente, buono/cattivo, sveglio/addormentato, ecc)
-l'uso del "caps lock"
-l'uso della punteggiatura enfafica (punti esclamativi, interrogativi, puntini di sospensione)
-l'uso del "present continuous" (ambivalente e generico, quindi duttile)
-l'uso dei superlativi e degli accrescitivi
Tutti questi accorgimenti rientrano nel cosiddetto "KISS" (Keep it simple and stupid), ovvero una strategia per semplificare il discorso, renderlo accessibile alle masse e coinvolgente, facendo leva sull'emotività
La comunicazione non-verbale:
-Trump stringe la mano stando a destra dell'altra persona, apparendo così (anche in virtù della sua altezza e della sua stazza), in una dinamica dall'alto verso il basso, ossia di dominio
-durante la stretta di mano, Trump dà spesso una pacca all'interlocutore, come a mostrare di essere lui il padrone di casa, cioè ancora una volta in una situazione di vantaggio e supremazia
-durante la stretta di mano, Trump tira spesso a sé l'interlocutore, anche qui per sottolineare una posizione di controllo e dominio
-Trump usa le mani come simbolo di virilità. Non manca infatti di decantarne le lodi, definendole grandi e belle. Del suo stesso cervello ribadisce, metaforicamente, le dimensioni, definendolo "grande"
-stando seduto, Trump tiene il busto eretto ("postura di forza") e le mani a guglia. Usata quando ascolta, la scelta delle mani a guglia serve a far vedere di essere lui, ancora una volta, a controllare la situazione, ma qui in un contesto rilassato, come fosse un maestro saggio che lascia parlare i discepoli per poi giudicare quello che hanno detto
-il dito indice puntato, come per impartire ordini e indicare la strada. Con il palmo verso il basso evoca il codice cavalleresco, per la precisione la stoccata, e quindi la sottomissione dell'altro. La cosa è ancor di più enfatizzata quando Trump serra le dita nella morsa della mano, facendo "uscire" solo l'indice
-sia in piedi che da seduto, lo abbiamo accennato, Trump cerca una "postura di forza", anch'essa mutuata dal mondo miliare. In piedi, la schiena è dritta e rigida, le mani lungo i fianchi, senza cedimenti. Seduto, è sempre dritta e le gambe, pur flesse, restano in asse rispetto al resto del corpo. Non le accavalla, non le muove.
-nei momenti di difficoltà, da seduto, Trump assume una posa con le braccia conserte. La schiena è sempre dritta, le braccia davanti al busto, incrociate in modo rigido, le mani che scompaiono evidenziando gli avambracci, il mento alto e un sorriso accennato. Difende e contrattacca.
Secondo i giornalisti e politologi Peter Oborne e Tom Roberts, autori del saggio "How Trump Thinks: His Tweets and the Birth of a New Political Language", la punteggiatura di Trump avrebbe questi significati:
-virgolette = cinismo
-più punti interrogativi = incredulità
più punti esclamativi = incredulità estrema
Caps lock = collera
Il sistema linguistico-verbale, ricordiamolo, incide solo per il 10% nella comunicazione umana
Riferimenti bibliografici: Fabio Di Nicola, "Il marketing della paura. Donald Trump e il codice della comunicazione politica"; Bérengère Viennot, "La lingua di Trump"
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Tessera Unione Monarchica Italiana 2021
Si è aperta la campagna tesseramento U.M.I. per l'anno 2021. Un piccolo gesto concreto per sostenere la nostra associazione e contribuire alla realizzazione delle attività monarchiche.
La forza dell'Unione Monarchica Italiana è costituita dai Club Reali presenti in tutta Italia e, per la prima volta, anche in regioni storicamente repubblicane, quali l'Emilia Romagna, l'Umbria, la Liguria, la Toscana, e le Marche. E' in atto un sensibile ringiovanimento degli iscritti. Sono i giovani che diventano monarchici non per nostalgia di un passato che non hanno conosciuto, ma per aver visto i risultati della Repubblica. Repubblica, che da almeno trent'anni, ha visto molti dei suoi presidenti contestati, da Segni a Leone, da Cossiga a Scalfaro, da Napolitano a Mattarella...
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L'opinione di Giuseppe Borgioli
COMITATI DI AFFARI
di Giuseppe Borgioli
Le elezioni americane hanno incoronato Joe Biden, con il presidente uscente Donald Trump che chiede il riconteggio dei voti negli stati dati sino ieri in bilico dove il voto per posta è stato massiccio, sopra ogni previsione. Questa storia del voto per posta meriterebbe un discorso a parte. Come la più grande democrazia globale abbia istituzioni arcaiche. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti uno dei due candidati non riconosce la vittoria dell’altro. Due coinquilini alla casa Bianca sono troppi. È fuor di dubbio che Trump si sia trovato contro tutto l’establishment americano dalla finanza ai giornali, alle televisioni, all’industria, ai rappresentanti del partito repubblicano già emarginati dal nuovo indirizzo politico.Joe Biden è un moderato per definizione e vocazione. È il “Forlani” in versione nord-americana che ha ricoperto questo ruolo alla vice presidenza di Obama e che in molte occasioni della sua lunga carriera politica ha dato prova di duttilità e di capacità di adattamento alle situazioni. È il presidente delle contrattazioni con un curriculum degno del rispetto di tutti. È una tazza di rassicurante di camomilla dopo la scossa di Trump. Serve questo agli Americani? Serve questo uomo all’Occidente malato e al mondo? È troppo presto per dare pareri. Il mondo è sempre più tripolare. Insieme agli Stati Uniti, Cina e Unione Sovietica avanzano le loro candidature alla leadership globale. L’Europa è solo una comparsa che ha un vocabolario di buone parole ma non ha risorse per farle valere. Su questo mondo turbolento innumerevoli guerre locali o regionali innestano conflitti tradizionali.La quasi vittoria di Joe Biden ha un antefatto che non si può ignorare. Il vice presidente di Obama è stato prescelto per far fuori Trump. È una specie di “comitato di affari” i Clinton, lo stesso Bush, altri esponenti repubblicani della vecchia guardia hanno valutato il presidente Trump troppo ingombrante per muoversi in un salotto di porcellane come il mondo di oggi. Meglio Biden con il suo passo felpato, con il suo agire sotto traccia, con la sua prudenza diplomatica. Il capitale finanziario e industriale ha bisogno di questo. Basta risse. Wall Street ha capito che Trump non poteva più essere il candidato ad hoc. Così il povero Joe Biden è diventato un giocattolo nelle mani nella mai di soggetti estranei alla stessa dialettica politica. In America è cambiato poco, si è tornati ai vecchi modi gentili, alle alleanze tradizionali, alle rassicurazioni dei sorrisi e delle strette di mano che fanno prevalere il buon senso. La Cina che sembra diventare una falsa incognita della politica americana di Biden è pur sempre il maggior acquirente del debito pubblico americano. In più la Cina ha bisogno della tecnologia americana, soprattutto militare. Non si è una potenza globale con un parco risibile di porta aerei. Anche la Cina con il suo monoteismo politico è un gigante dai piedi di argilla. Alta ricerca in laboratori sofisticati da cui può uscire il virus della pandemia. Che è quasi peggio di una guerra batteriologica dichiarata in anticipo.
4 novembre le Forze Armate, il Popolo e la Patria
di Salvatore Sfrecola
(tratto da: www.unsognoitaliano.eu)
Il giorno nel quale si festeggiano insieme l’Unità d’Italia e le Forze Armate suggerisce alcune considerazioni di fondo. La data è quella della conclusione della Prima Guerra Mondiale, per gli italiani la “Grande Guerra” (1915-1918), quella che ha completato l’unità nazionale, come l’avevano immaginata ed auspicata le migliori menti del Risorgimento, con Trieste e Trento annessi alla Madrepatria. Fu subito festa delle Forze Armate, festa di popolo perché i soldati i armi che hanno combattuto quella guerra erano italiani che, per la prima volta, combattevano fianco a fianco, dopo che per secoli “calpesti, derisi” avevano combattuto tra loro agli ordini di ottusi signorotti e capitani del popolo, in realtà per gli interessi di potenze straniere, così mortificando il senso di appartenenza. È facile cadere nella retorica nel ricordare quegli eventi, tra squilli di tromba, canti popolari e sventolio di bandiere, nel risentire il Bollettino della Vittoria diramato dal Comando Supremo alle 12.00 di quel 4 novembre 1918: La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta. E poi la descrizione della travolgente avanzata delle nostre armate. Fu davvero una guerra di popolo. E se l’Esercito, magna pars in quella guerra che giorno dopo giorno andava configurandosi come tutta diversa da quelle che avevamo conosciuto nell’800, evoca il popolo, questo, a sua volta, evoca la Patria, la terra dei padri. Un po’ di retorica, a volte, non guasta, dà corpo, esalta gli ideali più razionali, quelli messi a punto con il concorso di filosofi, politologi, storici. Questo spirito di condivisione dei valori comuni, anche nella distinzione delle scelte politiche, ha un grande valore, favorisce l’abbandono degli egoismi di parte in funzione del perseguimento degli interessi comunitari specialmente nei momenti di emergenza, come nel caso presente, nel quale una diffusa infezione virale esige misure drastiche di limitazione delle libertà individuali, anche di lavoro ed economiche, ma nella prospettiva del superamento dell’emergenza e della ripresa economica e sociale. Se questo è vero, se Forze Armate sono il popolo in divisa e se il popolo è Patria è stato un grave errore l’aver soppresso questa festa significativa che non ha mai avuto un sapore nostalgico del nazionalismo aggressivo. I cittadini, soprattutto i ragazzi, che visitavano negli anni scorsi le caserme, le base navali e aeroportuali erano affascinati da carri armati, incrociatori, aerei ed elicotteri ma non esaltavano la guerra che, sappiamo, “l’Italia ripudia… come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” . Anche perché vedevano nelle Forze Armate quelle strutture dello Stato efficienti che aiutavano i terremotati e gli alluvionati ed oggi, nella condizione di lotta al virus, sarebbero chiamati ad ammirare, sia pure a distanza di sicurezza, alcune delle tante strutture allestite dalla Sanità Militare, compreso l’Ospedale degli Alpini e capire che le Forze Armate sono lo Stato e la Patria. Il 4 novembre è una festività soppressa, nonostante il suo significato unificante e non divisivo, e qui emerge la modestia culturale della classe politica, tutta a partire dal 1946, la quale non si considera erede del movimento nazionale che ha unificato l’Italia ad opera di uomini di straordinario impegno politico e non riesce a percepire il valore democratico del popolo in divisa. È una grave mancanza di valori identitari che darebbero ai giovani il senso di un impegno nella società, professionale e politico, nel senso più nobile di un servizio alla comunità. Del resto la scuola, dove si coltivano cultura e insegnamenti professionali, è la cenerentola nel bilancio dello Stato, da anni.Quanti errori hanno commesso i nostri politici, soprattutto allontanando dalla vita pubblica coloro che avrebbero la possibilità di contribuire allo sviluppo della Nazione. Si sono erti in casta autoreferenziale per conquistare e mantenere il potere spesso lontano dalla gente comune della quale non comprendono i problemi, perché loro non ne hanno, non devono gestire attività imprenditoriali o commerciali bloccate mentre altrove, dalla Germania alla Francia agli Stati Uniti i loro colleghi continuano a produrre ed a commerciare, non devono preoccuparsi della clientela degli alberghi, dei ristoranti e dei bar che, privati dei turisti italiani e stranieri, stentano a sopravvivere. Non sentono il dolore delle famiglie, il disagio degli studenti e neppure colgono il pericolo di una protesta che dilaga e che potrebbe infiammare ancor di più le piazze delle nostre città. Sono lontani, non sanno e non studiano, come ha dimostrato il dibattito parlamentare alla Camera ed al Senato sulle dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Un senso di pena per la mancanza di idee per la ripetizione di slogan e luoghi comuni, mentre Giuseppe Conte affermava che le misure di contenimento per gli anziani erano preordinate a metterli al riparo dal contagio, gli anziani che sono stati “protagonisti della ricostruzione e del miracolo economico”. Non sa far di conto il Premier Conte, quei protagonisti di un momento felice della nostra storia dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale operarono negli anni ‘50-’60. Ammesso che avessero tra i 40 e i 60 anni, oggi il più giovane ve avrebbe almeno 100!