Parola di Re
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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Cosa ci insegna l'abbattimento delle statue confederate
di Davide Simone
I sudisti, i nordisti e quel paradosso italiano (ma non solo) L'ondata iconoclasta sui simboli "sudisti" ci offre lo spunto per una riflessione su un paradosso interno alla politica del nostro Paese. Generalmente ostile ai secessionismi interni come esterni, la destra nazionalista italiana (nelle sue varie e variabili sfumature ma qui intesa come unitarista) tende infatti a simpatizzare per la causa confederata. Un paradosso a ben vedere solo apparente, in realtà decifrabile volendo prendere in considerazione i seguenti aspetti: - L'ammirazione per un modello reazionario; -L'ammirazione per una società di tipo agricolo e patriarcale, vista come emblema della tradizione (il ruralismo è ad esempio una filosofia che nasce a destra, accolta solo in un secondo tempo a sinistra); -L'avversione per il modello uscito vincente dalla Guerra di Secessione, ossia gli USA (questo vale soprattutto per le destre nazionaliste anti-atlantiche); -L'avversione per lo status quo (questo vale soprattutto per le destre nazionaliste anti-sistemiche); -Il mito, nietzscheano – evoliano, del Superuomo e della caduta. Anche una certa sinistra, tuttavia, si segnala per una paradossale vicinanza, politica e sentimentale, alla vecchia CSA*, in ragione di un intreccio di fattori non molto diversi**.
Più nel dettaglio: - L'avversione per gli USA; - L'avversione per il modello industriale rappresentato dagli stati nordisti, inteso come un emblema del capitalismo sfruttatore;- L'avversione per lo status quo.
Per gli stessi motivi, ai quali andrà aggiunto l'elemento identitario, alcuni segmenti della sinistra italiana, persino marxista, rientrano nel movimento d'opinione filo-borbonico, nonostante il Regno delle Due Sicilie fosse uno Stato monarchico e reazionario, legato a doppio filo alle gerarchie ecclesiastiche.
*Confederate States of America
**nei loro lavori sul 1861-1865, storici di sinistra come Luraghi hanno non a caso fornito una ricostruzione vicina alla Lost Cause
Il magistrato che entra in politica rinunci alla toga
di Salvatore Sfrecola
( tratto da: https://www.unsognoitaliano.eu/2020/06/20/il-magistrato-che-entra-in-politica-rinuncia-alla-toga/)
Leggo e rimango allibito. Giusy Bartolozzi, parlamentare di Forza Italia, intervistata da La Stampa, afferma, senza che nessun dubbio la sfiori, che non lascerà la toga di magistrato quando sarà terminato il suo impegno in Parlamento. Ritiene, anzi, che sia un suo diritto: “impedire a un giudice di tornare al proprio lavoro non è costituzionale”, sostiene, e minaccia di ricorrere alla Consulta nel caso le fosse impedito.
Sono allibito per la tracotanza con la quale questa Signora afferma ciò che, agli occhi dei cittadini, appare assolutamente innaturale: che un giudice, il quale si sia dedicato alla politica, pretenda di poter tornare a rivestire quel suo ruolo, una volta cessato l’incarico politico che, sostiene, ha svolto “come tecnico”.
Questa persona non ha il minimo senso di quello che, a mio giudizio e secondo l’opinione prevalente dei cittadini, deve essere la funzione e l’immagine del magistrato al quale la legge attribuisce il ruolo, fondamentale in tutti gli ordinamenti, fin dai più antichi, di garantire a tutti i componenti di una comunità organizzata in stato, la pacifica convivenza attraverso la tutela dei diritti e la punizione delle azioni previste come reato. Questo ruolo, che un tempo veniva definito con enfasi “missione”, esige indipendenza assoluta, soggezione “soltanto alla legge”, come si esprime l’art. 101 della Costituzione. Indipendenza prevista dalla legge, ma garantita soprattutto dalla persona, dalla sua etica professionale. Perché, di fronte ad un magistrato che entra in politica, che si schiera in un partito o a fianco di un partito, secondo l’ipocrita usanza dell’iscrizione in una lista elettorale come “indipendente”, il cittadino può legittimamente avere il dubbio che, nell’esercizio delle sue funzioni di magistrato, sia stato condizionato dalla sua appartenenza politica e dall’aspettativa di una candidatura. Ed è ancor più grave che una persona che ha fatto politica, che si è schierata, torni a fare il magistrato, che passi da una condizione naturalmente “di parte” ad una istituzionalmente “neutrale”.
Sembra così naturale che stupisce che una persona intelligente e colta non lo comprenda. Qui non si tratta di diritti costituzionali, che ogni cittadino ha e che quindi ha anche il magistrato, anche se l’art. 98, comma 3, prevede che “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”. Chi ha orecchie per intendere intenda. È evidente che con la limitazione di iscrizione si vuole tenere fuori dalla politica attiva alcune categorie di pubblici dipendenti titolari di funzioni particolarmente rilevanti e di interesse generale. Per il magistrato, in particolare, si vuole che sia e appaia neutrale agli occhi del cittadino. E non appare indipendente il magistrato che scende in politica, con buona pace dell’On. Bartolozzi la quale sostiene che coloro i quali vogliono escludere il ritorno in magistratura “sognano ancora un magistrato che sta sotto la sua campana di vetro, non ha sue idee, non ha opinioni”. Non è così. Il magistrato, come ogni cittadino ha le sue idee e le sue opinioni ma non deve attuare comportamenti che possano far dubitare che opinioni e idee lo condizionano. E il dubbio viene a chi sa che quel magistrato si vuol candidare o è stato in politica, che partecipa a convegni di partito, che sottoscrive mozioni le quali dimostrano che è schiarato per una parte politica, come ha ricordato Giuseppe Valditara, Ordinario di diritto romano a Torino, nel suo libro “Giudici e legge” (Pagine editore), richiamando i documenti di alcune correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati, in particolare di Magistratura Democratica, che sono autentici proclami di partito. Perché il cittadino non debba preoccuparsi oltre degli orientamenti giurisprudenziali del suo giudice ma anche della sua fede politica che può condizionare, come è stato più volte rilevato, l’interpretazione delle leggi, quella definita “creativa”.
L’On. Bartolozzi attribuisce le tesi contrarie al rientro in magistratura agli effetti della “degenerazione del correntismo”. È vero, ma quella degenerazione non è solo nella “contrattazione” sistematica con i rappresentanti togati del Consiglio Superiore della Magistratura e con esponenti dei partiti, “rivelata”, ma a tutti nota da sempre, dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Perugia, ma nella elaborazione non di indirizzi interpretativi delle norme di legge, sempre utili, ma nella indicazione al legislatore di scelte che sono patrimonio della filosofia politica e morale. Le intercettazioni, in particolare, pubblicate da La Verità hanno dato conto di scelte chiaramente politiche anche nei provati conversari.
Questo aspetto, che attiene all’indipendenza dei magistrati è uno dei passaggi fondamentali di una riforma che il popolo italiano attende perché da coloro i quali decidono in suo nome, come dice la Costituzione, deve pretendere il massimo di indipendenza. Credo sarebbe giusto impedire il passaggio dai Tribunali alle Camere, come conseguenza del fatto che i magistrati non si possono iscrivere a partiti politici, che tradotto in linguaggio comune, significa non devono far politica, ma è certo che tornare indietro deve essere vietato. Si troverà all’ex parlamentare una adeguata posizione all’interno dell’apparato del governo, ad esempio mediante l’inserimento nel ruolo degli Avvocati dello Stato, che hanno lo stesso trattamento economico dei magistrati ma una funzione diversa, quella di difensore del governo nei Tribunali e nelle Corti.
L'opinione di Giuseppe Borgioli
USTICA E LA RAGION DI STATO
di Giuseppe Borgioli
Sono passati 40 anni da quando nel cielo di Ustica sparì nel nulla il DC 9 dell’ITAVIA diretto a Palermo con 81 passeggeri, fra i quali 12 bambini. “Sparito nel nulla” non è l’espressione esatta perchè il corpo lacerato del velivolo fu ritrovato e recuperato in fondo al mare. Dopo indagini e inchieste si è giunti alla conclusione che il DC 9 fu colpito (verosimilmente per sbaglio) da un missile. Nessun guasto tecnico né attentato. Nei cieli di Ustica, nei nostri cieli, si svolta una vera battaglia aerea pagata al caro prezzo della perdita di 81 vite umane. Eppure sono passati 40 anni e non mi risulta che la repubblica abbia sentito il dovere, attraverso le autorità che la rappresentavano, di chiedere scusa ai familiari lasciati senza uno straccio di spiegazione. Ho usato l’espressione “chiedere scusa” ma avrei dovuto dire “chiedere perdono”. Francesco Cossiga che era un esperto dei segreti nazionali, ormai in età avanzata, dopo aver ricoperta la carica di presidente della repubblica, quando la sua parabola politica si avviava al capolinea, fece una dichiarazione inquietante che è stata accolta e sepolta nel silenzio. Né richieste di chiarimenti, né proteste ufficiali, né azioni di alcun tipo. Solo il silenzio, il silenzio come si dice assordante di chi dimentica e vuol fare dimenticare. Sembra che nel cielo di Ustica, quella dannata notte, sulla rotta Bologna-Palermo, ci fossero aerei equipaggiati da guerra di varie nazionalità. Nella scia del nostro DC 9 con a bordo ignari passeggeri volava un MIG libico che (fonte Cossiga) trasportava Gheddafi e veniva così protetto dall’aereo delle linee civili. Per colpire il MIG libico un missile sbagliò bersaglio e colpì il DC 9. Cossiga – ripeto giunto al capolinea della sua carriera e della sua vita – puntò il dito sulla nazione alleata e cugina, la Francia. Cosa è accaduto in seguito? Niente. O meglio si sono succedute le commemorazioni con scadenza annuale. Condoglianze ai familiari e parenti, rassicurazioni sulla verità che sarebbe stata accertata. Così di anno in anno. L’opinione pubblica prima si emoziona, poi lentamente archivia il passato e Ustica è stata derubricata sotto la voce disastro aereo. Sempre Cossiga, riferì che il pilota francese, rientrato alla base e venuto a conoscenza del suo tragico sbaglio si suicidò. Gli interrogativi sono ancora tanti in questa storia infinita di attentati che hanno colpito l’Italia di quegli anni. Per esempio, se il MIG libico viaggiava al riparo sotto il cono d’ombra del DC 9 era stato autorizzato da qualcuno? Proteggere Gheddafi poteva essere intesa come una priorità nazionale. Questa ferita ancora aperta sta a dimostrare che il Mediterraneo era ed è un mare caldo dove si combatte una guerra guerreggiata e dove si scontrano interessi politici ed economici globali. Ma sta a dimostrare anche che l’unico modo di salvare la ragion di stato è dire la verità, sempre.