Parola di Re
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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Mattarella ammonitore
fonte: www.marcelloveneziani.com
Non so di quali gravi problemi psicologici io soffra ma ogni volta che vedo in tv il presidente Mattarella mi sento uno straniero in patria. Anzi peggio, sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli. Nel mio stato allucinatorio lo vedo come un regnante assiro-babilonese, frutto di altre epoche e di altri mondi e il suo stile, il suo linguaggio, il suo incedere, il suo sontuoso copricapo bianco mi sembrano confermarlo. Sarà sicuramente una mia debolezza mentale, un trauma infantile o prenatale, ma non riesco mai a riconoscermi in quello che dice. Anzi penso quasi sempre il contrario di quel che dice, a parte il fondo inevitabile di ovvietà atmosferica e istituzionale con cui incarta il tutto e che è retaggio del suo ruolo protocollare.
Ma è possibile, mi chiedo preoccupato, che tutto quel che dice e persino il tono con cui lo dice, mi sembra sempre negare quel che mi sembra la realtà dei fatti, la storia vissuta, la vita reale dei popoli, il sentire comune, il disagio diffuso, la memoria storica, la percezione comune della realtà, oltre che le mie convinzioni ideali? Possibile che anche quando affronta temi che dovrebbero essere condivisi, come l’amor patrio o la celebrazione delle feste nazionali, lui riesca a dire il contrario di quel che mi aspetto da un Capo dello Stato e dal presidente degli italiani? L’Italia per lui non è la nostra patria ma il luogo d’accoglienza universale, una specie di gigantesca tenda da campo predisposta dalle autorità europee. Le identità dei popoli, per lui, sono un cancro da sradicare, un muro da abbattere. Vanno bene le identità individuali o di genere, ma non quelle nazionali, popolari, civili. Le migrazioni per lui vanno accolte e benedette; le diversità culturali e religiose vanno ammesse se riguardano gli stranieri, vanno invece rimosse se ricordano le nostre radici, altrimenti siamo intolleranti. Le nazioni per lui sono solo il preambolo funesto ai nazionalismi che sono la vera piaga del mondo; quando a me pare invece che i mali della nostra epoca siano piuttosto legati al suo contrario, allo sradicamento universale, alla cancellazione forzata delle identità, dei popoli e dei territori, al dominio cinico e apolide del capitale finanziario che non ha patria ma solo profitti; e ai flussi migratori incontrollati che in generale impoveriscono i paesi che lasciano e inguaiano quelli che invadono. Se un gruppo di migranti stupra una ragazza lui tace, se gli italiani dicono una sciocchezza contro i migranti o le donne, lui interviene per condannare. Non si perde mezza celebrazione che riguardi l’antifascismo e l’antirazzismo, è sempre lì a commemorare coi suoi discorsi, mentre salta vagoni di ricorrenze cruciali, di anniversari patriottici, di caduti per l’Italia, di vittime del comunismo, dei bombardamenti alleati, delle dominazioni altrui.
Se gli capita un IV novembre tra i piedi lui non ricorda la Vittoria ma solo la fine della guerra e non commemora l’Italia e i suoi soldati ma l’Europa. E se proprio deve celebrare un patriota, celebra l’eroe nazionale degli albanesi o di chivoletevoi, non un patriota dell’Italia. E sostiene come l’ultimo militante dell’Anpi che il fascismo è il male assoluto e non ha fatto neanche una cosa buona, negando l’evidenza storica: una cosa del genere non riuscirei a dirla neanche di Mao e Stalin che sono i recordman mondiali di sterminio, per giunta dei propri connazionali e per colmo in tempo di pace; notizie che al Quirinale non risultano mai pervenute.
E non c’è giorno che non ci sia una sua dichiarazione ecumenica e curiale nella forma ma velenosa e ostile nella sostanza contro il Demonio Assoluto: il populismo e il sovranismo, ossia il governo in carica, e tutto sommato, il voto maggioritario degli italiani. È una continua allusione polemica a ogni cosa che dice, fa e pensa Salvini. Poco manca che non insignisca la Isoardi di un cavalierato al merito per aver scacciato il drago da casa sua.
Ma possibile che il Capo dello Stato debba essere così opposto al comune sentire? Non mi aspetterei certo che dicesse il contrario di quel che pensa e del materiale bio-storico di cui è composto; non chiedo che si metta a gareggiare in demagogia tribunizia, ma è possibile che il presidente degli italiani la pensa solo come quelli che votano Pd, e sempre dalla parte opposta dei restanti italiani? Non è stato informato che quel Renzi che lo volle al Quirinale nel frattempo è caduto e non lo vogliono neanche nel Pd? Non sa che in Italia, in Europa, nel Mondo, quella visione politica che lui depreca ogni giorno, conquista maggioranze di consensi popolari in libere elezioni democratiche ed esprime i maggiori governi e capi dello stato? Mai uno sforzo, lui che dovrebbe essere l’arbitro super partes, garante di tutti, per capire e riconoscere quell’altra Italia, quell’altro mondo, che non la pensa come lui. Sta lì, nel cuore di Roma, come se il Quirinale fosse uno Stato Vaticano ai tempi del non expedit, rispetto all’Italia che lo circonda.
Naturalmente nei momenti di lucidità capisco che tutto questo è frutto di un mio stato di alterazione mentale, gli italiani invece sono entusiasti di Nuvola Bianca e dei suoi moniti, si bevono come oro colato le sue prediche indispensabili e lo considerano un santo, un sapiente e un oracolo. Però, non capisco perché quella mia allucinazione presidenziale mi fa quell’effetto eversivo-lassativo…
MV, Il Tempo 9 novembre 2018
Fino a Trieste, fino a Trento…
Il Teatro romano Sala Umberto, sabato tre novembre 2018, gremito in ogni suo ordine da monarchici appassionati, ma anche da non pochi estranei al nostro mondo, ha visto la partecipazione di ospiti prestigiosi.
In apertura, una delle più giovani iscritte al Fronte Monarchico Giovanile, ha letto il Bollettino della Vittoria, suscitando l’entusiasmo dell’attento pubblico.
Sono seguiti, alla presenza delle LL.AA.RR. Aimone di Savoia, accompagnato dai piccoli Principi, Umberto, Principe di Piemonte ed Amedeo, Duca degli Abruzzi, interventi di saluto dell’On. Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo, del Sen. Maurizio Gasparri e del Sen. Adolfo Urso.
Nel vivo dell’evento, si sono susseguite interessanti relazioni dell’On. Giuseppe Basini, del Prof. Salvatore Sfrecola e del Prof. Andrea Ungari.
Al Presidente dell’UMI, Alessandro Sacchi, l’onere delle conclusioni, nel generale entusiasmo, avendo tutti i presenti rievocato un alto momento della Storia Nazionale.
Applauditissimo il saluto, fuori programma, del Principe Aimone che ha voluto ringraziare i presenti, presentando per la prima volta i piccoli Principi.
Le note della Marcia Reale hanno accompagnato il finale della manifestazione confermando, per il numeroso pubblico e per l’alta qualità degli interventi, che l’Unione Monarchica Italiana è l’unica realtà politica interprete del monarchismo nazionale.
Il saluto dell'On. Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo
Vittoria, la più giovane iscritta al F.M.G., legge il Bollettino della Vittoria
il tavolo dei relatori
I piccoli Principi, Umberto e Amedeo, con S.A.R. il Principe Aimone di Savoia Aosta con il Prof.Marco Grandi
da sx. il Sen.Maurizio Gasparri, l'On.Antonio Tajani e dietro l'On. Adolfo Urso
la sala
S.A.R. il Principe Aimone di Savoia Aosta con Principi Umberto e Amedeo con il Presidente Alessandro Sacchi
Ridateci gli ispettori fluviali.
Navigavano in barca lungo i corsi d’acqua e segnalavano per tempo le criticità, poi sono stati tagliati. L’equivalente moderno potrebbero essere i droni
di SALVATORE SFRECOLA
C’era una volta il “sorvegliante idraulico”. Dipendeva dal ministero dei Lavori Pubblici, il suo compito era quello di percorrere con una barchetta un tratto di fiume per verificare che non ci fossero situazioni di pericolo dovute all’accumularsi lungo le anse di tronchi d’albero e rami secchi che, specialmente in alcune stagioni, avrebbero potuto provocare il rallentamento del deflusso delle acque e, pertanto, pericolose esondazioni. Senza andare lontano i romani sanno che, d’inverno, la base dei piloni dei ponti sul fiume Tevere è coperta di rami e tronchi d’albero che la corrente trascina a valle.
C’era una volta il sorvegliante idraulico, dunque. Adesso non c’è più. Col trasferimento di molte competenze alle regioni e successivamente con i tagli lineari dei bilanci ed il blocco del turn over questo strumento di tutela del sistema fluviale è stato abbandonato e non sostituito, come oggi sarebbe possibile, da altre forme di monitoraggio, con telecamere piazzare nei punti critici o con il periodico sorvolo dei fiumi come elicotteri e droni, in modo che le situazioni di pericolo possano essere segnalate tempestivamente per gli interventi del caso.
È evidente, per le dimensioni dei danni causati dal maltempo in questi giorni, che anche un efficiente sistema di controllo dei fiumi non avrebbe potuto evitare ogni danno. L’ampiezza delle precipitazioni e il forte vento che le ha accompagnate e che ha divelto ovunque alberi di alto fusto e fatto crollare abitazioni e scoperchiato tetti è un fenomeno eccezionale. Tuttavia è evidente che se il controllo dei fiumi fosse stato efficiente, com’era un tempo, gli effetti del maltempo sarebbero stati meno devastanti. Per cui è sbagliato enfatizzare l’imponderabile per sminuire la responsabilità di chi, a livello statale e regionale, non ha saputo monitorare il corso dei fiumi. Ed, infatti, se ne comincia a parlare.
Serietà vuole che la tutela del territorio sia affrontata con cognizione di causa, avendo presenti i problemi che giorno dopo giorno si possono presentare in ragione delle vicende atmosferiche e dell’incuria dell’uomo, per individuare le soluzioni di breve, medio e lungo periodo, come si deve da parte di un’amministrazione che abbia a cuore gli interessi dei cittadini.
Siamo di fronte ad una situazione che evidenzia un generale stato di abbandono durato troppo tempo per non imporre interventi straordinari non più rinviabili. Per evitare spese rilevanti di anno in anno erogate a seguito di calamità naturali i cui effetti sarebbe possibile limitare con una accorta gestione del territorio.
Insomma, spendiamo più per riparare i danni di quanto spenderemmo per prevenire.
È un vecchio problema italiano. La politica cerca i successi facili e la notorietà immediata, mentre un piano pluriennale di difesa del territorio, che pure impegna risorse notevoli creando anche nuovi posti di lavoro e l’impegno di risorse che stimolano l’attività di imprese private, non viene percepito allo stesso modo dal cittadino e quindi sul piano elettorale per partiti che guardano alla prossima elezione e non agli interessi delle generazioni future, come ricordava spesso Alcide De Gasperi. Miopia assoluta, perché un grande piano di sistemazione del nostro territorio avrebbe risvolti certamente positivi sull’opinione pubblica e darebbe lustro all’autorità politica e alla maggioranza parlamentare che se desse carico.
Ugualmente può dirsi di altri aspetti del sistema di gestione del territorio, come la messa a norma e in sicurezza degli acquedotti che, si continua a leggere sui giornali, perdono intorno al 50% della loro portata, una misura assolutamente inammissibile in un paese civile dove, come ovunque, l’acqua costituisce un bene primario per i cittadini, quell’acqua che la Roma repubblicana e imperiale portava in tutto il mondo attraverso acquedotti che ancora oggi si ergono maestosi nelle città e nelle campagne a dimostrazione di una capacità di amministrazione che evidentemente nel tempo abbiamo perduto.
E dal momento che parliamo di assetto del territorio non possiamo trascurare anche la condizione delle coste, erose pericolosamente in alcune zone con danni alla popolazione locale e alle attività di carattere balneare che in Italia impiegano vasta mano d’opera e rilevanti risorse finanziarie private. Infine, che controlla i boschi? Anche in questo caso l’accumularsi di rami e fogli secche nel sottobosco costituisce nelle torride estati di questi anni l’esca ideale per gli incendiari.
Concludendo, questo Paese ha bisogno di guardare con concretezza ai problemi del territorio e dell’ambiente per evitare che si debbano rincorrere di anno in anno gli effetti di emergenze di varia natura, con impiego di risorse rilevanti che, se confluissero in un piano pluriennale di interventi, avrebbero sicuramente l’effetto di diminuire le conseguenze dannose di calamità naturali che si accaniscono su cose e persone, anche in conseguenza del vasto, tollerato abusivismo edilizio in aree pericolose, come quelle limitrofe alle rive dei torrenti e dei laghi, o lungo le coste, in prossimità della battigia.
Manca lo Stato, non solo perché ha perso per strada la barchetta del sorvegliante idraulico, ma perché lascia soli gli amministratori locali di fronte alle prepotenze o alle lusinghe degli autori delle costruzioni edilizie in zone non consentite. Il sindaco è debole, non ha poteri adeguati, spesso è condizionato dall’ambiente, dai padroni dei voti, dall’opinione pubblica locale dove abbondano i favorevoli all’aggiramento delle norme. In questi casi è necessario intervenga lo Stato i funzione sostitutiva.
Il governo del cambiamento lo sarebbe effettivamente se mettesse fine a questo stato di cose, da troppo tempo denunciato e mai seriamente affrontato.