Parola di Re
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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Santa Sofia torna moschea. Sullo sfondo un Islam aggressivo e intollerante
di Salvatore Sfrecola
( tratto da: https://www.unsognoitaliano.eu/)
Santa Sofia, basilica cristiana, completata a Costantinopoli con straordinario impegno dall’Imperatore Giustiniano, che, una volta terminati i lavori, esclamò: “Salomone, ti ho superato!” (Νενίκηκά σε Σολομών). Poi moschea, poi museo e ancora moschea dal 10 luglio 2020. Ἁγία Σοφία, dedicata alla Sophia, La sapienza di Dio, dal 537 al 1453 fu cattedrale cattolica di rito bizantino, sede del Patriarcato di Costantinopoli, poi ortodossa. Divenne moschea ottomana il 29 maggio 1453 a seguito della conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II, saccheggiata selvaggiamente con distruzione di molti edifici sacri e imperiali, compresa la Basilica alla ricerca di ricchezze che non fossero le straordinarie decorazioni. Rimase moschea fino al 1931 quando fu sconsacrata per divenire dal 1° febbraio 1935 un museo per iniziativa del primo Presidente della repubblica turca dopo la fine dell’Impero Ottomano, Mustafa Kemal Atatürk, una scelta che l’attuale Presidente Recep Tayyip Erdogăn riteneva da tempo fosse stato “un errore molto grande”. Nel 2006, dopo la prima visita di Papa Benedetto XVI, il governo turco decise di destinare una piccola stanza del complesso museale a luogo di preghiera per tutte le religioni, decisione subito contrastata dalle associazioni islamiche e da membri del governo turco i quali chiedevano che l’edificio fosse dedicato esclusivamente al culto islamico. Dal 2013, dai minareti il muezzin canta l’invito alla preghiera due volte al giorno, nel pomeriggio. Torna, dunque, moschea per decreto del 10 luglio 2020 emanato dal Presidente Erdogăn che il successivo 24 luglio ha partecipato alla prima preghiera pubblica islamica. Già il 31 marzo 2018 Erdogăn aveva recitato il primo versetto del Corano nella Basilica di Santa Sofia, dedicandola a “coloro che hanno contribuito a costruirla ma in modo particolare a chi la ha conquistata”. Queste parole danno dimostrazione dello spirito che anima il mondo islamico, da sempre intollerante nei confronti dei vari culti al punto che anche i cittadini non di religione islamica sono spesso discriminati all’interno degli ordinamenti statali. È, dunque, fuori luogo il dolore di molti cristiani, compreso Papa Francesco. Credo che sia un errore di valutazione storico politica. La basilica era diventata moschea a seguito della conquista di Costantinopoli. In quella data la Cristianità ha perduto quello straordinario luogo di culto. Un gesto di intolleranza religiosa che è una costante nel mondo islamico sicché, anche laddove sopravvivono vecchi luoghi di culto le comunità soffrono per le restrizioni cui i sacerdoti ed i fedeli sono sottoposti. Quindi non c’è niente di nuovo. Il commento della vicenda del ritorno di Santa Sofia al ruolo di moschea più che suscitare dolore deve portare alla consapevolezza che gli islamici sono intolleranti e aggressivi in quanto la religione permea di sé anche la vita civile di quelle comunità. È questo che va tenuto presente quando apriamo le porte agli islamici. La regola della civiltà è la tolleranza e la reciprocità. Se tu non mi consenti di costruire una chiesa nello stato di provenienza, io non ti consento di costruire una moschea qui da noi. È chiaro che la politica non si fa influenzare dalle istanze religiose, ma la considerazione della diversa mentalità di queste popolazioni chiarisce una cosa in modo inequivocabile, che non si possono integrare in una comunità la quale da sempre, dai tempi dell’antica Roma, è stata sempre aperta nei confronti dei culti qualunque realtà culturale esprimessero. Lo tengano bene a mente i fautori dello ius culturae. Non basta studiare in una scuola italiana per dirsi “italiani a tutti gli effetti”, come ama ripetere Marco Damilano. Le ragazze islamiche di una scuola italiana che non si sono alzate in piedi per commemorare le loro coetanee morte nell’attentato al Bataclan dimostrano che l’integrazione comporta un idem sentire di valori che la civiltà cristiana, sulle orme della romanità, ha sparso a piene mani nel mondo occidentale. Chi non condivide è solamente un ospite. E chi non vede queste differenze è politicamente miope.
A margine di alcune polemiche sulla nomina del nuovo Presidente della Corte dei conti. Ma la giurisdizione contabile non si tocca!
di Salvatore Sfrecola
( tratto da:https://www.unsognoitaliano.eu)
“In rivolta la Corte dei conti” scrive Luigi Bisignani su “Il Tempo”, nel dar conto di alcune polemiche sorte a seguito della “rosa” (la terna) con la quale il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, l’Organo di autogoverno della Magistratura contabile, nell’ultima seduta prima delle ferie (il 29 luglio) ha risposto alla richiesta della Presidenza del Consiglio che la chiedeva ai fini della nomina, che spetta al Governo, del nuovo Presidente della Corte dei conti in sostituzione di Angelo Buscema, eletto Giudice della Corte costituzionale. Non parlerò dei candidati e di quelli che sono rimasti fuori della “rosa” e che, con varie motivazioni, sono insoddisfatti e protestano, come l’Associazione Magistrati che ha indirizzato le sue doglianze al Presidente della Repubblica ed al Presidente del Consiglio. Non ne scrivo perché conosco e stimo tutti gli interessati alla complessa vicenda, miei colleghi negli anni nei quali ho svolto funzioni di magistrato della Corte. Non ne scrivo anche perché sono stato, per due volte, Presidente dell’Associazione Magistrati nel periodo più difficile, quando abbiamo dovuto chiedere al potere politico che il Presidente della Corte fosse scelto tra i magistrati contabili, dopo il pensionamento di Giuseppe Carbone, magistrato del Consiglio di Stato messo a capo del giudici contabili non essendo stato confermato da Francesco Cossiga nel ruolo di Consigliere giuridico che aveva ricoperto con Sandro Pertini al Quirinale. Ottenemmo che il Presidente della Corte fosse scelto al nostro interno. Lo avevamo chiesto al Presidente del Consiglio Romano Prodi. Il Vicepresidente, Sergio Mattarella, all’ingresso in Consiglio dei ministri, mi anticipò la proposta di nomina di Francesco Sernia. Poi venne la legge, che l’Associazione aveva suggerito all’On. Franco Frattini, all’epoca parlamentare di Forza Italia, che ricalcava quella già esistente per il Consiglio di Stato. E così, di Presidente in Presidente la nomina è stata decisa dal Consiglio dei ministri, “sentito il Consiglio di Presidenza”. Era evidente il carattere consultivo del ruolo dell’Organo di autogoverno, ma fu sempre intesa come una “designazione”. Palazzo Chigi chiedeva un nome e i Consigli di Presidenza della Corte e del Consiglio di Stato rispondevano con una indicazione secca. Poi venne Giuliano Amato che, da Presidente del Consiglio, anticipò al Presidente anziano facente funzioni, Vincenzo Bisogno, che avrebbe proposto al Consiglio dei ministri la nomina di Francesco Staderini. Il Consiglio di Presidenza accettò lo scavalcamento di altri Presidenti di sezione. Infine è passata l’ipotesi della “rosa” divenuta cinquina per il Consiglio di Stato. E fu Alessandro Pajno. Non faccio questione di nomi, ovviamente. Per la Corte dei conti parliamo di magistrati al vertice della carriera spesso con variegate esperienze, nel controllo e nella giurisdizione. In altra occasione mi soffermerò sulla formazione del ruolo e sulla progressione nella carriera. Ma è questione de futuro. Chiudo con una considerazione che ritengo importante. Sostiene Bisignani a proposito di Aldo Carosi, Presidente di Sezione, attualmente Vicepresidente della Corte costituzionale che lascerà a breve, e pertanto si è fatto il suo nome come Presidente della Corte dei conti, che egli “ritiene che la Corte debba diventare un’autorità di controllo, senza alcuna funzione giurisdizionale”. Può darsi che sia stato distratto e non mi sia accorto che Carosi ritiene questo. Magistrato che stimo moltissimo, che ho concorso con il mio gruppo associativo all’elezione quale giudice costituzionale nel ballottaggio nel quale era concorrente di Eugenio Francesco Schlitzer, ha una grande esperienza nel controllo che, alla Consulta, ha valorizzato molto riconoscendo il ruolo e la funzione dei bilanci pubblici in rapporto al diritto dei cittadini. Ma questo non esclude – e non credo lo escluda Carosi – il ruolo della giurisdizione, la quale nasce nei secoli passati come espressione di un controllo di legittimità sui conti, un ruolo che la Corte in molte realtà ha trascurato e che dovrà riprendere con decisione anche a seguito della soppressione della “colpa grave” come requisito minimo per l’affermazione della responsabilità per danno erariale. Una scelta che dimostra quanta ignoranza e quanto pressappochismo guidi le scelte di Palazzo Chigi che sembra abbia tratto spunto da inchieste e sentenze non gradite che avrebbero indotto il timore della firma in alcuni funzionari pubblici, trascurando che si tratta evidentemente di incapaci. È il senso dello Stato che alberga in questo governo ed in questa maggioranza? Forse che è mancato coordinamento all’interno della Corte? Ed è questa la risposta? Comunque la giurisdizione contabile non si tocca, non solo perché sta scritta in Costituzione all’art. 103, comma 2, ma perché è funzionale ad una corretta gestione del pubblico denaro. E comunque alla Corte ci sono magistrati perché alcuni indossano la toga.
L'opinione di Giuseppe Borgioli
COLPO DI STATO ALLA AMATRICIANA
di Giuseppe Borgioli
Il governo presieduto da Giuseppe Conte ha fatto votare il parlamento per la proroga dell’emergenza COVID al 15 di ottobre prossimo. Perché proprio il 15 di ottobre e non il 17 o il 18 non è dato saperlo! Sappiamo che questa data è il frutto di un compromesso, in barba ai costituzionalisti, che come il professor Michele Ainis hanno trovato il coraggio di far osservare che in base alle regole dell’ordinamento repubblicano questa disposizione non aveva alcuna giustificazione. L’unico risultato - non è sfuggito agli Italiani - è che il governo (e le forze politiche che lo costituiscono) si riservano le mani le mani libere per fare e disfare (e spendere) senza controlli di fatto. Altro che pieni poteri…Saremmo curiosi di sapere se il presidente del consiglio, fine giurista (non sappiamo se questo è motivo di compiacimento o di timore), possa segnalare ai suoi alunni qualche precedente storico. Noi ne abbiamo in mente qualcuno e i nomi non fanno certamente onore alle pretese democratiche dei partiti che hanno votato per questa soluzione. Il parlamento, meglio la maggioranza, che attualmente lo domina, non ha scritto una pagina esaltante. È un vulnus alla democrazia e all’istituto parlamentare. A suo confronto la votazione sulla plausibilità di una simpatica signorina marocchina di essere considerata la nipote di Mubarak è quasi una trovata goliardica. Come può una compagine governativa cadere così in basso? Caligola che nominò senatore il suo cavallo, in un’ottica animalista, ci sembra quasi più apprezzabile. Tempo fa, Gian Paolo Pansa, maestro di paradossi, si ritrovò a riflettere sulla fenomenologia del moderno colpo di stato. Ammettiamolo, abbiamo peccato allora di ingenuità. Al potere, in specie repubblicano, basta poco per cambiare le regole della democrazia. Ego baptizo piscem disse l’ecclesiastico che voleva sottrarsi al divieto della carne nel tempo di quaresima. Come scandalizzarsi se persino il presidente Trump accenna a rinviare le elezioni presidenziali americane. Quando non c’è l’ancoraggio della tradizione, con la T maiuscola, le regole istituzionali stanno strette a tutti. Le regole per i competitori si applicano, per i sodali si interpretano. Il potere tende a fagocitare le garanzie e la resistenza opposta dalle leggi si sbriciola. Sulla pandemia e sul suo uso politico, Giorgio Agaben, uno dei più fini intellettuali italiani, conosciuto per sua militanza a sinistra ha scritto in questi giorni pagine illuminanti proprio sulla libertà, parola desueta in tempo di paura. Vorremmo tranquillizzare il presidente della repubblica sulla libertà di contagiare che mi pare in Italia nessuno assuma coma bandiera. Saremmo più pacificati con noi stessi e le nostre coscienze, se fossimo guidati da reggitori della cosa pubblica altrettanto premurosi e preoccupati per la libertà.
Manca personale nelle Conservatorie dei registri immobiliari. Attenzione ai dati identificativi dell’immobile che acquistate. Potrebbero non essere aggiornati
di Salvatore Sfrecola
Chiunque si reca da un notaio per stipulare un contratto di acquisto di un immobile sa che i dati identificativi, desunti dalla Conservatoria dei registri immobiliari, inseriti nel rogito, devono essere precisi e soprattutto aggiornati, a garanzia del diritto di proprietà che si acquisisce.Senonché, negli ultimi tempi viene segnalato, in alcune realtà, un ridotto funzionamento del Servizio di Pubblicità Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, la cui efficienza è data dalla tempestività dell’aggiornamento dei registri immobiliari, che deve essere assicurata quotidianamente, secondo l’ordine delle note presentate per “trascrizione per iscrizione o per annotazioni” (art. 2678 c.c.), come è avvenuto, senza soluzione di continuità ed “in presenza”, anche durante la fase, anche più acuta, di emergenza del COVID-19. Infatti, l’aggiornamento dei registri immobiliari dà certezza ai diritti nel tempo, secondo un antico principio prior tempore potior in iure, cioè primo nel tempo, primo nel diritto. Con la conseguenza che il compratore deve essere certo che non vi sono altri titoli, “trascrizioni, iscrizioni o annotazioni”, relativi all’immobile, che possano pregiudicare il proprio diritto, magari perché rimasti in sospeso il giorno prima e definiti successivamente, ma in tempi anteriori alla trascrizione del contratto. È per questo motivo che gli adempimenti cui è tenuto il Conservatore dei registri immobiliari non sono differibili, né nella fase allo sportello (front office), nella quale l’Ufficio riceve quotidianamente le richieste di trascrizione e di iscrizione, né nella successiva fase di esame e di valutazione di competenza del Conservatore, ai fini della registrazione di dette formalità (back office), adempimenti che si devono concludere “in giornata”, ciò che pone molto spesso il Conservatore nella difficile posizione di dover assumere una decisione di elevata responsabilità in tempi brevissimi (si pensi all’ipotesi dell’iscrizione di un’ipoteca giudiziale di milioni di euro oppure alla trascrizione di una domanda giudiziale non facilmente inquadrabile tra quelle previste dagli artt. 2652 e 2653 cod. civ.). Ha fatto bene, dunque, il legislatore del 1985 a prevedere che “qualora emergano gravi e fondati dubbi sulla trascrivibilità di un atto o sulla iscrivibilità di una ipoteca, il conservatore, su istanza della parte richiedente, esegue la formalità con riserva” ex art. 2674-bis c.c. È chiaro che per svolgere le attività descritte nei tempi prescritti, le quali solo in parte possono essere svolte da remoto, è necessario l’impegno di un congruo numero di addetti. Cosa che negli ultimi tempi non è stata sempre possibile assicurare nei tempi dovuti (“il registro, alla fine di ciascun giorno, deve essere chiuso… e firmato dal conservatore”, come si legge nell’art. 2680 c.c.). Occorre personale anche per il settore della consultazione dei registri immobiliari. Tale attività può avvenire nella forma più semplice, costituita dalle ispezioni sui registri immobiliari, tesa sia all’esame gratuito della propria posizione immobiliare sia di quella altrui (a pagamento) e sul registro delle comunicazioni di avvenuta estinzione delle obbligazioni, oppure nella forma della certificazione ipotecaria che rilascia il Conservatore nella sua qualità di depositario di pubblici atti a seguito della medesima ispezione, stavolta compiuta dal personale addetto al servizio, oltre che al rilascio delle copie di note e titoli in possesso dell’Ufficio sempre nella veste di pubblico depositario e nei limiti di cui all’art. 2673 c.c.. Se però, per le ispezioni, tale operazione può anche svolgersi in pochi minuti come nel caso di quella riguardante un nominativo per il solo periodo informatizzato o per il registro delle comunicazioni, i tempi possono dilatarsi sensibilmente (fino a diversi giorni) nel caso di certificazioni complesse riguardanti soggetti ed immobili ricadenti, in tutto o in parte, nei periodi non informatizzati e quindi da ricercare ed esaminare con documenti cartacei, quali rubriche dei cognomi, tavole, repertori, ecc… senza considerare la difficoltà di reperire tali documenti, spesso ubicati in edifici e/o sedi diversi. Infine, a sottolineare l’esigenza di una adeguata provvista di personale, va ricordato che l’eventuale errore del Conservatore determina un fatto compiuto, secondo il principio che quel fatto non può considerarsi come non avvenuto (factum infectum fieri nequit, espressione passata al diritto dalle commedie di Plauto) sicché per i danni eventualmente subiti dal terzo lo Stato è chiamato al risarcimento. Insomma, sarebbe il caso che il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate si dessero carico di porre rimedio alle disfunzioni qua e là emerse in un servizio di rilevante interesse pubblico.