Parola di Re
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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Comunicato stampa del 25 marzo 2019
A proposito di ius soli
Intervenendo nel dibattito sul cosiddetto ius soli, secondo il quale avrebbe diritto alla cittadinanza chiunque sia nato in Italia, l’Unione Monarchica Italiana ricorda che la legge sulla cittadinanza identifica, ovunque nel mondo, coloro che appartengono ad una comunità con la sua identità, la sua storia, la sua cultura. L’Italia ha un’ottima legge sulla cittadinanza. Essa consente, infatti, a chi vive e lavora nel territorio dello Stato, di richiederla al diciottesimo anno di età, fermo restando che ogni straniero, il quale risiede nel nostro Paese, ha gli stessi diritti scolastici, sanitari, sportivi di un cittadino italiano, escluso il diritto di voto. Nello spirito di accoglienza, tradizionale del popolo italiano, l’Unione Monarchica Italiana, che ne custodisce la storia e le tradizioni, ricorda che la cittadinanza va riconosciuta agli stranieri esclusivamente se sia verificata una loro consapevole partecipazione ai valori civili e spirituali nei quali si compendia l’identità del nostro popolo e respinge l’evidente strumentalizzazione, a fini politici, della polemica sollevata in questi giorni non a caso dai fautori dell’immigrazione indiscriminata.
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi
L'opinione di Giuseppe Borgioli
LA VIA DELLA SETA
di Giuseppe Borgioli
L’Italia è la prima potenza del G7 a concludere un accoro organico con la Cina nella cornice della annunciata “via della seta” che dovrebbe ripercorrere il cammino delle carovane che attraversavano l’Eurasia e stabilire nuove connessioni commerciali. La via della seta oggi è caratterizzata da legami infrastrutturali che costituiranno una vasta area di rapporti commerciali, culturali e in definitiva geopolitici. La visita a Roma dei maggiorenti cinesi sanciranno questi accordi configurati in un memorandum già condiviso dal governo italiano.
Secondo i commentatori l’aspetto commerciale è prevalente. Alla Cina interessano le infrastrutture portuali. Ma è inutile negare che siamo di fronte ad una scelta strategica che peserà non poco sulla nostra politica estera.
In un mondo globalizzato le vie commerciali fanno parte di una strategia che tende a prendere il posto dei conflitti armati.
Le colonie del mondo globalizzato sono soggetti che per ragioni economiche e commerciali obbediscono ai “nuovi padroni”. Con buona pace dei sovranisti senza sovrano.
Il rapporto di sudditanza non è solo politico. Più incalzante è il rapporto di sudditanza commerciale e finanziaria. Da anni la repubblica popolare cinese detiene una notevole quota del debito americano anche se Trump fa finta di non saperlo.
Una nazione che cresce, come la Cina, al ritmo del 7-8 per cento l’anno non può non muoversi anche sul piano finanziario globale.
E’ una nuova forma di egemonia che non contempla – almeno con l’Europa – l’uso della forza. Qui la forza non serve. È sufficiente le leva commerciale e finanziaria. Anche se la Cina non ha perso il vizio delle esercitazioni militari. Ne ha conclusa una nel Mediterraneo. Ecco a cosa serve il porto del Pireo.
Il sistema cinese, una sorta di turbocapitalismo con il partito unico al comando, sembra la formula magica per consolidare lo sviluppo declinandolo con l’ordine interno.
Agli occhi dei cinesi la democrazia occidentale è poco attraente. Troppi diritti, troppe distrazioni, troppo caos. I risultati sono evidenti. L’Europa è in declino. Solo un pazzo può pensare di esportare quel modello in Cina. Siamo noi illusi che pensiamo di aver qualcosa da insegnare agli altri.
17 marzo 1861: nasce lo Stato unitario, il Regno d’Italia
di Salvatore Sfrecola
Se l’Italia di oggi rispettasse la sua storia il 17 marzo sarebbe la festa dello Stato unitario, nato da quel movimento politico culturale che chiamiamo Risorgimento che vide la convergenza di uomini di pensiero e di azione provenienti da ogni angolo della Penisola per dare corpo ad una antica spirazione all’unità. Fu un “miracolo”, come ha titolato Domenico Fisichella un suo bel libro, perché non era facile, nella frammentazione politica che caratterizzava l’Italia da troppo tempo, costruire dalla molteplicità uno Stato solo.
Fu opera di tanti che videro, tuttavia, nel piccolo Regno di Sardegna un riferimento ineludibile, per la coerenza con la quale i sovrani di Casa Savoia avevano difeso lo Statuto Albertino, la legge delle libertà, mentre altri regnanti, costretti a concedere una costituzione sotto la spinta dei moti liberali e rivoluzionari l’avevano revocata al consolidarsi del loro potere dispotico con il concorso delle baionette austriache.
Espressione di questa convergenza di intenti nonostante le diversità ideologiche è la lettera di Giuseppe Mazzini al Re Vittorio Emanuele II nel settembre del 1859: “io repubblicano, e presto a tornare a morire in esilio per serbare intatta fino al sepolcro la fede della mia giovinezza, sclamerò nondimeno coi miei fratelli di patria: preside o re, Dio benedica a voi come alla nazione per la quale osaste e vinceste”.
E fu il Regno d’Italia, consacrato dal voto del Parlamento, come ricorda la legge n. 4671 del Regno di Sardegna, n. 1 del Regno d’Italia. “Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861”.
Era nato uno Stato unitario laddove, appena un paio d’anni prima, ve n’erano addirittura sette. Era nato per voto del Parlamento Subalpino da deputati eletti solo pochi mesi prima, nel gennaio dello stesso anno, la cui provenienza già attestava la realizzazione, de facto, dell’Unità. Le elezioni, infatti, si erano tenute in tutte quelle regioni che, attraverso i plebisciti, nel corso dell’anno precedente avevano chiesto l’annessione al Regno sabaudo. Così, accanto a Camillo Benso di Cavour nell’esecutivo, nel quale il conte ricopriva anche i dicasteri della Marina e degli Esteri, alla Giustizia sedeva un piemontese (Cassinis), all’Agricoltura un siciliano (Natoli), alla Guerra un emiliano (Fanti), alle Finanze un livornese (Bastogi), ai Lavori pubblici un fiorentino (Peruzzi), all’Istruzione un napoletano (De Sanctis).
L’Italia si poneva dunque come una realtà politica essenziale nel Mediterraneo in un contesto di contrasti tra Francia ed Austria e di contrapposizione di interessi per il dominio delle rotte marittime in un’area di estremo interesse per gli equilibri nei rapporti politici, economici e commerciali con il Medio Oriente, una prospettiva che il Conte di Cavour aveva indicato fin dal 1846, preziosa per l’Italia e per il suo sviluppo economico, con i suoi porti di Napoli e Palermo. “L’Italia sarà chiamata a nuovi e alti destini commerciali, scriveva. La sua posizione al centro del Mediterraneo, o, come un immenso promontorio, sembra destinata a collegare l’Europa all’Africa”. Una straordinaria intuizione, mai effettivamente colta dalla politica.
Purtroppo, ad appena una decina di settimane dalla proclamazione dell’Unità, quello straordinario statista, il principale architetto dell’Unità, moriva a soli 51 anni nella sua residenza di famiglia, stroncato dalla malaria contratta per l’assidua cura delle sue amate risaie. L’Italia aveva perduto nel momento di maggior bisogno, nella difficile opera di unificazione amministrativa dello Stato in una realtà variegata per esperienze politiche e culturali, un uomo insostituibile, che sarebbe stato rimpianto da molti. Ancora oggi.