di Paolo Albi

“Non punibile” ai sensi dello Statuto Albertino, vigente all'epoca dei fatti: questa la sentenza  del processo a Vittorio Emanuele III per ipotizzata responsabilità nella emanazione delle famigerate leggi razziali del 1938,  svoltosi, sia pure come spettacolo (regista Angelo Bucarelli) ma in guisa molto seria, all' Auditorium di Roma.

Corte presieduta da Paola Severino, giudici a latere Ayala e Spina, accusatore Marco de Paolis e avvocato di parte civile Giorgio Sacerdoti (“chiediamo la condanna alla damnatio memoriae”), autodifesa (“solo rimasi in quei terribili momenti e solo ritengo di dovermi difendere oggi”) di S.M. il Re impersonato da un lucidissimo Umberto Ambrosoli.

Autodifesa tecnicamente impeccabile (natura flessibile e non rigida dello Statuto Albertino; limitati poteri di vaglio del Re, confinati alla mera correttezza dell'iter procedurale) e politicamente autentica e commossa (l'amicizia tra la Casa Reale e gli ebrei italiani; il ruolo importante degli ebrei nel Risorgimento e al governo del Paese fino al 1938; il conflitto sotterraneo con un Mussolini vieppiù insofferente del ruolo equilibratore e moderatore della Corona; la presenza dell'esercito di Hitler ai confini, pronto a dar man forte militare al Duce contro il Re e le preoccupazioni per le efferatezze che avrebbero potuto conseguirne sin da subito, come poi avvenne a partire dal 1943, per il popolo italiano e per le comunità ebraiche).

Il Re-Ambrosoli non ha ritenuto ovviamente di doversi difendere incolpando il proprio popolo, ma è verità storica che in quel dramma Egli fu lasciato davvero solo: quasi niuna voce si levò da parlamentari e intellettuali e anzi molti cattedratici si acconciarono volentieri nei posti lasciati liberi dai professori ebrei, la  stessa Chiesa fu silente, il consenso dell'opinione pubblica al regime rimase plebiscitario.

Permangono ovviamente, al di là e al di sopra delle singole responsabilità, la condanna inappellabile per l' inumane leggi e il peso del giudizio della  Storia su quelle vicende.

Momenti toccanti della serata sono stati pure le rievocazioni documentarie di un antico vincolo tra la Dinastia e le comunità ebraiche italiane: dai diritti civili riconosciuti il 29 marzo 1848 da Carlo Alberto, ai diritti politici immediatamente concessi - fatta Roma Capitale - da Vittorio Emanuele II agli ebrei romani in uno con la determinazione di costruire la Sinagoga, sino alla  affettuosa e partecipe visita inaugurale alla medesima di Vittorio Emanuele III il 2 luglio 1904.

Un legame e una solidarietà che per i monarchici italiani non sono in discussione.

In relazione alle prossime elezioni politiche del 4 marzo, l’Ufficio di Presidenza dell’Unione Monarchica Italiana ha deliberato, all’unanimità, di valutare proposte e soluzioni politiche provenienti partiti o formazioni politiche che avranno, chiaramente, nel proprio programma l’abrogazione dell’art. 139 della Costituzione.

L’art. 139 della Costituzione, che testualmente recita “ La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” è infatti, secondo l’U.M.I. in netto contrasto con l’Art. 1 della nostra carta fondamentale, il quale recita “La sovranità appartiene al popolo (…)”.

Secondo l’U.M.I. la sovranità o è totale, o non è, e la battaglia per l’abrogazione dell’art. 139 della Cost., articolo antidemocratico, è una battaglia che può essere condivisa anche da chi, sincero democratico, non condivida la soluzione istituzionale monarchica.

L’U.M.I. non regalerà più un solo voto a partiti che si avvicinano ad essa in fase elettorale, promettendo vicinanza ideale o appoggio su singole tematiche. Per avere i voti dei monarchici occorrerà un chiaro e pubblico impegno programmatico.

Roma, il 17.1.2018

                                                                   Il Presidente Nazionale

                                                                  (Avv. Alessandro Sacchi)

L'Unione Monarchica Italiana è lieta di informare che, con la Sentenza n. 8 del 8 Gennaio 2018, la Corte di Appello di Firenze ha definitivamente rigettato la domanda giudiziale proposta da Vittorio Emanuele e dal figlio Emanuele Filiberto di Savoia nei confronti dei lontani cugini, le LL.AA.RR. i Principi Reali Amedeo di Savoia Duca di Savoia e di suo figlio Aimone di Savoia, Duca di Aosta e Duca delle Puglie, in merito all’uso del solo cognome “di Savoia”.

Con la medesima sentenza, la Corte di Appello di Firenze ha condannato il sigg.ri Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto di Savoia alla rifusione delle spese giudiziarie, sia del primo che del secondo grado, in favore delle LL.AA.RR. il Principe Amedeo e Aimone di Savoia.

Nello specifico la Corte di Appello di Firenze ha stabilito che S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia e il figlio sono – senza dubbio – titolari del cognome “Savoia” che possono utilizzare, a loro piacimento, congiuntamente o disgiuntamente dal cognome “Aosta”.

W Amedeo di Savoia, duca di Savoia, Capo della Casa Reale Italiana e pretendente legittimo al Trono d’Italia.