di Salvatore Sfrecola
C’è rischio che non potremo più sognare un “basin d’amore” sul ponte di Bassano, in pericolo per la prevista costruzione di una centrale idroelettrica a poca distanza. Costruito su disegno di Andrea Palladio (XVI secolo), più volte distrutto e ricostruito, noto ai più come il “Ponte degli Alpini”, il manufatto che ha reso Bassano nota in tutto il mondo insieme alla famosa canzone (Sul ponte di Bassano/ noi ci darem la mano,/ noi ci darem la mano/ ed un bacin d’amor) è al centro di una vertenza giudiziaria dinanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche che vede opposta l’impresa Belfiore ’90, che originariamente aveva ottenuto l’autorizzazione a costruire l’impianto, e la Regione Veneto che ha disposto la decadenza dell’autorizzazione unica alla costruzione e all’esercizio di una centralina idroelettrica. Dalla parte della Regione il Ministero per i beni culturali, Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza. Il provvedimento regionale di revoca dell’autorizzazione unica è stato impugnato dall’impresa ed il G.D., con decreto “inaudita altera parte”, ha accolto l’istanza di sospensione presentata dall’impresa.
Il Tribunale giudicherà nel merito del ricorso nel quale l’Avvocatura dello Stato si è costituita in difesa del Ministero per i beni culturali e, pur, rinviando alla difesa della Regione le argomentazioni a sostegno della revoca, spiega che l’originario provvedimento di concessione dell’autorizzazione deve intendersi nullo in radice, in assenza del parere del Ministero per i beni culturali che non ha partecipato alla Conferenza di servizi. In presenza delle esigenze di tutela di un bene storico, patrimonio culturale del nostro Paese, noto in tutto il mondo con una serie di vincoli sull’intera zona. Nelle more del giudizio l’Amministrazione potrà valutare se sussistano le condizioni di inibizione dei lavori ai sensi dell’art. 150 T.U. beni culturali, al fine della tutela dei vincoli sul Ponte di Bassano. Considerando anche che sono emersi rischi di crolli per alcuni immobili siti nell’area dove, secondo il progetto, si verrebbe ad insediare la centrale idroelettrica, in pieno centro storico di Bassano del Grappa. Oltre al Ponte sono a rischio il Castello di Ezzelino da Romano ed altri immobili notificati. Su questi manufatti storici e su un vasto territorio in cui ricade anche il sito previsto per l’insediamento dell’impianto idroelettrico è stato apposto un vincolo indiretto.
Nel corso della querelle amministrativo-giudiziaria quattro perizie di esperti di livello internazionale hanno certificato pericoli per la stabilità del ponte, con possibili gravi lesioni per alcuni edifici di importanza storico-artistica a causa della costruzione della centrale elettrica. Questa sorgerebbe a circa 15 cm dal palazzo Cà Priuli, oggetto di specifica perizia giurata. Nella procedura di valutazione di impatto ambientale risalente al 2009, sia in quella svoltasi nel 2016, non sono stati eseguiti da parte di organi tecnici pubblici sopralluoghi al palazzo Cà Priuli dove esiste, in base alle perizie, un concreto pericolo di crolli con danni all’incolumità delle persone che transitano sulla via Pusteria. Non è stato eseguito neppure un sopralluogo del Genio Civile di Vicenza che pure aveva autorizzato il progetto esecutivo della società Belfiore ’90. E non è stata consentita dal giudice delegato del TSAP, con apposito provvedimento, la partecipazione alle operazioni di verificazione degli esperti incaricati dal Comune di Bassano del Grappa. Ha lasciato, pertanto, interdetti la decisione monocratica, sia pure in fase cautelare, che si è pronunciata a vantaggio dell’impresa.
di Salvatore Sfrecola
Il Governo, si sente dire da tempo, preoccupato per “la paura della firma” che sarebbe diffusa tra i pubblici funzionari, vorrebbe escludere, in caso di danno erariale, la punibilità dei fatti dovuti a “colpa grave”. In pratica la Corte dei conti potrebbe giudicare solamente i casi di dolo, cioè i danni conseguenza di un illecito penale. È vero che la giurisprudenza del giudice contabile conosce il cosiddetto “dolo contrattuale”, in pratica la condotta in violazione di un obbligo di legge, ma la strada è irta di ostacoli, perché occorre sempre un danno all’erario evidente e quantificabile. Quel dolo sembra troppo una sanzione.
Così la Corte affila le sue armi e il suo Presidente, Angelo Buscema, porta in Consiglio di Presidenza, l’organo di autogoverno della magistratura contabile, il testo di una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al quale spiega le ragioni per le quali sarebbe gravissimo escludere la responsabilità di coloro i quali hanno causato un danno con quella negligenza che i giuristi romani definivano “nimia” (eccessiva, smodata) specificando che culpa lata (cioè la colpa grave) id est non Intelligere quod omnes intelligunt (Ulpiano). Anche chi non conosce la lingua di Cicerone comprendere che parliamo di una gravissima negligenza, di una trascuratezza non scusabile. Ed è quella che avendo prodotto un rilevante pregiudizio alla finanza e/o al patrimonio pubblico fa scattare l’obbligo del risarcimento. Per intenderci, una spesa non dovuta o eccessiva, l’acquisto di un bene non necessario, una minore entrata (per chi fosse complice di evasori fiscali), un danno al patrimonio, in particolare a quello storico artistico, come nel caso di chi favorisse con sue omissioni il furto o il deterioramento di un bene o mancasse di intervenire per evitare il crollo di un immobile o di una cinta muraria carica di memorie storiche la cui manutenzione sia stata colposamente trascurata nel tempo.
Insomma, eliminando l’ipotesi di responsabilità per colpa grave lo Stato e gli enti pubblici dovrebbero tenersi i danni compiuti da amministratori e dipendenti disonesti o incapaci, autori di fatti o di omissioni caratterizzati da quella grave trascuratezza che da sempre è stata punita. Sarebbe, infatti, impossibile perseguire gli sprechi che l’opinione pubblica denuncia quotidianamente e che indigna i cittadini onesti.
Nella sua lettera a Mattarella, che in più occasioni ha dimostrato speciale attenzione per la magistratura contabile, Angelo Buscema, ha spiegato le ragioni del disagio dei magistrati contabili. E facendo riferimento alle notizie che, informalmente, indicano in un prossimo decreto legge (che Mattarella dovrebbe emanare su deliberazione del Consiglio dei ministri) l’abolizione della colpa grave quale elemento costitutivo della responsabilità amministrativa, ha voluto ribadire, riferendo ai Colleghi il senso della sua lettera, “che un’attività amministrativa gravemente negligente o imprudente implica sempre un dispendio di risorse pubbliche con conseguente violazione dei principi basilari di buon andamento della Pubblica Amministrazione, di sana gestione finanziaria e di equilibrio di bilancio”. Ed ha aggiunto, con riferimento ad una opinione diffusa in sede politica e amministrativa, che “l’incertezza in cui operano i funzionari pubblici non può essere imputata alla Corte dei conti, ma discende, piuttosto, da una certa farraginosità e contraddittorietà di testi normativi, circostanza di cui, comunque, la magistratura contabile tiene conto ai fini dell’esclusione della colpa grave o, eventualmente, ai fini dell’esercizio del potere riduttivo”. Cioè con limitazione dell’ammontare del risarcimento a carico del responsabile del danno che la Corte può decidere di applicare, tenendo conto delle condizioni nelle quali ha operato, che non escludono la responsabilità ma la riducono.
Buscema riferisce di aver segnalato al Capo dello Stato che “l’abolizione della colpa grave e la configurabilità della responsabilità amministrativa soltanto nelle ipotesi di dolo potrebbe indurre funzionari pubblici a tenere una condotta negligente o imprudente, confidando sul fatto che la colpa grave impedirebbe la possibilità di ravvisare la responsabilità. Si creerebbe così un’area di immunità in contrasto con i principi costituzionali”.
Il tema ricorre frequentemente su questo giornale, che costantemente segue le vicende della Pubblica Amministrazione segnalando tanto le buone pratiche (poche) quanto le gravi inefficienze (purtroppo tante) che pesano sui cittadini e sulle imprese. Anche di recente abbiamo segnalato il basso livello professionale diffuso in molte amministrazioni in ragione di una dissennata politica del personale che ha “promosso”, senza concorsi e prove selettive con sistemi di automatico passaggio a livelli superiori, una grande quantità di pubblici dipendenti. Inquadrati per grazia ricevuta questi non sono in condizione di gestire pratiche di una certa importanza e manifestano timore per il reato di abuso d’ufficio e per la responsabilità erariale e vanno a lamentarsi dai politici sostenendo che non firmano per paura del giudice penale e della Corte dei conti. Chi li ascolta, una classe politica di una modestia mai vista prima, crede nelle lamentazioni dei loro collaboratori e si convince che l’inefficienza non sta nelle leggi spesso incomprensibili e nella scarsa preparazione professionale di molti pubblici dipendenti ma nello spauracchio dei giudici. E così il Governo si appresterebbe a realizzare una nuova area di impunità che non esiste in nessun ordinamento amministrativo nei paesi più sviluppati, di fatto favorendo l’inefficienza che, a parole, molti vorrebbero combattere.
UN SOGNO
di Giuseppe Borgioli
Ho fatto un sogno. Forse sotto l’influenza dei titoli del telegiornale che non danno tregua, forse sotto il peso di una cena Toscana. Ho sognato il presidente della repubblica Sergio Mattarella, si proprio lui con un’aria insolitamente vivace, sembrava reduce da una cura di gerovital. Sembrava un altro. Finalmente, dopo ripensamenti e consultazioni, era giunto ad una sofferta decisione. Ogni mese che passa, ogni giorno che passa, ogni ora che passa, ci ritroviamo con un secolo di ritardo sulle spalle, è un fardello oneroso che non può incupire anche una persona solare come Sergio Mattarella. Ci saranno a settembre le elezioni di mezzo termine, le elezioni regionali accompagnate da discussioni infinite. Altro tempo che se va. È pur vero che i risultati delle i regioni riequilibreranno il numero dei componenti del collegio elettorale che voterà per il presidente della repubblica nei primi mesi del 2020. Ancora un rinvio. Un tempo si diceva il governo sta in piedi a forza di sedute. Il presidente che ho sognato io prendeva il toro per le corna. L’emergenza politica economica non consente passi di minuetto. Il presidente abbandonava le alchimie dei partiti e usava la sua influenza per far ragionare un recalcitrante e temporeggiatore presidente del consiglio. Il tempo è scaduto. Andando indietro coi sogni, non fu così per un giovane presidente del consiglio sbucato quasi dal nulla che si chiamava Camillo Benso, conte di Cavour. L’Italia, chiedo scusa il Regno di Sardegna, non era meno malandato di oggi. Una guerra perduta contro l’impero asburgico, contro un Metternich intenzionato a far pagare a questo piccolo regno quello che aveva osato. Il debito pubblico era alle stelle moltiplicato dai danni e dai risarcimenti della guerra perduta. Le condizioni della resa particolarmente gravi, tanto che il Parlamento Subalpino si rifiutava di firmare. Ci volle tutto il coraggio e la lungimiranza di quel giovane Re, Vittorio Emanuele II, che non per nulla fu ricordato come il Padre della Patria. Quel Re si fece forte della Sue prerogative, come si dice oggi ci mise la faccia cioè, ci mise la Dinastia. Altro che giochi furbeschi fra le consorterie dei partiti nuovi e vecchi. Il Parlamento poteva ben dirsi Parlamento con la P maiuscola. Grazie a noi non esistevano ancora le consultazioni on line e votò il Trattato, come chiedeva il Re. Furono mesi e anni difficili, ma quel giovane Re non rinnegò lo Statuto Albertino e 12 anni dopo veniva proclamato il Regno d’Italia. La Dinastia e l’onore erano state le stelle polari che orientarono la Sua azione. Questa semplice rivisitazione sotto forma di sogno vuol insegnare che nulla è impossibile quando ci si richiama ai valori parte del nostro vissuto. Il sogno è svanito presto e noi ci siano ritrovati con i nostri eroi del tempo ordinario (si fa per dire). Ci ha risvegliati il presidente del consiglio Conte che ha solo parte del nome in comune con il Conte Camillo Benso di Cavour.