Intervista all’avvocato Alessandro Sacchi, dal 2012 presidente dell’Unione Monarchica Italiana. Tra i temi affrontati: L`erede al trono? E’ il principe Aimone di Savoia. La monarchia e il fascismo, il referendum del ’46, ‘’la forza unificante della monarchia che non ha colore politico ’’ come mostra la convivenza nelle grandi monarchie europee con i socialdemocratici, i socialisti, i popolari, i laburisti. Vittorio Emanuele III e le leggi razziali, perché accanirsi con il sovrano e non invece con chi quelle leggi le approvò in Parlamento? Se non le avesse firmate Mussolini, allora all’apice del potere, avrebbe abolito la monarchia e proclamato la Repubblica fascista. Una testimonianza di Ciano. Un aneddoto di Talleyrand

di Mario Nanni

( tratto da: Sacchi (presidente UMI): l’idea monarchica è unificante e può salvare l’Italia. Non siamo né di destra né di sinistra, abbiamo monarchici anche nel Governo - Beemagazine)

Presidente Sacchi, l’intenzione è quella di fare una intervista ‘’conoscitiva’’, e quindi con anche con domande che possono sembrare provocatorie, ma in realtà servono a ‘’provocare’’ nuovi spunti di riflessione in chi leggerà. Quindi confido che Lei voglia rispondere senza formalismi ma con spontaneità e brillantezza. Così aiutiamo anche i lettori a capire. Le domande a volte sono volutamente lunghe per dare all’intervista la forma di una conversazione.

D’accordo, proceda con le domande.

Avvocato Sacchi, da quanti anni è alla guida dell’Unione Monarchica Italiana?

Dal 2010 come vicario. Dopo un anno e mezzo, nel congresso di Roma nel 2012, fui acclamato presidente.

Lei è napoletano, e mi verrebbe di dire che mi sembra quasi naturale che il presidente dell’Umi sia napoletano o comunque meridionale.

Sì sono di Napoli.

Lei mi domanderà il motivo di questa che può sembrare una battuta singolare.

Beh, in effetti me lo stavo domandando.

Glielo dico subito, offrendo alla sua attenzione e di chi ci legge alcuni dati.

Nel referendum del 2 Giugno 1946, il Mezzogiorno votò in stragrande maggioranza Monarchia; Napoli era quasi la ‘’capitale’’ dell’Italia monarchica. Vittorio Emanuele III, Lei lo sa, tra i tanti nomi aveva anche quello di Gennaro, e il titolo di Principe di Napoli, oltre che di Piemonte.

Lei mi ha detto che è di origini leccesi. Lo sa che Lecce ha dato nel referendum del ’46 la più alta percentuale di voti alla monarchia? Lecce ha avuto un senatore monarchico, il principe del Foro Oronzo Massari, che è stato anche sindaco molto popolare e amato di quella città.

Ricordo un altro dato per chi ci legge. Con l’avvento della Repubblica ci fu il Pnm, Partito nazionale monarchico, guidato da Alfredo Covelli, anch’egli avvocato, un galantuomo d’altri tempi. Poi cambiò nome in Pdium, partito democratico italiano di unità monarchica; il Pnm si scisse e Napoli fu l’epicentro del terremoto monarchico con la nascita del Partito monarchico popolare, fondato da Achille Lauro, naturalmente non il cantante che non era neanche nato, ma dal famoso e discusso armatore.

Infine: dopo i risultati del referendum che sancì la vittoria della Repubblica, e mentre si aspettava la convalida definitiva da parte della Cassazione, Umberto II – un Re Galantuomo, non meno del bisnonno Vittorio Emanuele II ma forse anche di più – era un po’ titubante sul da farsi: chiese un parere al ministro della Real Casa, il marchese Falcone Lucifero, il quale rispose: Maestà, se parte, ci saranno morti a Napoli; se non parte, ci saranno morti a Milano. Alla fine Umberto, un po’ ingenerosamente liquidato dai giornali come il ‘’re di maggio ’’, decise di abbandonare il campo accettando di fatto il responso referendario senza attendere il verdetto definitivo della Cassazione, e prese la via dell’esilio in Portogallo, come il suo avo Carlo Alberto cento anni prima.

La seguo in questa ricostruzione, ma voglio precisare che noi non siamo mossi dalla nostalgia ma dal ricordo, non solo dei regnanti ma anche di chi ha combattuto per gli ideali della Patria. Ho potuto conoscere non solo i ragazzi del ’99, i combattenti di Vittorio Veneto ma anche combattenti di valore della seconda guerra mondiale.

Dell’idea monarchica, le domanderò dopo.

La vittoria della Repubblica fu uno choc per i monarchici. C’è una scena di un bel film di Dino Risi, Una vita difficile: in casa dei marchesi Rustichelli, ovviamente monarchici, è ora di pranzo e si attendono i risultati del referendum, a cui viene invitato casualmente un giornalista (antifascista) che è Alberto Sordi, ma solo perché erano in 13 e cercavano un quattordicesimo commensale  Portano un bel pasticcio in tavola, Sordi, che non mangiava da due giorni, avidamente lo guarda, e impugna la forchetta per assaggiarlo, ma proprio in quel momento la radio annuncia: comunichiamo i risultati del referendum; la marchesa gela Sordi con queste parole: ma che fa? mangia? Dopo di che lo speaker annuncia: Monarchia: dieci milioni 718 mila 502; i padroni di casa Rustichelli esultano in coro: mammà, abbiamo vinto, ma la voce si spegne subito alle parole successive: Repubblica: dodici milioni 718 mila 641: da oggi l’Italia è repubblicana.

La marchesa quasi sviene, la figlia grida: oddio mammà si sente male.

I monarchici in realtà non hanno mai accettato, non solo psicologicamente ma anche mentalmente, i risultati del 2 giugno. Lei che è di un’altra generazione non mi dirà che anche lei conserva qualche dubbio…..

Su quest’ultimo punto dopo decenni di oblìo sono cominciate a uscire delle ricerche che, come quello di Aldo Mola, gettano un po’ di luce su aspetti controversi e rimasti oscuri.  Parliamoci chiaro: non ci fu la ‘’grande frode’’, ma tante piccole frodi per ottenere un risultato che poi stupì gli stessi vincitori. Aldo Mola ha fatto ricerche all’archivio di Stato. Lei lo sa che le schede del referendum furono distrutte subito dopo il voto? E non fu possibile riconteggiarle. Qualche scheda è stata trovata sulle bancarelle dei mercatini. Altro aneddoto illuminante: a Roma alcune suore che avevano deciso di votare per la Monarchia, seppero che nella sezione dove avevano votato, risultarono solo voti per la Repubblica.

E’ la solita vulgata di Romita grande manovratore?

Non tanto Romita (ministro dell’Interno, NdR), quanto Togliatti. ‘’I parti difficili vanno assecondati e pilotati. Questa è’ una frase del segretario del Pci!

Lasciamo ora la parte storica e veniamo a questioni più di principio. Detto sbrigativamente: secondo Lei l’idea monarchica, la stessa monarchia, ha ancora senso in quest’era che più che moderna ormai viene chiamata post moderna? Può spiegarlo ai giovani di oggi, che peraltro conoscono poco la storia e la studiano ancor meno?

Ribadisco il principio: nel riproporre l’idea monarchica e i princìpi monarchici, non siamo mossi da spirito nostalgico: lei pensi a ciò che potrebbe essere la monarchia in Italia, guardando alle grandi monarchie parlamentari d’Europa. Lì c’è la divisione dei poteri e al vertice un capo dello Stato che esercita un potere neutro, secondo una funzione arbitrale e garantista. E qual è la qualità massima di un arbitro? La terzietà.

Allude alla situazione italiana?

Non faccio, sia chiaro, una questione di persone, ma di principio e mi pongo delle domande: se un soggetto ha militato per 50 anni in un partito sarà sereno nell’esercizio del suo potere garantista? Si può resettare una ideologia? La Repubblica dà per scontato, quasi per automatico, che la figura del Capo dello Stato sia terza.

Lei allude ma non fa nomi

Non ho difficoltà a farne. Per esempio Scalfaro, e lo stesso presidente Mattarella: dovevano sciogliere le Camere in certe situazioni senza sbocco e invece hanno scelto altre soluzioni.

Lei dunque non rimpiange ‘’Stella e Corona’’

Non la rimpiangiamo, non siamo revanchisti. Noi proponiamo l’idea monarchica in modo nuovo, guardando alle grandi monarchie del Continente.

Ho letto un messaggio di Umberto, inviato agli Italiani, come spesso faceva quando era in esilio a Cascais, dove parla dell’idea monarchica come simbolo e fattore di concordia nazionale che trascende le divisioni politiche e partitiche. Ma è un messaggio del 1952, di più di 70 anni fa! Secondo Lei è ancora valido?

C’è in questo messaggio l’idea della monarchia come forza unificante, che è al disopra delle fazioni, dei partiti e delle ideologie. In Spagna se ci fosse stata la Repubblica, i catalani se ne sarebbero già andati. Come in Belgio i valloni e fiamminghi. Questo dimostra la forza della monarchia di essere collante della nazione.

Avete un programma politico immagino. Quali sono i punti essenziali, i valori fondanti del vostro essere monarchici?

Noi intanto chiediamo l’abrogazione dell’articolo 139 della Costituzione (La forma repubblicana dello Stato non è soggetta a referendum, NdR). Lasciamo decidere al popolo ridandogli la piena sovranità. Siamo per il rigore e la qualità nell’impegno politico, per il senso civico, per la severità degli studi e la preparazione. Altrimenti c’è lo scadimento culturale e professionale di una classe politica non sempre all’altezza. Ci vuole preparazione anche per fare l’accalappiacani.

Vi considerate, uso un criterio mi rendo conto schematico ma è per dare l’idea, di Destra, di Sinistra, di Centro?

Noi ci impegniamo anzitutto per spiegare anche ai giovani la forza e la perdurante modernità dell’idea monarchica, pur nella sua tradizione millenaria europea. Ma non ci imbranchiamo in un partito di destra o di sinistra. E poi finiamola con questa semplicistica equazione che chi è monarchico debba essere di destra. La monarchia è al di sopra del colore politico. In Svezia la monarchia ha convissuto e convive con la socialdemocrazia, in Inghilterra con i conservatori e i laburisti, in Spagna con i popolari e con i socialisti. Nella Napoli della rivolta di Masaniello, la popolazione gridava viva ‘o re di Spagna, mora ‘o malgoverno’’. La gente era esasperata ma non gridava ‘’ a morte il re’’. Il re è al di sopra.

In Italia, abbiamo avuto presidenti della Repubblica monarchici: come De Nicola ed Einaudi.

Anche Einaudi?

Certo. Al referendum votò Monarchia. E poi anche oggi abbiamo monarchi in politica, li abbiamo anche al governo.

Ma davvero?! A chi si riferisce?

Tajani è monarchico. E anche Crosetto.

Mi perdoni ma a volte parlando dei Savoia vengono spontanee le battute. Per esempio, al pensiero dell’abisso che c’è tra Emanuele Filiberto di Savoia, il glorioso vincitore della battaglia di San Quintino, in cui fece ballare i francesi, e l’attuale Emanuele Filiberto che balla sotto le stelle ( quantum mutatus ab illo). O pensando a Vittorio Emanuele III, che si ostinò fino all’ultimo a non coinvolgere il figlio Umberto negli affari di Stato ( in Casa Savoia si regna uno alla volta), non volle ascoltare l’idea di Croce di abdicare in favore non del figlio ma del nipote ( con la reggenza di Maria Josè).

Per cui le prospetto l’obiezione che viene spontanea: l’idea monarchica la dovrebbero impersonare personaggi discussi come gli attuali eredi di Savoia? (Vittorio e Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto?)

E chi gliel’ha detto che sono loro gli eredi al trono?

E chi sono allora?

L’erede è Aimone di Savoia

Del ramo Savoia Aosta?

Aimone di Savoia, e basta, altrimenti per gli altri dovremmo specificare Savoia- Carignano. Il principe Aimone è una persona che lavora, ha responsabilità manageriali e direttive al massimo livello, ha ricevuto anche una onorificenza dalla Repubblica.

Io stesso sono il primo dirigente monarchico che vive del suo lavoro (avvocato cassazionista, NdR).

Ovviamente lei non la prende nemmeno in considerazione la Repubblica presidenziale

Sarebbe l’ultimo errore che possa fare l’Italia. La via da seguire è una effettiva democrazia parlamentare, con il Parlamento al centro e un capo dello Stato terzo non frutto di maggioranze politiche.

Ma su Vittorio Emanuele III non ha ancora risposto

Mi basta dirle: la monarchia italiana è stata una monarchia parlamentare e costituzionale.

Ma poi ci fu la Marcia su Roma, la mancata concessione dello stato d’assedio richiesto dal presidente del Consiglio Facta…

Dopo la marcia Vittorio Emanuele III diede l’incarico a Mussolini di formare un governo. Governo in cui entrarono anche popolari, come Gronchi, poi diventato capo dello Stato nel ’55.

E cosa pensa del comportamento di un re, che di fatto spalleggia e copre un dittatore e un regime liberticida per 20 anni e poi dopo il 25 luglio – in cui Dino Grandi e lo stesso Ciano fecero per lui il ‘’lavoro sporco ’’ di votare l’ordine del giorno che di fatto esautorava il ‘’duce’’- riceve Mussolini, e senza dirgli nulla lo fa arrestare appena si avvia all’uscita. Gesto che i fascisti non gli hanno mai perdonato.

Ma bisogna tenere a mente un dato importante, senza il quale la storia italiana non la si inquadra nel modo obiettivo.

E cioè?

Lo Statuto Albertino, che vigeva dal 1848 non era una Costituzione rigida; per modificarlo bastava una legge ordinaria, e in parlamento bastava avere una maggioranza per farlo. Non era come la Costituzione vigente che per essere modificata ha bisogno di un largo schieramento parlamentare.

Dove porta questo discorso?

Il fascismo ha scardinato con una serie di leggi ordinarie le prerogative del Re. Il Gran Consiglio assunse il potere di una terza Camera.

Ma sulle leggi razziali, che il re firmò, e di cui si è riparlato giorni fa durante le celebrazioni della Giornata della Memoria, che mi dice?

Intanto stavolta le faccio io una domanda provocatoria: perché prima di accanirsi contro il re che firmò le leggi razziali non si accaniscono contro coloro che le votarono in Parlamento?  Se il re non le avesse firmate, avremmo avuto un conflitto al vertice dello Stato, forse avremmo avuto la Repubblica fascista.

Addirittura!

Ma le voglio dare un altro dato: nei Diari di Galeazzo Ciano, genero del ‘’duce’’, è riportato questo episodio: Mussolini andava tutti i giovedì  in udienza dal Re. Durante una di queste udienze, disse a Vittorio Emanuele: Ci sono 25 mila persone che sono preoccupate ( per le leggi razziali, NdR). Il Re rispose: ci metta tra questi 25 mila anche me. E poi non dimentichiamo che Mafalda di Savoia è morta nel lager di Buchenwald.

Vittorio Emanuele III meritava di essere sepolto nel Pantheon, dove riposano i genitori Umberto I e la Regina Margherita e il nonno Vittorio Emanuele II?

I re d’Italia debbono essere sepolti nel Pantheon. Re Umberto disse: ‘’Mio padre e mia madre’’ (la regina Elena, NdR) ‘’o vengono al Pantheon o stanno bene dove sono ’’.

Lei dice di non essere nostalgico. Ma quanta fiducia ha che l’idea monarchica trionfi?

Ne sono sicuro.

Ad ascoltarla, debbo ammettere, colpisce la sua fede

Non è solo fede, la fede è cieca. La mia è consapevolezza. Ma voglio concludere con un bon mot di Talleyrand

Ne ha detti tanti. Conosco per esempio quello contro gli zelanti (surtout, pas trop de zel)

No, questo riguarda la monarchia. Talleyrand , che era monarchico….

Ma anche bonapartista, e tante altre cose

A Talleyrand, un giorno dissero: tu sei monarchico, perciò tu sei indietro. E lui rispose: e se fossi io a stare avanti?

Mario Nanni – Direttore editoriale

di Salvatore Sfrecola

L’orrore delle Foibe, la spietata uccisione di migliaia di italiani di Istria e Dalmazia, gettati spesso vivi nelle cavità carsiche, profonde anche centinaia di metri, nell’ambito di una pulizia etnica condotta con premeditata determinazione dai partigiani comunisti del Maresciallo Tito, da ricordare ogni giorno, assume una particolare evidenza nella giornata deputata alla memoria di quegli eventi. Una strage scatenata a guerra finita contro centinaia di migliaia di persone ordiate perché italiane, costrette a fuggire per salvarsi la vita. Esuli senza poter portare nulla con sé, “spesso accolte con insulti e violenze dai comunisti di casa nostra, che riconoscevano una sola patria: la Russia di Stalin”, ricorda Giuseppe Sanzotta su Il Borghese, del quale è Direttore. Accadde alla stazione di Bologna, dove fu impedito ai profughi di scendere dal treno e fu disperso dai comunisti locali il latte che la Croce Rossa aveva portato per i bambini.

Su queste tristissime vicende si è mantenuto per anni un “omertoso silenzio” – ancora con le parole di Sanzotta – per motivi politici, giunto perfino a contestare il numero delle vittime, in ossequio alla versione che gli italiani dell’Istria fossero vicini al Fascismo. E se questo è stato certamente vero per alcuni, non avrebbe mai potuto giustificare in nessun modo l’uccisione di migliaia di persone e l’espropriazione dei beni di una comunità che si era dedicata a quelle terre da secoli e che le aveva rese prospere e civili.

Così, nel “Giorno de  ricordo”, giunge da vari esponenti della politica e della cultura la richiesta che la vetrina straordinaria del Festival di Sanremo sia occasione per ricordare a tutti gli italiani, soprattutto delle giovani generazioni, quell’immane tragedia che ha colpito tanti italiani, colpevoli solamente di essere portatori di una antica cultura ricca di valori civili e spirituali.

Tommaso Foti, Capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Maurizio Gasparri, Senatore di Forza Italia e Vicepresidente del Senato, Federico Mollicone, Presidente della Commissione Cultura della Camera, parlamentare di FdI sono stati i primi a chiedere che a Sanremo si ricordino le Foibe, stasera, nella Giornata della Memoria di quei tragici eventi. Insieme al Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

Nell’occasione del 10 febbraio e per tramandare la memoria dell’esodo degli italiani e del massacro di quanti non riuscirono a mettersi in salvo, la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha adottato un decreto che istituisce il Comitato per il coordinamento per le celebrazioni del Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata. Inoltre, da domani alle 18 Palazzo Chigi sarà illuminato con il tricolore.

Il 10 febbraio, ha detto il Ministro Sangiuliano, “è la giornata dedicata al ricordo dell’orrore delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Sono rispettosissimo dell’autonomia dell’arte e del lavoro culturale degli artisti. Ma da cittadino, prima che da ministro, credo sarebbe un gesto importante che il Festival di Sanremo dedicasse un momento, domani sera (stasera, n.d.a), proprio al Giorno del Ricordo”. Ed ha rivolto un appello agli organizzatori del Festival affinché, in un apposito spazio, all’interno dell’evento, sia ricordato l’esodo giuliano-dalmata e la tragedia delle Foibe.

Federico Mollicone è stato tra i primi a sollecitare gli organizzatori del Festival. Con lui i senatori di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni, Roberto Menia e Andrea De Priamo: “Sarebbe un bel segnale per l’Italia se, come giustamente sottolineato dalle associazioni degli esuli, nel corso del Festival musicale di Sanremo, che ormai costituisce una vetrina per il lancio di messaggi di ogni tipo, visto da milioni di italiani, molti dei quali giovani che spesso poco sanno delle foibe, fosse ricordata questa drammatica pagina della nostra storia nazionale per troppo tempo censurata”. Sarebbe, infine, anche un modo per ricordare i grandi artisti giuliano-dalmati, attori e cantanti, come Laura Antonelli, Gianni Garko, Wilma Goich, Alida Valli, Sergio Endrigo, anche loro esuli che scelsero per amore dell’Italia di rimanere liberi ed italiani.

Alla vigilia del Giorno del Ricordo, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha visitato la Foiba di Basovizza (Trieste) e ha incontrato due parenti di Norma Cossetto, la ragazza istriana gettata in una foiba nell’ottobre del 1943, dopo essere stata torturata e stuprata dai partigiani jugoslavi, nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943.

Ognuno di noi conosce o ha conosciuto profughi o figli di profughi. E di tutti abbiamo letto negli occhi il dramma che hanno vissuto o che è stato loro raccontato. E inevitabilmente spunta una lacrima.

I monarchici italiani ricordano il dolore degli esuli da Istria e Dalmazia e l’orrore delle foibe

In occasione della giornata della memoria, nel ricordare le sofferenze patite dagli esuli dalle terre italianissime dell’Istria e della Dalmazia, l’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.), rende un commosso omaggio alle vittime delle Foibe, centinaia di migliaia di innocenti gettati spesso ancora vivi nelle cavità carsiche, una tragedia nella tragedia della pulizia etnica condotta con spietata determinazione dai partigiani comunisti del Maresciallo Tito.

I monarchici italiani sono accanto ai discendenti di quanti furono costretti ad abbandonare le loro terre, che nei secoli avevano reso prospere con il lavoro e la cultura, e si augurano che la straordinaria vetrina del Festival di Sanremo, sia occasione per un ricordo che deve accomunare tutti coloro che hanno fede nella Patria e nei suoi valori di civiltà e giustizia, a cominciare dai giovani che di quei valori devono sentirsi testimoni.

Roma,10 febbraio 2023

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

Perplessità dei monarchici sull’autonomia differenziata

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato dal Consiglio dei ministri, pur all’inizio di un iter parlamentare non breve, preoccupa l’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.) per gli effetti che si possono intravedere sullo sviluppo omogeneo, economico e sociale, del Paese. Destano perplessità, in particolare, la prevista marginalità assegnata al ruolo del Parlamento, ridotto ad organo meramente consultivo in tema di definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni”.

Inoltre, preoccupa i monarchici, fedeli all’unità della Nazione, il previsto centralismo delle regioni che si sostituiscono allo Stato come interlocutore esclusivo dei comuni, sicché se “di colore” diverso rispetto a quello della giunta regionale potrebbero avere vita difficile.

Infine, l’Unione Monarchica Italiana manifesta aperto dissenso quanto al previsto trasferimento di ulteriori funzioni alle regioni, in ben 23 materie sensibili, come la scuola e si chiedono che ne sarà della lingua italiana che fu impegno dello Stato unitario diffondere, su sollecitazione di Alessandro Manzoni, ovunque, dalle Alpi al Lilibeo, come espressione dell’unità del Paese.

Roma, 3 febbraio 2023

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

 

 

Sabato 18 febbraio 2023, il Presidente Nazionale dell’U.M.I., Avv. Alessandro Sacchi, incontrerà  Dirigenti locali, iscritti e simpatizzanti dell'Associazione, alle ore 18.30, presso l’Hotel “Il Faro”, sito in Montichiari (BS) alla Via Mantova n.60.

Al termine dell’incontro, seguirà cena conviviale.

Per informazioni e prenotazioni contattare il sig. Francesco Fortunelli, Presidente del Club Reale "Aimone di Savoia Aosta", al  numero: 373.5095758

 

Montichiari (BS)

di Salvatore Sfrecola

È vero. Non può essere solamente il 27 gennaio, nella “Giornata del Ricordo”, l’occasione per non dimenticare, per tenere a mente la tragedia del XX secolo, una delle più grandi nella storia dell’Umanità, improntata ad una follia criminale che stenteremmo a credere se non avessimo documenti e testimonianze viventi di fronte ai quali restiamo atterriti.

Libri, racconti, film ci immergono in una tragedia fatta di tante tragedie, quanti sono stati gli uomini e le donne che l’hanno vissuta, sofferenze atroci nelle quali la mancanza di umanità degli aguzzini nazisti ha fatto emergere eroismi e pietà straordinari. Tanto che ricordarne uno sembra di fare torto agli altri. Eppure, ognuno li rappresenta tutti. Come il caso di Mafalda di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro, i Sovrani d’Italia, la Principessa bella e gentile, generosa, briosa e mite, intelligente e colta, sposa e madre esemplare, sempre pronta a gesti di carità, della quale, prima di leggerne sui libri, ne ho il ricordo dalle parole di mia madre e da alcune foto sbiadite che conservo in un album. Un tempo e un luogo.

Il tempo, il luglio del 1943, un mese cruciale in un’Italia devastata dai bombardamenti delle nostre città. Neanche Roma sarà risparmiata quel 19 luglio quando, poco dopo le 11, le fortezze volanti scatenano l’inferno sullo scalo di San Lorenzo come la Capitale non aveva conosciuto.

Il luogo, il Terminillo, la “Montagna dei romani”, come amava chiamarla la propaganda del regime che indulgeva sull’immagine del Duce sciatore a torso nudo sulle piste innevate. La vicinanza alla Capitale, in effetti, aveva presto eletto quella montagna a sede delle vacanze della società bene. Ed è lì, nell’Albergo “Roma”, sul piazzale di Pian de’ Valli, che Mafalda di Savoia, era andata per qualche giorno, lontano dall’afa della città, tra le faggete che, a poco più di 1600 metri, testimoniano di un’aria pura e rallegrano la vista. L’accompagnavano i figli Elisabetta ed Otto.

E qui s’inserisce un ricordo familiare. Anche mia madre, Anna Maria, ed io, di venti mesi, eravamo ospiti dell’Albergo Roma. Avevamo lasciato la città dove le condizioni di vita diventavano ogni giorno più difficili. Gli approvvigionamenti di generi alimentari erano sempre più scarsi e la tessera annonaria non consentiva un’adeguata alimentazione dell’intera famiglia. “In pratica mangiavi solo tu”, mi ha ripetuto più volte mia madre. Così, era stato deciso che lei ed io lasciassimo la città per il Terminillo, ospiti della zia Lena (Maddalena), figlia dei proprietari dell’albergo Roma. Mio padre sarebbe rimasto a Roma, vincolato dal suo impegno di funzionario del Ministero delle finanze.

Mia madre ha continuato negli anni a ricordare della Principessa, ammirata per il garbo che aveva con tutti e per la sua attenzione materna. Infatti, pur avendo una cameriera e, ovviamente, la disponibilità piena e entusiasta del personale e dei proprietari dell’albergo, si recava personalmente in cucina per seguire la preparazione dei pasti per i suoi figlioli. Le foto ritraggono me che guido una automobilina a pedali con il principino Otto, quasi mio coetaneo, che cerca di impossessarsi del mezzo e la Principessina Elisabetta che assiste sorridente. Scene di ordinaria serenità sull’orlo dell’immane tragedia che di lì a poco avrebbe portato la Principessa in un campo di concentramento nazista a morire di stenti.

Eravamo alla vigilia del 25 luglio, quando il Gran Consiglio del Fascismo, a maggioranza, nella consapevolezza della guerra perduta, aveva deliberato di restituire al Re Vittorio Emanuele III i poteri sovrani e costituzionali. Era la fine del Fascismo resa palese dalla destituzione di Benito Mussolini. E, di seguito, dalla successiva pace separata con gli anglo americani, annunciata l’8 settembre con un seguito di difficoltà d’ogni genere per la massiccia presenza di truppe tedesche in Italia, aizzate da Hitler contro i “traditori”, in primo luogo il Re che si era staccato dall’alleanza e che, nel frattempo, per assicurare continuità allo Stato ed un minimo di coordinamento nelle aree occupate da americani ed inglesi, si era trasferito con il Governo a Brindisi.

In quei giorni, appena tornato da Berlino, dove aveva incontrato Hitler, Re Boris III di Bulgaria, marito di Giovanna di Savoia, era in fin di vita. Il sospetto è che il dittatore tedesco l’abbia fatto avvelenare. Mafalda si precipita a Sofia dalla sorella e resta per i funerali del cognato. Non al corrente dei pericoli, Mafalda viene a sapere dell’armistizio nel corso del suo viaggio di ritorno quando, alla stazione ferroviaria di Sinaja, in piena notte, alle 3, viene informata dalla regina Elena di Romania, che aveva fatto fermare appositamente il treno e aveva tentato invano di farla desistere dal rientro in Italia.

Mafalda è smarrita, disorientata ma decide di rientrare a Roma per ricongiungersi con i figli e la famiglia, incurante dei rischi. S’illude che la sua condizione di principessa tedesca, moglie di un generale tedesco, il Principe Filippo d’Assia, la metta al riparo dai pericoli. A Budapest, con l’ausilio dell’Ambasciata italiana, l’11 settembre, lasciato il treno, la principessa prende un aereo con destinazione Bari. Ma l’aereo fa scalo a Pescara e la principessa alloggia a Chieti per qualche giorno per poi riprendere il viaggio per Roma che raggiunge il 22 settembre dove può riabbracciare i figli che erano stati accolti in Vaticano da Monsignor Montini, il futuro papa Paolo VI, escluso il maggiore, Maurizio, che era in Germania. Sarebbe potuta rimanere anche lei al sicuro in Vaticano, ma il 23 mattina si reca all’Ambasciata tedesca invitata con la scusa di rispondere ad una telefonata che il marito le avrebbe fatto da Kassel in Germania. Era un tranello. In realtà Filippo d’Assia era già stato arrestato e rinchiuso nel campo di concentramento di Flossenbürg. Mafalda viene imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di Baviera, poi è a Berlino, infine deportata nel lager di Buchenwald, rinchiusa nella baracca n. 15 sotto il falso nome di “Frau von Weber”, anche se la voce della sua vera identità si sparge velocemente. La baracca è una di quelle per i prigionieri politici ai quali è riservato il vitto dell’esercito. Quando può Mafalda dona cibo e buoni per le sigarette agli italiani del campo.

Nel 1944 i bombardamenti in Germania si intensificano, e il 24 agosto tocca a Weimar e Buchenwald. Una bomba colpisce la baracca n. 15. Mafalda rimane gravemente ferita ad un braccio che il 26 agosto, sviluppatasi la cancrena, le viene amputato. Abbandonata, muore dissanguata. Le sue ultime parole sono per i compagni di sventura: “Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa ma come una vostra sorella italiana”.

È opinione del dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, che Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo, per provocarne la morte. Il metodo delle operazioni esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicato a Buchenwald ed eseguito sempre dalle SS su alte personalità di cui si desiderava sbarazzarsi.

Grazie all’intervento del prete boemo del campo, padre Joseph Tyll, il corpo della principessa non viene cremato, ma messo in una bara di legno e seppellito in una fossa comune con la dicitura: «262 eine unbekannte Frau» (“una donna sconosciuta”).

Trascorsi alcuni mesi, sette italiani, Corrado Magnani, Antonio Mitrano, Erasmo Pasciuto, Colaruotolo, Antonio Ruggiero, Apostolo Fusco e Giosuè Avallone, già appartenenti alla regia marina, tutti originari di Gaeta, decisero di recarsi al campo di concentramento di Buchenwald per mettersi alla ricerca della principessa. Trovarono la sua bara e si tassarono per apporvi una lapide identificativa.

Mafalda di Savoia riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia, nel castello di Kronberg im Taunus, vicino a Francoforte sul Meno.

La televisione ha ricordato Mafalda di Savoia con una miniserie diretta da Maurizio Zaccari, “Il coraggio di una principessa” tratta dal libro della storica Cristina Siccardi, “Mafalda di Savoia. Dalla reggia al lager di Buchenwald” (Paoline Editoriale Libri, 1999; 2020: quinta edizione), con una nota introduttiva del Principe Enrico d’Assia, secondogenito della Principessa.

Il ricordo è quello di una donna che, sin da ragazza, e per tutta la vita, mostra grande coraggio e forza d’animo fuori dal comune nell’affrontare gli ostacoli. Quando poco più che ventenne incontra il Principe Filippo d’Assia, il grande amore della sua vita, Mafalda riesce a sposarlo superando l’opposizione della sua famiglia, i Savoia, di Mussolini e del Vaticano, poiché Filippo d’Assia era di fede protestante e lei cattolica. Negli anni successivi, pur essendo divenuta una principessa tedesca, Mafalda non nasconde la sua avversità ad Hitler e al suo regime. E riesce anche a far cambiare opinione politica al marito.