di Gaspare Battistuzzo Cremonini

Trump non cada nella trappola degli Antifa

Difficile non cadere in trappola, data la situazione, ma è quel che deve fare un bravo statista in un contesto come questo. La tragica morte, avvenuta in circostanze ancora tutte da chiarire, dell’afroamericano George Floyd ha innescato la miccia per una rivoluzione sociale che, fors’anche partita in buona fede a difesa dei diritti degli oppressi (neri o bianchi che siano, voglio sperare), sta dirigendo pericolosamente verso gli scogli a causa dei soliti gruppi di agitatori di professione, allettati dalla non usuale opportunità di devastare quartieri e città col pretesto di difendere i diritti umani.

La morte di un altro afroamericano, il capitano di Polizia in pensione David Dorn, riporta la bussola verso il nord magnetico: qui nessuno pensa che il signor Floyd non debba avere giustizia né che sia giusto che un servitore della legge perisca accoppato dalla teppaglia, piuttosto si deve con forza mantenere la barra dritta e continuare a chiedere che se soprusi vi sono stati, essi siano sanzionati da un tribunale come previsto dalla legge.

Ciò cui stiamo assistendo negli Stati Uniti è una dinamica purtroppo comune: la protesta viene portata dai manifestanti alle estreme conseguenze fino a che il responsabile del governo si vede costretto o a cedere la sua carica a qualcun altro – e questo è lo scopo di tal genere di manifestazioni, sia chiaro, non tanto l’invocazione d’un diritto, - oppure a difendere i cittadini onesti che non sono in strada a devastare le città: per farlo, però, egli finisce per essere obbligato ad usare la forza, spesso in grado e quantità che ben presto lo pongono al di fuori del consesso democratico.

Come che egli faccia, il leader preso di mira dall’internazionale Antifa ha già perduto in partenza. O si arrende subito, oppure sarà la Storia a metterlo fuori dalla porta. Ecco, in poche parole, in che situazione si trova al momento Donald Trump che, sempre di più, sembra voler propendere per l’utilizzo dell’esercito o della Guardia Nazionale per reprimere le manifestazioni che hanno assunto, va detto, i toni della guerriglia urbana.

Vi è che l’ Insurrection Act del 1807 prevede, nel pieno della legalità, la possibilità per il Presidente di mobilitare l’esercito al fine di sedare insurrezioni e mettere fine ai saccheggi: come tutte le misure eccezionali, però, buonsenso suggerisce di utilizzarle come extrema ratio, onde evitare poi di non riuscire nell’intento di riportare l’ordine ed avere, allo stesso tempo, sparato l’ultima cartuccia a disposizione.

Pur non avendo una particolare predilezione né per l’uomo né per il politico Trump, mi è difficile non provare una certa simpatia (alla greca) per questo presidente messo all’angolo dai soliti figli di papà rivoluzionari per professione i quali, peraltro, non capiscono o non vogliono capire che indebolire in questo momento gli Stati Uniti sul piano della politica interna potrà avere delle macro conseguenze allarmanti sullo scacchiere geopolitico mondiale: la Cina, che per di più non possiamo sapere se sia del tutto estranea a queste manifestazioni di protesta (agenti silenti in territorio americano ne ha di sicuro), non ha perso l’occasione di utilizzare i disordini americani per giustificare la sua crudele repressione del dissenso ad Hong Kong.

In questo frangente si rivelerà davvero la caratura politica del presidente Trump. Se egli cederà al ricatto dell’internazionale Antifa e quindi mobiliterà l’esercito, pur nell’alveo legittimo dell’Insurrection Act, assisteremo molto probabilmente alla sua fine come uomo politico, pressato dalle deliranti ostilità Democratiche e dal sempre crescente fuoco amico Repubblicano, area in cui già si vedono movimenti di smarcamento sospetto (uno su tutti quello di Bush Jr. che, però, l’Insurrection Act scorda di averlo visto usare da papà Bush Sr. nei disordini di Los Angeles del 1992).

Ciò che deve fare Trump in questo frangente è piuttosto implementare l’utilizzo massiccio delle forze di polizia per contenere la guerriglia urbana, evitando di sporgere il fianco a chi lo accuserebbe di totalitarismo per l’uso di forze invece militari, e quindi garantire a tutti i costi un equo processo che stabilisca le vere responsabilità nell’affaire George Floyd, quand’anche esse costringessero gli USA ad una presa di coscienza forte circa le talvolta invalse pratiche violente e razziste delle proprie forze dell’ordine.

Questo salverebbe Trump e gli Stati Uniti dal caos, perlomeno finché l’internazionale del benpensantismo a fasi alterne non si inventerà un nuovo hashtag con cui provare a destabilizzare il paese.

LA DISINTEGRAZIONE DELLO STATO

di Giuseppe Borgioli

La repubblica ha 74 anni, anche se io ho sempre sostenuto che è nata politicamente due anni dopo la sua proclamazione, nel 1948 con le elezioni del 18 aprile. La costituzione repubblicana che molti magnificano come la migliore del mondo risulta invece dal compromesso fra la democrazia cristiana e il partito comunista con i laici (liberali e socialisti) nettamente minoritari nel ruolo di compari d’anello. Per capire il senso di questo compromesso veramente storico si leggano gli atti della costituente, della discussione che accompagnarono la stesura della Carta. Democristiani e comunisti erano fatti per intendersi senza profferir parola, il loro era il linguaggio dei gesti. Il successo finale della costituzione repubblicana sta in questo compromesso preterintenzionale.  Comunisti e democristiano approvarono quell’atto di nascita con la riserva mentale di piegarlo alle contingenze, ciascuno a suo modo. Se il 18 aprile 1948 avessero vinto i comunisti, avrebbero potuto attuare la repubblica dei soviet senza cambiare la lettera della costituzione. Così la Democrazia Cristiana alla luce della stessa costituzione ha potuto sfare e disfare nel corso della prima repubblica. Privata dell’unità e della rappresentatività garantite dalla figura del Re, il particolarismo degli interessi politici e economici ha corroso le basi del sistema.  Dal manuale Cencelli al metodo   Luca Palamara per le nomine degli uffici giudiziari, la logica spartitoria non ha risparmiato niente e nessuno. Mentre il dopo coronavirus ha riacutizzato i contrasti fra le regioni e il governo centrale in materia di sanità pubblica, abbiamo raggiunto l’acume di ipotizzar una sorta di passaporto sanitario per essere accolti in alcune regioni se provenienti da altre. E non è stato agevole spiegare che non esiste alcuna immunità accertata. Una volta c’era il certificato di sana e robusta costituzione che si era ridotto a un burocratico adempimento. Intanto si sgretola il principio dell’unità dei diritti. Lo stesso significato di “cittadinanza europea” suona come uno slogan vuoto se non corrisponde all’esercizio dei diritti. Altro che solidarietà che è un passo successivo nella crescita di una comunità giuridica. Gli imprenditori son la parte più coraggiosa della vita nazionale.  Carlo Bonomi il presidente di Confindustria ha detto con chiarezza, senza giri di parola, che la conseguenza della crisi economica saranno più drammatiche del corona virus e ce lo faranno dimenticare. Chiodo scaccia chiodo. Ci riferiamo anche alla notizia che ha per protagonista Leonardo Del Vecchio un imprenditore straordinario che è partito dall’occhiale venduto sulle bancarelle sino a costruire  un impero industriale finanziario. Una delle poche multinazionali italiane. La notizia è che si accinge a raddoppiare la sua partecipazione al capitale di Mediobanca acquisendo una posizione di controllo nella banca che è qualcosa di più di una banca d’affari. Mediobanca ha svolto nei decenni, sotto la guida di Enrico Cuccia, una funzione di propulsione del sistema industriale italiano. Altro che sovranismo. Ancora una volta l’iniziativa di Leonardo Del Vecchio tende a perpetuare la funzione di Mediobanca in difesa della “italianità” della nostra industria. Purtroppo questa decisione come tutte le cose buone potrebbe essere ritardata o ostacolata dei politici che parlano più per il piacere delle agenzie di stampa che per risolvere i problemi. Tutti (o molti) si aspettano il ritorno allo statalismo. Il caso Alitalia è un piccolo segnale. Dare soldi senza sanare una azienda. L’IRI di Beneduce era chiamata l’ospedale delle aziende decotte perché, almeno sino a un certo tempo, le rimetteva in salute. Ma per salvare l’economia occorrono tanti Del Vecchio e uno Stato efficiente. Riusciremo a ricostruire lo Stato, contro lo statalismo?

 

In occasione della Festa della Repubblica, l'Unione Monarchica Italiana organizza un approfondimento sulla genesi della nostra repubblica per martedì 2 giugno 2020, ore 18.30, in diretta sulla pagina:

https://www.facebook.com/100431193645187/videos/722970668507319/hc_

Intervengono:
il Dott. Adriano Monti Buzzetti Colella, il Prof. Avv. Gustavo Pansini, il Prof. Avv. Salvatore Sfrecola e il Prof. Andrea Ungari

Modera l'Avv. Edoardo Pezzoni Mauri,

Conclude l'Avv. Alessandro Sacchi (Presidente Nazionale U.M.I.)