Comportarsi da Re

di Giuseppe Borgioli

Mentre le nostre cronache politiche sono affastellate dai consueti capricci dei partiti sempre più litigiosi e insensibili alla eredità morale e storica che ci ha lasciato la Monarchia, le atre nazioni nostre vicine di casa ci danno delle lezioni di comportamento che noi stentiamo a far nostre.

Si tratta di piccoli fatti tratti dalla cronaca che assumono un valore paradigmatico su cui possiamo riflettere.

Un amico francese mi ha detto che il premier russo Putin è ospite per le vacanze del presidente della repubblica francese Macron in una sua villa nella Costa Azzurra.

Credo che nessun francese si scandalizzi a questa notizia e che la veda come un segnale positivo. Fra i doveri di un capo dello stato c’è anche quello di ospitalità verso il collega straniero.

Cosa accadrebbe in Italia se presidente Mattarella assecondasse questo costume? A parte la curiosa disposizione di uomini politici e giornalisti che sfidando il ridicolo si sono scoperti improvvisamente filo americani e anti russi. Persino coloro che provengono dalle fila del PCI o della variopinta sinistra si dolgono che settori della destra e l’immancabile Salvini non siano sufficientemente filo atlantici, si preoccupano per la stabilità della NATO, non parlano più delle vituperate basi militari.

Ospitare capi di stato stranieri, alleati o amici, è compito di un buon Sovrano e i Re hanno sempre saputo coniugare la politica estera con i rapporti personali e dinastici.

Il pensiero dolente va alla tenuta di San Rossore che è sempre stata un fiore all’occhiello dei Savoia. Ciò che è diventata sotto la repubblica forse un giorno sarà scritto sui libri di storia. Vorremmo ricordare al presidente Mattarella che la democrazia non consiste nell’aprire San Rossore alle scolaresche o ai gitanti. E’ una falsa democrazia, è demagogia.

Sappiamo bene che il presidente Mattarella in questi giorni ha altro per la testa. Ripensare a San Rossore e al suo splendore vuol dire guardare il futuro con un occhio diverso

   

Il fascismo di Casa Pound

di Giuseppe Borgioli

È da mesi che giornali e televisioni, agenzie italiane e straniere ci martellano sul cosiddetto “fascismo di Casa Pound”, il fascismo del terzo millennio secondo una auto confessione.

Francamente pensavamo che dopo la storiografia di Renzo De Felice e degli altri autori anche di sinistra tutti avessero capito che il fascismo storico, quello di Mussolini per intenderci, è nel bene o nel male un fenomeno irripetibile. Infatti, i militanti di Casa Pound si autodefiniscono “fascisti del terzo millennio” per marcare la loro originalità e distanza rispetto il fascismo del XX secolo. È una definizione che sa più di utopia che di rievocazione storica.

Il fascismo, sia quello diciannovista delle origini, sia il regime consolidato e sia l’estremo sussulto repubblichino resta una ideologia del Novecento consegnata al giudizio della storia.

Dietro questa adesione di sapore ideologico c’è la rabbia (in parte giustificata) di chi vede calpestati ogni giorno le attese della povera gente, di chi vede nella modernità il tentativo di omologare tutto e tutti, di chi avverte sulla propria pelle la globalizzazione come la forma più avanzata di totalitarismo.

Ma il fascismo è pur sempre una ideologia modernista, una rivoluzione anzi la rivoluzione del Novecento. E Mussolini si era abbeverato alla fonte del pensiero rivoluzionario e postrivoluzionario soprattutto francese. Faceva onore al nome Benito, come Benito Juarez il rivoluzionario messicano-

Quando scoppiano le bagarre fra i militanti di Casa Pound e i centri sociali, la sinistra parteggia per questi ultimi senza rendersi conte conto che si tratta di liti (violente) fra consanguinei.

La Monarchia è un’altra cosa. Non è un’ideologia. È un principio dell’organizzazione della società e degli stati.

Non avrebbe senso parlare della “Monarchia del terzo millennio”.

In una antica leggenda il tempo bussò alle porte dei potenti che gli aprirono intimoriti.

Bussò anche alle porte del Re che non gli aprì perché – disse - io appartengo alla storia.

     

  

Un popolo senza identità, una elite senza il senso dello Stato

di Giuseppe Borgioli

Ha ragione Giuseppe De Rita (La Repubblica 31 luglio) a dire che siamo un popolo senza identità perché ci rifiutiamo di conoscere la nostra storia e non coltiviamo la facoltà della memoria? Temiamo che sia proprio così. Questa anonimia è più grave della crisi economica e finanziaria perché ci inibisce in ogni sforzo comune, in ogni impresa (giusta o sbagliata) che presupponga il sacrificio di tutti, in ogni perseguimento di un traguardo da conquistare insieme.

De Rita dimentica un particolare non secondario: non abbiamo forse cancellato dal nostro dizionario la parola Patria? Non ci hanno forse insegnato i cattivi maestri a sostituirla con la parola paese? A quale paese apparteniamo? I lombardi o i veneti a sentire i loro governatori non appartengono allo stesso paese dei campani, dei pugliesi, dei calabresi.

Questo declino è casuale o ha che fare con le istituzioni che necessariamente si inverano nei simboli. Che cos’è il simbolo se non il legame di ciò che si vede con ciò che non si vede e che tiene unito un popolo?

Si dice spesso che nelle monarchie costituzionali il Re ha una funzione simbolica. Evviva quel simbolo che permette a un popolo di parlare la stessa lingua, di godere degli stessi successi, di patire gli stessi dolori. Funzione simbolica non significa funzione decorativa.

Lo stesso De Rita ha riaffermato spesso la necessità   di una Chiesa Cattolica adeguata ai tempi. Anche questo è vero, tanto più vero in una società secolarizzata che sembra aver perso la bussola del viaggio e si è smarrita.

Il Vaticano è un colle importante nella vita spirituale di Roma e dell’Italia.

Il suo dirimpettaio è il colle del Quirinale che ha bisogno di simbolo laico.

Se ha da esserci un Re in Vaticano, ci sia un Re anche al Quirinale.

Alla assenza di identità del popolo fa da pendant la mancanza di senso dello stato nella elite politica e civile.

L’accoppiamento di queste due mancanze genera il vuoto del nostro tempo.

 

Il Presidente Nazionale dell’U.M.I., Avv. Alessandro Sacchi, ha nominato Mario Pizzolorusso Commissario provinciale di Salerno della nostra Associazione. A Mario Pizzolorusso, storico iscritto dell’U.M.I. di Salerno, vanno i migliori auguri di buon lavoro.

  Mario Pizzolorusso, neo commissario provinciale di Salerno, mentre saluta S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia