( articolo pubblicato sul sito www.lanazione.it )

Arezzo, 28 maggio 2018 - Ci fosse stato lui al Quirinale, come pure accadeva per i suoi antenati, adesso Paolo Savona sarebbe ministro dell’economia e non saremmo di fronte a una crisi che ricomincia punto e a capo. Sì, ha le idee chiare Amedeo d’Aosta (anzi, «di Savoia», come dice lui) quando di domenica mattina alza il telefono e chiama La Nazione, il quotidiano che il Duca ha sempre detto essere un punto di riferimento per lui: «Dipendesse da me - spiega secco - io Savona lo nominerei subito».

Ohibò, che anche un rampollo di famiglia reale si sia convertito al populismo grillin-leghista? «Niente di più sbagliato - replica lui - non ho votato nè per la Lega nè per i Cinque Stelle. Ma mi pare giusto che adesso governino con gli uomini che si scelgono. Le elezioni le hanno vinte loro, per me è un problema di democrazia».

Ma come la mettiamo con le posizioni eterodosse di Savona che per Mattarella scatenerebbero una reazione degli altri paesi della Ue? «Non c’entra. Chi vince decide gli uomini che saranno al potere. Se no che si fanno a fare le elezioni?».

Amedeo si ferma qui. E’ una delle sue rarissime incursioni nel terreno politico-istituzionale dal quale si è sempre tenuto alla larga. Solo qualche volta, ai tempi della prima repubblica, si fece il suo nome come quello di un possibile candidato alle elezioni per i partiti di centro alleati della Dc. Non il partito repubblicano, ovviamente, che forse sarebbe stato un controsenso per uno che dopo tutto monarchico deve esserlo per definizione. Ma è appunto una delle poche eccezioni di un personaggio che di politica attiva non si è mai interessato.

Di lui semmai si è parlato per la contesa su chi sia il vero capo della casa reale e quindi il pretendente al trono. Ma nella spaccatura verticale col cugino Vittorio Emanuele lui ha sempre saggiamente detto che «prima bisognerebbe ci fosse un trono cui aspirare». Per il resto, il duca continua a dividersi fra la casa di Meliciano e Pantelleria, soddisfatto semmai di aver vinto finalmente la causa sul cognome Savoia con Vittorio Emanuele e il figlio.

Il blog di Paolo Gambi 

(fonte:http://blog.ilgiornale.it/gambi/?repeat=w3tc )

Cosa sarebbe successo se invece del presidente Mattarella ci fosse stato il Re?

Che è un po’ come chiedersi cosa sarebbe successo se la nuova Italia del Dopoguerra non fosse nata repubblicana grazie a strane macchinazioni e  probabili brogli, ma fosse rimasta monarchica.

Intanto il Re non avrebbe vissuto nessun complesso di inferiorità nei confronti dell’Unione Europea, considerando che ben 7 Paesi dell’attuale Unione Europea – tra i più importanti – hanno un Monarca: Gran Bretagna, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Spagna. E non se la passano così male. A questi si devono aggiungere anche Norvegia, Principato di Monaco, Andorra, Liechtenstein. E pure il Vaticano.

E tramite intrecci matrimoniali vari i Monarchi hanno sempre saputo tessere tele di straordinaria efficacia.

Poi di certo il Re non avrebbe avuto nessuno a cui render conto. Un Re non è eletto, né ricandidabile, non ha partito politico d’origine né di riferimento.

Un Re avrebbe sostenuto sempre e comunque gli interessi della Nazione ed avrebbe difeso e sostenuto la sua Democrazia.

Un Re (magari non fosse stato un Savoia) avrebbe ascoltato quelli che parlano italiano, non quelli che gridano in tedesco.

Ma in Italia ce ne freghiamo dei brogli, del vantaggio della Nazione e pure della Democrazia.

Per cui ci teniamo al Quirinale un presidente che fa ciò che Mattarella ha appena fatto.

E che per fare ciò ci costa circa 240 milioni di euro all'anno. Quando la Regina d’Inghilterra pesa sulle casse dello Stato appena 80 milioni di sterline. E le restituisce ampiamente in pubblicità al primo Royal wedding.

Chissà, magari Di Maio e Salvini se ne renderanno conto e invece di invocare l’impeachment abrogheranno l’articolo 139 della Costituzione.

di Daniele Capezzone

(dal sito: www.atlanticoquotidiano.it)

Ci sono monarchie che sanno creare unità e appartenenza molto più delle repubbliche dei partiti, delle istituzioni monopolizzate da uomini di fazione

Da giovane, in modo automatico e quasi inintenzionale, tendevo a immaginare le monarchie (tutte le monarchie) come fenomeni fuori dalla storia, impensabili, retaggi del passato. Ma come: un sovrano per diritto familiare e di sangue?

Certo, da anglofilo convinto, sapevo bene come alcune monarchie fossero state capaci di aiutare il loro paese a resistere agli incubi del Novecento. Eppure, la sensazione di stravaganza (la regina, i principi, il protocollo, eccetera) rimaneva.

Con il passare del tempo, il dubbio ha preso il posto delle certezze. Guardate il matrimonio che ci sarà oggi in Inghilterra, le immagini di una coppia di giovani (e anche un’altra coppia: il fratello maggiore e sua moglie, con i loro bimbi), un paese che vive una giornata di festa, di fiaba, di sorriso.

Non sono esattamente nelle mie corde le propensioni “politically correct” e le conversazioni radiofoniche con Barack Obama del principe Harry. Ma l’idea che un membro della famiglia reale inglese sposi una divorziata americana, che non abbia avuto paura di parlare del suo disagio esistenziale dopo la morte della madre, che ora si faccia carico anche dei problemi di salute mentale di veterani e vecchi soldati (perché le ferite non sono solo quelle fisiche…) mostra plasticamente che la monarchia può essere – nello stesso tempo – un bastione della tradizione e un elemento di modernizzazione, accompagnando dolcemente le trasformazioni della società, incoraggiandole e insieme rispecchiandole.

Ovvio che in politica a decidere sia il Parlamento, in base al voto dei cittadini. Dalla Magna Charta in poi, i britannici hanno spiegato al mondo cosa siano le istituzioni rappresentative e quanto sia sana la limitazione del potere. Ma è significativo che, al di là della contesa politica, ci sia un punto (un luogo “simbolico”) capace davvero di esprimere unità, senso di appartenenza e condivisione. Molto più di quanto possano farlo le repubbliche dei partiti, o cariche istituzionali monopolizzate da uomini di fazione, che difficilmente – nonostante la “grazia di stato” – possono essere o apparire o diventare del tutto “terzi”.

E’ evidente che il Regno Unito ha una storia del tutto peculiare, ben diversa da altre monarchie e altre case reali. Ma sarebbe il caso di discutere laicamente anche di questi temi, senza anatemi, senza pregiudizi, senza schemini precostituiti. La storia umana è complessa: perché precludersi la sfida intellettuale di ammirare nel mondo anche architetture istituzionali diverse, e magari imparare qualcosa?

del Prof.Salvatore Sfrecola

( dal sito: www.unsognoitaliano.it)

Si è detto e scritto in questi giorni che un lato positivo della lunga gestazione del governo è stato la “riscoperta” della Costituzione, quanto alla natura parlamentare dell’ordinamento costituzionale ed ai poteri del Capo dello Stato.

Sotto il primo aspetto è apparso presto evidente che, in mancanza di un partito o di una coalizione che avesse raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento, si dovesse dar vita ad un accordo tra vari partiti per la formazione del governo, come accade ovunque si vota con una legge elettorale di natura proporzionale. Così è stato, tanto per fare un esempio recente, in Germania, dove i partiti, la CDU e la SPD, che avevano collaborato nella precedente legislatura, pur essendosi scontrati duramente nel corso della campagna elettorale, hanno poi ritrovato le ragioni di una nuova collaborazione. Così in Spagna, il leader del Partido Popular, Mariano Rajoy, che ha solo sfiorato la maggioranza nelle Cortes, può presiedere un governo grazie all’astensione del partito socialista.

In Italia, i partiti che pure si sono aspramente confrontati nel corso della campagna elettorale, il Movimento 5 Stelle e la Lega, dopo vari tentativi di dar vita a diverse coalizioni, hanno raggiunto un accordo, definito “contratto”, sulla base del quale si sono ritrovati su alcuni aspetti programmatici da porre a base di un nuovo governo ed hanno indicato al Presidente della Repubblica, quale Presidente del Consiglio dei ministri, il Professore Giuseppe Conte, che è stato incaricato da Sergio Mattarella, nel rispetto dell’art. 92 della Costituzione. A qualcuno è parso che i partiti della maggioranza abbiano in qualche modo imposto la loro indicazione, ma è certo che il Capo dello Stato, pur avendo un’ampia discrezionalità nella scelta, non può prescindere da quanto emerso nel corso delle consultazioni nell’ambito delle quali i partiti della maggioranza hanno delineato, sia pure per grandi linee, il programma del futuro governo ed indicato almeno una o più personalità cui affidare la guida dell’Esecutivo. Contestualmente appare coerente con l’autonomia del Presidente del Consiglio l’indicazione, proveniente dai partiti della maggioranza, delle personalità che saranno chiamate a ricoprire ruoli ministeriali, considerato che il perseguimento del programma politico delineato nell’indirizzo emerso in sede elettorale è nella disponibilità politica dei partiti chiamati a formare il governo.

Non è del tutto pacifica, invece, la regola che riguarda la nomina dei ministri. Nel senso che il potere del Capo dello Stato sconta la “proposta” del Presidente del Consiglio. Per Augusto Barbera e Carlo Fusaro (Corso di diritto pubblico, Il Mulino, 2001, 294) si tratta di una “autonomia giuridicamente piena con il solo temperamento di un eventuale radicale e incoercibile, quanto improbabile, dissenso presidenziale, da considerarsi del tutto eccezionale”. Costantino Mortati, uno dei massimi studiosi del diritto costituzionale, membro dell’Assemblea costituente, ritiene la proposta del Presidente del Consiglio “deve ritenersi strettamente vincolante per il capo dello stato” in ragione del principio di supremazia conferito al Premier “e della responsabilità a lui addossata per la condotta politica del gabinetto: responsabilità che, ovviamente , non potrebbe venire assunta se non potesse giovarsi, per il concreto svolgimento della medesima, di un personale di sua fiducia”. Lo stesso considera “degenerativa” la prassi che ha “condotto ad affidare ai partiti la designazione delle persone da prescegliere per le cariche ministeriali, o addirittura dei dicasteri cui assegnarle” (Istituzioni di diritto pubblico, tomo I, 1975, 568).

In sostanza, il Capo dello Stato non potrebbe rifiutare alcuna nomina (così Paladin), salvo il caso estremo di palese mancanza dei requisiti di moralità e tecnici richiesti per l’ufficio. Questo anche nella considerazione che il Presidente della Repubblica è estraneo all’indirizzo politico definito in sede elettorale, con esclusione dei governi cosiddetti tecnici o presidenziali in relazione ai quali si realizza naturalmente una maggiore influenza del Capo dello Stato. La storia ci dice che a volte il Presidente non ha condiviso la indicazione del Presidente del Consiglio suggerendo altri nomi o, più spesso, un diverso incarico ministeriale. Il tutto nel silenzio dello studio presidenziale, sicché di questi dissensi si ha una eco mediata dal racconto degli interessati, dagli articoli dei “quirinalisti”, dalle polemiche giornalistiche.

Più volte i presidenti hanno dato preventivamente una indicazione alla quale i Presidenti del Consiglio si sono attenuti. Così Sandro Pertini il 31 marzo 1980 aveva invitato il Presidente del Consiglio incaricato a considerare l’idoneità morale e tecnica delle persone da proporre quali ministri. Allo stesso modo il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaroaveva scritto il 9 maggio 1994 al Presidente del consiglio incaricato Silvio Berlusconi una nota relativa  tra l’altro alle caratteristiche politiche che avrebbero dovuto possedere i ministri, in particolare quelli degli esteri e dell’interno, tradizionali settori di interesse per il Capo dello Stato in  funzione della sicurezza interna e dei rapporti internazionali del Paese. Un tempo rispondeva alla stessa logica l’indicazione del Re per i ministri degli esteri e della Guerra. Oggi si giustifica l’attenzione del Capo dello Stato per il Ministro dell’economia, considerati i vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. E difatti si discute in queste ore della presunta contrarietà del Presidente della Repubblica rispetto alla indicazione del Professore Paolo Savona a Ministro dell’economia, considerate talune sue idee in materia di Unione europea e di Euro.

Alla ricerca dei precedenti, sempre utili, per inquadrare gli eventi del momento, si ricorda che Pertini disse no a Francesco Cossiga su Clelio Darida alla Difesa (1979), che andò alla Giustizia, Scalfaro a Silvio Berlusconi su Previti alla Giustizia (1994), Ciampi a Berlusconi su Maroni alla Giustizia  (2001), Gorgio Napolitano a Renzi su Gratteri alla Giustizia (2014).

Non sappiamo, mentre scriviamo, come andrà a finire. Se Mattarella accoglierà la proposta di Savona Ministro dell’economia aderendo alle richieste del Premier.

Inevitabili ulteriori polemiche. L’insistenza di Lega e M5S è stata criticata come una forma di pressione indebita, come sostiene Sabino Cassese sul Corriere della Sera di ieri (La partita delle regole).

27 maggio 2018

CENTENARIO DELLA GRANDE GUERRA: ISTITUITO IL PREMIO SPANO' DI REGGIO CALABRIA

 

L'Unione Monarchica Italiana, per volontà e con il contributo della Famiglia Spanò di Reggio Calabria, istituisce il "Premio Spanò di Reggio Calabria", per la migliore tesi di laurea su il ruolo di Casa Savoia nel Primo Conflitto Mondiale (1914-1918). Al Premio possono concorrere i laureandi di qualsiasi Facoltà Universitaria italiana o straniera che conseguano la laurea entro il 31 ottobre 2018.Apposita Commissione valuterà le tesi concorrenti e designerà la migliore. Tutte le tesi concorrenti saranno conservate nella Biblioteca  dell'U.M.I. e saranno menzionate in apposita pubblicazione.

La Segreteria è a disposizione per qualsiasi informazione.

Ecco il bando del "Premio Spanò di Reggio Calabria":

 

D'intesa con la Famiglia Spanò di Reggio Calabria, ispirata da alto senso civico e da spirito mecenatico, l'Unione Monarchica Italiana emana il seguente bando:

Art. 1
E'  stanziata la somma di  mille euro per la miglior tesi di laurea approvata nelle Università sul tema:
IL RUOLO DI CASA SAVOIA
NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE (1914-1918)

Art. 2
Possono concorrere gli autori di tesi di laurea magistrale (al temine del corso quinquennale) di qualsiasi Facoltà universitaria pubblica o privata sul tema indicato, discusse entro il 31 ottobre 2017.

 Art.3

I candidati al premio debbono far pervenire il testo per posta elettronica e copia cartacea alla sede dell'Unione Monarchica Italiana (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  - via Riccardo Grazioli Lante 15/A 00195 Roma) entro e non oltre il 9 novembre 2017, accompagnandolo con attestato di conseguita laurea.
Le copie cartacee non saranno restituite ai mittenti, quale sia l'esito del bando. Esse verranno conservate nella Biblioteca dell'U.M.I. e verranno menzionate in apposito Notiziario.

 

Art. 4
L'esame dei lavori è affidato a una Commissione formata dal Presidente dell'U.M.I. o suo delegato, dal Presidente della Consulta dei Senatori del Regno o suo delegato, da uno studioso di chiara fama concordato dai predetti.

 

Art. 5
Entro il 30 novembre 2017 la Commissione designa il vincitore e comunica l'esito all'interessato. 

 

Art.6
La premiazione ha luogo entro il 31 dicembre 2017. Il vincitore è tenuto a partecipare a proprio carico alla premiazione, pena la decadenza.  In tal caso il premio viene ribadito per l'anno 2018 con identiche modalità.                          

Roma, 30 gennaio 2017