1° maggio: la festa del lavoro sia un impegno della politica per crescita e sviluppo

Quest’anno la Festa del Lavoro viene celebrata nel contesto di una crisi economica profonda che preoccupa vivamente gli italiani, qualunque sia il settore nel quale operano, industria, commercio, turismo, professioni. Una crisi dalle prospettive incerte per una stasi prolungata che ha fatto perdere commesse e clientele, e per la quale non è facile immaginare una ripresa in tempi brevi, assente la politica, incapace di delineare un progetto di sviluppo credibile e sostenibile.

L’Unione Monarchica Italiana, erede dell’antica sensibilità sociale dello stato liberale che, in momenti difficili, quando la classe politica non aveva maturato ancora una diffusa attenzione per le condizioni del lavoro, seppe favorire, fin dal 1890, la celebrazione di una Festa che ha aperto una stagione virtuosa di riconoscimento di diritti fondamentali, al lavoro e alla sicurezza nei luoghi di lavoro in un percorso purtroppo ancora da completare, chiede con forza alla politica un impegno straordinario, capace di perseguire concretamente ed in tempi brevi obiettivi di crescita e sviluppo che siano fonte di generale benessere per ogni regione d’Italia.

I monarchici italiani, preoccupati per le diffuse povertà, antiche e nuove, che offendono la dignità delle persone, tornano a segnalare la necessità di definire in tempi brevi un piano straordinario di interventi infrastrutturali e di difesa dell’assetto idrogeologico del territorio, da finanziare con risorse pubbliche sottratte agli sprechi e un grande prestito nazionale riservato agli italiani, conveniente per i sottoscrittori e rispettoso degli equilibri di bilancio, che sia il volano di una ripresa economica che realizzi diffuso benessere tra i nostri concittadini.

Roma,30.04.2020

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

L’Unione Monarchica Italiana, la più antica e numerosa associazione monarchica, abbruna le sue Bandiere per la scomparsa di Fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta.

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IL PREZZO DELLA LIBERTA’

di Giuseppe Borgioli

A molti non sarà sfuggito che le celebrazioni del 25 aprile di quest’anno hanno assunto un carattere più dimesso ma nello stesso tempo più sentito.  A nostro parere non era tanto gioco la ricorrenza storica del ’45 quanto la generale insofferenza per le giornate che il popolo Italiano è costretto a trascorrere come ha detto qualcuno agli arresti domiciliati. Questa dannata quarantena, che non finisce mai, mal sopportata da tutte le famiglie e magnificata dalle autorità ufficiali, sta costringendo a vivere nell’angoscia del presente e nella paura del futuro milioni di Italiani. Questi nostri concittadini non sanno se quando usciranno di casa troveranno ancora un lavoro. Non sono preoccupazioni da poco. Il premier Conte ha appaltato la politica a un non meglio precisato comitato tecnico scientifico di virologi che passano più tempo negli studi televisivi che nei laboratori. Hanno costoro un concetto di scienza che rassomiglia poco a quello di Karl Popper. Per Karl Popper la scienza merita di essere considerata tale se offre delle chiavi di falsificazione. Un’affermazione scientifica quando prevede gli eventi non si accontenta di essere verificata nella realtà ma deve indicare anche le circostanze in cui tali predizioni vengono falsificate. I nostri virologi hanno detto tutto e il contrario di tutto con la pretesa di non aver sbagliato mai. Del resto di questi virologi si conoscono bene i curricula e le frequentazioni politiche che gli hanno valso cariche, onori e fondi governativi e del CNR. Per carità, non vogliamo togliere a nessuno il suo quarto d’ora di celebrità. Sono i politici che rifuggono la responsabilità di decedere e si nascondono dietro questi onesti professionisti. 50 giorni di quarantena ci hanno insegnato ad apprezzare la libertà e a capire quanto sia da farisei contrapporla alla salute. La definizione americana della libertà sancisce il diritto riconosciuto a ciascuno di perseguire la felicità a modo suo. Molti, virologi e politici, stentano ad accettare la libertà.  La loro vocazione è tenere i cittadini sotto controllo, mappare tutto ciò che è mappabile. Siamo ben consapevoli che di fronte alla pandemia anche la libertà è sottoposta a eccezioni. Ma si tratta di eccezioni, la regola aurea rimane la libertà: La libertà di culto, la libertà di movimento, la libertà di espressione, quella stessa libertà che è nella natura dell’uomo creato. Non per nulla abbiamo declinato i diritti come naturali. La repubblicana si è vergognata di rendere omaggio al diritto naturale. Ma i principi fondamentali si richiamano a questa articolazione del diritto. Il Re era il Custode dello Statuto. Luigi Einaudi cercò di interpretare la figura di Presidente con questo spirito. Poi l’onda lunga della politica italiana seppellì queste intenzioni. Oggi, Sergio Mattarella, sempre più simile ad un sarcofago egizio (con tutto rispetto per gli esemplari conservati al museo egizio di Torino) è tutto tranne che il guardiano delle libertà. È arrivato il momento che gli Italiani come il 25 aprile di 75 anni fa prendano loro in pugno la bandiera delle loro libertà.

 

Da poco è passata la festa del 25 aprile e fra poco vi sarà quella del 1° maggio.  La retorica della sinistra post comunista ha festeggiato il 25 aprile con la canzone Bella ciao, che dovrebbe ricondursi alla lotta partigiana in Emilia. Ma io ricordo che l’Italia è stata liberata, in larga misura, da partigiani che erano militari del Regio Esercito, che non hanno voluto arrendersi ai Nazisti e alla Repubblica di Salò filo nazista e sono andati sulle montagne, a combattere : che cantavano canzoni della prima guerra mondiale, o canzoni di montagna, alcuni monarchici, come Edgardo Sogno, altri del partito d’azione, altri delle Brigate Matteotti  delle Brigate Garibaldi, in cui a fianco di comunisti veri militavano molti coraggiosi che lottavano per la libertà, che non erano, come il Conte Pietro Bellini delle Stelle, che catturò Mussolini a Dongo, nella autocolonna tedesca  diretta alla Svizzera. Nella mia memoria, è oggi particolarmente viva la bandiera del Gruppo di combattimento Legnano, del Regio Esercito, che operava ai bordi della Valtellina, fra il 25 aprile e il primo maggio.

 GRUPPO di COMBATTIMENTO LEGNANO

68° Reggimento fanteria

Reggimento fanteria speciale

11° Reggimento artiglieria

Li battaglione misto del genio

Servizi

 

Quella bandiera io la vidi quando, studente della prima liceo, come altri mie compagni di scuola, scortavo in bicicletta i camion con i soldati del Terzo Reich che si erano arresi e, con la testa piegata in avanti nell’elmo rotondo e il fucile con la punta a in basso, viaggiavano lentamente verso il confine svizzero. Il vessillo tricolore dei soldati della fanteria motorizzata Legnano, che sventolava, nel cielo luminoso, aveva nel suo centro un guerriero medievale con lo scudo in basso nel braccio sinistro e con la spada levata in alto nel braccio destro: che simboleggiava la vittoria della Lega Lombarda nella Battaglia di Legnano contro il Barbarossa, nel II Secolo.    

Avevo imparato a conoscere l’immagine a Busto Arsizio, quando frequentavo le scuole elementari Enrico dell’Acqua e la maestra ci spiegava la poesia di Giosuè Carducci sulla battaglia di Legnano, che allora si doveva imparare a memoria. Il Barbarossa, infatti, per la conquista di Legnano, che si era ribellata al suo dominio, si era insediato, con il suo esercito teutonico a Busto: di fianco appunto a Legnano.  Dopo la battaglia, Busto era piena di cadaveri che furono bruciati. Perciò nel nostro stemma, diceva la maestra, ora ci sono due B. La prima B di Busto derivava dal termine latino comburerere, bruciare, a ricordo del fuoco delle acciaierie di Busto dal millennio prima di Cristo in poi al medio evo di allor; B voleva “bruciato”, arso come i cadaveri della battaglia di Legnano, e come la parola Arsizio. Ciò che del racconto era rimasto nella mia fantasia non era la poesia di Carducci: era l’immagine di quel guerriero snello, coperto di maglino di fil di ferro, con la spada sottile in alto, che la avevo vista Legnano alla fine della quarta elementare. Allora, in estate ci andavo spesso, in tram da Busto, perché mi preparavo per saltare gli esami di quinta. E per le lezioni di ginnastica, materia obbligatoria, andavo a Legnano, ove svettava la statua ad Alberto da Giussano, con lo scudo in basso e la spada in alto, il guerriero leggendario, che nella poesia di Giosuè Carducci guidava i soldati della Lega Lombarda.  Ora, nella primavera del 1945, quella figura la rividi nel tricolore dell’esercito italiano, che affiancava gli alleati nella liberazione, che faceva capo al governo provvisorio del Regno di Italia che si era insediato Brindisi. 

Avevo 16 anni e la mia famiglia, oramai, dal 1940 viveva al Sondrio in Valtellina, ove avevo frequentato il ginnasio e nel 45’ stavo terminando la prima liceo.  Facevo parte della pattuglia di studenti, che il 28 Aprile erano stati arruolati provvisoriamente dal Fronte di Liberazione Nazionale, per condurre verso il confine svizzero i camion con i soldati tedeschi con l’elmo e il fucile abbassati, che si arrendevano. Così verso il confine, vidi sventolare a bandiera della Lega Lombarda, che il gruppo di combattimento Legnano aveva come proprio stemma. Il gruppo motorizzato Legnano insieme alle truppe alleate, aveva rotto la Linea gotica a Sud di Bologna e dopo ver aveva liberato molte aree del Nord di Italia, ove ancora i nazifascisti avevano focolai di resistenza, si era insediato a vigilare il confine.  Quella immagine ci riempiva di orgoglio, perché voleva dire che a liberarci, fra le truppe alleate che avevano vinto la guerra, c’erano anche i militari dell’esercito regolare italiano.  Quella bandiera levata in alto, in segno di vittoria, voleva dire che c’era una continuità fra la liberazione dagli invasori del passato e quelli recenti. Eravamo al quarto risorgimento, dopo quello dell’alto medio evo, quello del rinascimento e quello del Regno di Italia. Le forze armate italiane ora partecipano a un quinto rinascimento, in un’altra aspra guerra, per cui intravediamo una prima vittoria, quella contro il Corona Virus, che dalla Cina, è stato trasmesso, sin dal gennaio, in Lombardia senza nessuna allerta preventiva da parte dei cinesi e da parte dell’Organizzazione Mondiale della sanità. E s’è propagata nelle Regioni circostanti. Dopo l’allerta, si sono mobilitate le forze armate. Ma non sistematicamente per affiancare la Protezione Civile In gran parte sono intervenute su richiesta delle popolazioni, delle Regioni e dei Comuni e di altre autorità decentrate.  L’Associazione Nazionale Alpini con il suo personale sanitario, medico chirurgico, ha operato nel controllo dei viaggiatori in arrivo negli scali di Milano Malpensa, di Torino Caselle, di Bergamo Orio al Serio.  I carabinieri stanno attuando un fitto controllo territoriale del rispetto delle regole di accesso alle strade stabilite per la prevenzione del contagio da Corona Virus, su richiesta del Ministero degli Interni. Ed ora, con le inchieste della magistratura, controllano le strutture sanitarie dei ricoveri degli anziani, su cui la Protezione Civile non aveva emanato alcuna specifica regolamentazione di protezione preventiva. Gli Alpini, mediante l’ANA, su richiesta del Comune, hanno installato a tempo di record, un grande ospedale da campo a Bergamo per il ricovero di malati gravi di Covid-19. La Brigata Bersaglieri “Garibaldi”, con le sue operazioni logistiche ha attrezzato il grande Ospedale del Mare di Napoli. per le terapie contro il Covid 19.

Reparti del Genio, e della Sanità dell’Esercito, hanno realizzato gli ospedali da campo di Crema, Cremona, Piacenza, per le terapie intensive contro il Corona Virus 19.

Last but not least attraverso l'utilizzo di tecnologie satellitari e informatiche, le unità delle trasmissioni realizzano e gestiscono un sistema che, in tempi rapidissimi, è in grado di assicurare agli operatori sanitari, apparati telefonici e postazioni dati con tutti i servizi di comunicazione richiesti per lo scambio e la trattazione dei dati sensibili relativi ai pazienti assistiti.  Ora la bandiera tricolore della Legnano, con la Spada in alto, in segno di vittoria nella guerra per la libertà, va alzata in onore dei nostri militari.

Ma sorge anche un quesito: perché non si è chiesto alle nostre forme Armate di realizzare, con le sue elevatissime competenze informatiche e con le sue attrezzature, la App per il controllo del corona virus? Controllo che, in realtà, si attuerebbe in modo più razionale e più rispettoso della privacy telefonica, mediante un braccialetto elettronico, dotato di molto maggiori dati sulla salute delle persone, da loro stessi utilizzabili. Ciò eviterebbe una gara fra operatori privati e realizzerebbe una rigorosa tutela della sicurezza nazionale e della salute.    

da sx: l'Avv. Alessandro Sacchi, Presidente Nazionale dell'U.M.I.,l'Ing. Piero Stroppiana,la Contessa Laura Sogno, l'Avv. Edoardo Pezzoni Mauri, Vicepresidente Nazionale dell'U.M.I.,e l'On. Prof. Francesco Forte, già Ministro delle Finanze

di Edoardo Pezzoni Mauri

portavoce del Comitato Edgardo Sogno

Il 22 aprile 1946 l’allora Principe e Luogotenente Generale del Regno d’Italia Umberto di Savoia emanò un decreto legislativo luogotenenziale che recitava “A celebrazione della liberazione del territorio italiano il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale”.

Alla liberazione del territorio nazionale concorsero vari soggetti e, se nel meridione l’opera di liberazione avvenne esclusivamente grazie alle truppe Alleate, nel nord d’Italia a essa contribuirono significativamente molti italiani, dai più svariati orientamenti politici, i quali, consci della necessità di partecipare alla rinascita della Patria morale, iniziarono a organizzarsi ben prima della caduta del regime. Con un ordine del giorno datato 23/8/1943, quando nulla ancora di ufficiale si sapeva sulle trattative di armistizio in corso tra il governo Badoglio e gli Alleati, “Il comitato delle opposizioni di Milano sta prendendo misure adeguate per dirigere la lotta e dare disposizioni alle classi lavoratrici”.

Ruolo fondamentale nella guerra al regime repubblicano-fascista ebbe sicuramente l’Organizzazione Franchi. Dopo l’8 settembre, infatti, Edgardo Sogno (Franco Franchi) si impegnò nella Resistenza armata, dapprima come rappresentante del Partito Liberale nel Comitato Militare piemontese e, successivamente, alla testa della Organizzazione Franchi, da lui stesso creata in accordo con la Special Force britannica e – infine – come membro del Comando Militare generale del CLNAI, in rappresentanza del PLI.

Non starò qui a ricordare il ruolo fondamentale che ebbe la Franchi nella guerra di Liberazione, l’imprescindibile compito di raccordo con i comandi Alleati (inglesi in particolare), l’attività di logistica nella gestione dei lanci di rifornimenti (Pom pom pom pom. Qui Radio Londra. Messaggio speciale per la Franchi. Felice non è felice ...); chi lo vorrà potrà trovare tutte le informazioni nei libri scritti da Sogno stesso: “Guerra senza bandiera” (Mursia), avvincente racconto, quasi romanzesco, degli anni di guerra e delle rocambolesche avventure dei suoi protagonisti o “La Franchi” (Il Mulino), analitica descrizione dell’organizzazione militare da lui fondata e comandata.

In questa sede voglio ricordare le ragioni ideali che spinsero Eddy all’azione e che hanno spinto noi a fondare il “Comitato Edgardo Sogno”, per riprendere la fiaccola ideale delle battaglie del Comandante e per evitare che oblio e disinformazione deformassero la realtà storica.

L’impegno di Sogno nella guerra di liberazione nasce dai suoi più profondi ideali democratici e liberali, ideali che lo guidarono durante tutta la sua vita. Non ragioni di parte politica guidarono Sogno, non il desiderio di stravolgere o riformare la società, non la volontà di creare un mondo nuovo; solo il bisogno di rimettere nelle mani degli italiani il loro stesso destino.

Purtroppo la purezza di questa missione non è stata compresa da tutti o forse, pur compresa, è stata strumentalizzata da una certa retorica resistenziale, di matrice comunista, che mal sopportando la figura di un combattente autenticamente democratico (il cavaliere di cristallo lo definì l’amico di una vita Francesco Forte), ha tentato in tutti i modi di infangarne la memoria per garantirsi l’esclusiva sulla Resistenza. Sogno ha combattuto per la libertà, altri hanno combattuto per una sostituzione di regime, dal nero al rosso, ed essendo miseramente fallito questo loro diabolico disegno, è rimasto loro solo il gioco, ormai ampiamente scoperto, di intestarsi, in esclusiva, una battaglia che, per puro caso fortuito, li ha visti, per una volta, dal lato giusto della storia.

I funerali di Sogno, funerali militari, si sono svolti nell’agosto del 2000 nella Chiesa della Gran Madre di Dio in Torino. L’elogio funebre è stato pronunciato da Amedeo di Savoia Aosta, alla presenza delle principali cariche politiche dell’epoca, compresi esponenti del centrosinistra.

Nei mesi successivi con la moglie Anna, con le figlie Laura e Sofia, con Francesco e Carmen Forte, con Cinzia Rastello, Claudio Piretto, Giorgio e Luciana Mathieu, con i reduci della Franchi Piero Stroppiana e Maria Giulia Cardini, e con tanti altri amici abbiamo deciso di fondare il Comitato Edgardo Sogno, per difendere la memoria del Comandate ma soprattutto per cercare di portare alla conoscenza dei più la modernità del suo pensiero politico, pensiero che, dalla fine della guerra sino agli ultimi giorni prima di morire, non ha mai smesso di elaborare, raffinare, divulgare e che se anche solo parzialmente applicato, vedrebbe l’Italia in condizioni ben migliori rispetto a quelle in cui oggi drammaticamente versa.

Vorrete quindi perdonarmi se, sul finire di queste brevi note, mi autorizzo a una rapida digressione personale e sentimentale.

In questi anni di attività il Comitato Sogno ha fatto tante cose: dalla lapide sulla casa del Comandante (sotto la quale ci troviamo, da 18 anni, ogni 25 aprile e sotto la quale ci ritroveremo nuovamente presto) ai convegni, pubblicazioni, commemorazioni. Se tutte queste attività sono state possibili è stato anche, e soprattutto, perché nel Comitato Sogno tutti noi abbiamo trovato una seconda casa e stretto amicizie molto forti e intergenerazionali, consentendo il passaggio di una fiaccola ideale da chi la guerra l’ha combattuta con le armi a chi, oggi, la combatte con le idee e col pensiero, contro nemici non meno insidiosi. Francesco Forte, che ne è oggi il Presidente (non onorario, mi dispiace Francesco, mai sei troppo importante come operativo, gli onori possono attendere…), ci ha guidati insegnandoci il necessario rigore scientifico. Grazie. E grazie anche a chi non è più con noi fisicamente, ma il cui esempio quotidianamente ci ispira: grazie ad Anna Sogno, poetessa della pittura, a Carmen Forte, impareggiabile “First Lady” (let’s talk about cakes), allo Strop, Piero Stroppiana, l’ingegnere (Pronto pronto sono Piero), a Maria Giulia Cardini. Continueremo la battaglia, la vostra battaglia e se veramente esiste un’altra vita ci ritroveremo di là, in un salotto come quello di Anna, o Carmen, a mangiare gorgonzola e salame, stappare spumante (Maria Giulia, solo dolcetto per te, lo so…) e progettare conferenze.