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Comunicato stampa del 26 novembre 2019

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I monarchici italiani sono vicini agli albanesi colpiti dal sisma

Mentre la terra continua a tremare in Albania e la conta delle vittime e dei danni rivela tutta la sua drammaticità, l’Unione Monarchica Italiana è vicina alle popolazioni delle città e dei paesi colpiti dal sisma, e ricorda che, nel corso dei secoli, italiani ed albanesi hanno condiviso con alterne fortune momenti importanti della loro storia.

I monarchici italiani esprimono sentimenti di sincera amicizia nei confronti delle famiglie gravemente colpite negli affetti più cari, e manifestano il proprio cordoglio per quanti, adulti e bambini, hanno perso la vita sotto le macerie. Si augurano, altresì, che il Governo italiano sappia contribuire a sovvenire, concretamente e con immediatezza, alle necessità di quanti hanno perduto le loro abitazioni ed il loro lavoro.

Roma,26.11.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

Comunicato stampa di lunedì 11 novembre 2019

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L’Unione Monarchica per l’attentato ai nostri militari in Iraq

L’Unione Monarchica italiana è affettuosamente vicina ai soldati italiani vittime di un drammatico attentato in Iraq, dove operano lontano dalla Patria, ma nell’interesse dell’Italia e della comunità internazionale, per contrastare il terrorismo islamico. L’impegno italiano in una missione di grande rilievo per la pace nel mondo impone al Governo di mettere in condizione i nostri militari di operare nelle migliori condizioni, fornendoli dell’armamento e dei supporti di protezione e logistici più moderni, idonei a limitare l’esposizione ai rischi propri di operazioni obiettivamente pericolose.

L’Unione Monarchica fa appello alle forze politiche presenti in Parlamento perché si diano carico, senza distinzioni di parte, del sostegno ai militari in missione di pace ed alle loro famiglie.

Roma,11.11.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

 

L'opinione di Giuseppe Borgioli

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Il realismo degli idealisti

di Giuseppe Borgioli

Sono molto grato alla presidenza dell’UMI per il comunicato che ha tempestivamente  diramato sulla drammatica condizione dei Curdi  in Siria sterminati dalle truppe turche di Erdogan, abbiamo ancora negli occhi le terribili immagini di un popolo in fuga. Con donne e bambini che la furia della guerra non risparmia. Non si può rimanere inermi di fronte a un simile spettacolo. Il “cessate il fuoco” annunciato  ( e già infranto) purtroppo non è il viatico a una soluzione pacifica e stabile. Il medio oriente, un’area già precaria sotto il profilo degli equilibri politici, viene così a fare i conti con un altro conflitto che semina morte e disperazione. E’ stato ribadito che lo stesso embargo della armi alla Turchia non è retroattivo e quindi non è efficace. Intanto la Turchia fa parte della NATO e questa situazione per le implicazioni che presenta non può non interessare il consiglio dell’alleanza di cui quest’anno celebriamo il70 anniversario. Gli alleati – inclusi gli Stati Uniti - non possono  voltarsi dall’altra parte e far finta di non vedere. La storia insegna che il realismo politico è in casi come questi il miglior supporto  all’idealismo  delle giuste cause. Realismo politico vuol dire guardare in faccia la realtà e non limitarsi alla proclamazioni ideali. Il destino dei Curdi non ha molto a che fare con il PKK (il partito comunista curdo di Ocalan) e richiede un intervento sia nell’ambito più ristretto della Nato e sia in quello più largo dell’ONU. I Curdi sono un popolo di circa 26 milioni sparsi fra il territori della Turchia, della Siria, dell’Iran e dell’Iraq. Fra di loro, i Curdi non sono concordi sul loro futuro, anzi sono spesso in conflitto. Ipotizzare uno stato curdo aprirebbe un altro focolaio non più esterno ma interno la comunità curda. In più dovremo aver imparato dalla storia cosa comporta dar vita ad uno stato, con nazionalità incerte, a tavolino. Iugoslavia. Israele e via dicendo stanno a dimostrare  che la politica di disegnare nuovi stati tracciando linee rette sulle mappe geografiche (come facevano i coloni inglesi e francesi) non regge la prova dei fatti, della convivenza fra gruppi etnici appartenenti a storie e a stili di vita diversi. Se il Kurdistan diventasse l’ennesimo aborto di nazione sarebbe un focolaio di guerra in una regione  compromessa dalle linee trasversali di confini stabiliti da volenterosi senza un richiamo alla realtà. E’ giusto ( e possibile) che i Curdi trovino la loro autonomia salvaguardata da precisi accordi internazionali all’interno dei confini dati. Rispetto ovunque della minoranze curde e impegno della comunità internazionale  a garantire la loro autonomia decisionale e amministrativa. Ma il progetto sull’Iraq bandito dagli Americani prima del conflitto contro Sadam Hussein non era improntato alla creazione di uno stato federale con le varie comunità  partecipi degli stessi diritti e doveri? Che ne è stato di quell’ ambizioso progetto? Dimenticavo, l’Iraq e strategico …e c’è anche il petrolio. Le divisioni politiche, religiose ed etniche all’ interno degli stati arabi ( peraltro  proprio quelli con una configurazione artificiale) faranno di una inedita forma di federalismo ancora da inventare la chiave per far convivere in pace gruppi diversi entro la cornice della medesima statualità. Stato e nazione è l’enigma di sempre. Il medio oriente di Lawrence d’Arabia può essere il vulcano che provoca l’esplosione del terzo conflitto mondiale ma può anche diventare il modello di convivenza fra tribù nomadi e stanziali, sciiti e sunniti.  magari sotto l’egida di monarche federali come per esempio il Marocco. E’ il sogno di un realista? Forse è il nostro ritorno al futuro.

Comunicato stampa di mercoledì 9 ottobre 2010

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Il taglio dei parlamentari riduce la rappresentanza delle minoranze

Presentato come una misura che produce risparmi, il taglio dei parlamentari, non a caso iniziativa di un movimento politico, quello dei 5 Stelle, che predilige la democrazia diretta e avversa la democrazia rappresentativa, provoca un danno irreversibile al pluralismo politico, limitando il ruolo delle minoranze linguistiche e territoriali, i cui effetti si vedranno anche nelle deliberazioni parlamentari sull’elezione del Capo dello Stato e sulla scelta dei componenti degli organi di garanzia, Corte costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura e organi di autogoverno di Consiglio di Stato e Corte dei conti. In assenza di un riequilibrio dei poteri dello Stato e di una distinzione dei ruoli di Camera e Senato, fidando nella promessa di una riforma, futura e incerta, di una legge elettorale che in ogni caso prevedrà collegi di centinaia di migliaia di elettori, che marcheranno un ulteriore distacco tra i cittadini e la politica, i partiti, ricattati dalla demagogia “grillina” anticasta, e nel timore di una crisi di governo che avrebbe comportato un ritorno alle urne, hanno votato una riforma nella quale le personalità più rappresentative della politica e della cultura giuridica hanno apertamente messo in risalto limiti e incognite.

I monarchici italiani, educati alla democrazia rappresentativa consacrata dallo Statuto Albertino, la Carta costituzionale del Regno d’Italia, denunciano una decisione demagogica e illiberale che, a fronte di un “risparmio” di qualche milione, limita quegli spazi di libertà che caratterizzano le democrazie occidentali attraverso la valorizzazione del pluralismo delle idee che la riforma inevitabilmente è destinata a comprimere.

L’Unione Monarchica Italiana, da sempre impegnata a rivendicare il diritto inalienabile del cittadino di scegliere i propri rappresentanti nelle assemblee legislative, oggi composte da “nominati”, non mancherà di assicurare il proprio apporto al dibattito sull’esigenza di ulteriori riforme costituzionali ed elettorali a garanzia del ruolo centrale del Parlamento nella vita politica della nostra Italia.

Roma, 09.10.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

L'opinione di Giuseppe Borgioli

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LA CINA È VICINA

Giuseppe Borgioli

La nuova Cina sta festeggiando il 70 anniversario della conquista del potere da parte di Mao e sta rivelando sempre di più la vocazione imperiale e espansionistica. Non è l’espansione di tipo conosciuto che prevedeva l’occupazione stabile dei territori (vedi il Tibet), quasi ad imitazione del colonialismo occidentale. La Cina di Xi Jinping sembra tesa al controllo del mondo attraverso il controllo dell’economia e delle infrastrutture che regolano il traffico dei commerci. Si direbbe una strategia squisitamente capitalistica. Il progetto della “via della seta” è un esempio lampante di questa strategia, perché la Cina moderna (vale la pena ricordarlo) resta una grande potenza politica prima che economica e commerciale. Alla guida della Cina c’è il partito comunista che è il vero sovrano e governa con pugno di ferro i cambiamenti che avvengono nell’economia e nella società. Sotto questo aspetto il potere in Cina è molto più totalitario che in Russia dove la tradizione culturale e religiosa ha sempre esercitato un ruolo di freno e di ancoraggio ai valori tradizionali. Siamo passati dalla rivoluzione di Mao alla coesistenza-competizione con il mondo occidentale: Una nazione in crescita esponenziale non può non interessarsi al resto del mondo. Il debito americano è in buona parte nelle mani cinesi e l’ingresso della economia cinese nel continente africano è un fattore che preoccupa gli Stati Uniti. Come sarà l’Africa dopo la cura dei massicci investimenti cinesi?   La stessa Cina si troverà a fronteggiare gli altri colossi del mondo asiatico come l’India che sta venendo alla ribalta proprio grazia alla tecnologia avanzata di cui noi europei (insieme agli americani) ci credevamo i depositari. Negli ultimi anni abbiamo visto la Cine intervenire più spesso nelle controversie internazionali. L’ultimo esempio è stato il braccio di ferro degli Stati Uniti con la Corea del Nord sulle armi atomiche dove l’intervento discreto ma convincente della Cina su Kim Jong ha sventato il precipitare della crisi. Il quadro internazionale è certamente più complesso di un tempo, quando l’alleanza atlantica con l’appendice militare della NATO nasceva e si irrobustiva con il proposito non detto di escludere l’Unione Sovietica (il nemico dichiarato) di tenere dentro gli Stati Uniti sempre tentati dall’ isolazionismo e di tenere sotto la Germania considerata sempre pericolosa. Oggi la Cina, il “rosso impero” non più celeste, è più vicina che mai, ma non nel senso che la invocavano i maoisti nostrani – un po’ visionari – nel ’68.

L'opinione di Giuseppe Borgioli

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Greta Thunberg, natura e contro natura

di Giuseppe Borgioli

Ammiro come tutti il coraggio e la schiettezza di Greta Thunberg, assurta al rango di eroina  lanciando l’allarme reale sulle condizioni climatiche del nostro pianeta. Allarme che non è nuovo e che ritorna spesso nel pensiero ecologista. Vado con la memoria  alle battaglie del non  dimenticato gruppo di Roma che sotto l’impulso di Aurelio Peccei negli anni ’70 sottolineò la drammaticità della vita sulla e della terra. L’industrialismo selvaggio ha compromesso risorse naturali che rendono precario il nostro futuro. Purtroppo la iper democrazia che guida i  governi occidentali tesa al consenso immediato e le autocrazie dittatoriali non hanno il respiro lungo per occuparsi del pianeta. Il consumismo è diventato una religione universale sia per coloro  godono di questo stile di vita sia per coloro ( e sono tanti) che vi aspirano.

Eppure in quello che dice Greta Thunberg c’è qualcosa che  mi suona come l’eco di un  linguaggio improntato al  “politically correct” che pure affascina le moltitudini.Mi domando: è solo  e principalmente questione di catastrofe climatica e di insostenibilità del pregresso così come lo abbiamo conosciuto dal XVIII secolo in poi? Temo di no. Il fatto che non si vuol riconoscere è che abbiamo perso collettivamente la nozione di natura. Parola impronunciabile è diventata la nozione ad essa intimamente collegata di  contro natura. Natura e contro natura sono termini che rimandano alla morale più che alla scienza e alla tecnica.Qui  sta il nocciolo della domanda morale che interpella drammaticamente le nostre coscienze. Ogni aspetto della società contemporanea tende a sfuggire alla considerazione di ciò che  è natura e ciò che è contro natura.

Persino la Chiesa   non ci aiuta a risolvere il dilemma. Parliamo di invasione  della plastica e di emissione di CO2 –  fenomeni  che realmente esistono – e non andiamo alle radici del problema,  non affrontiamo la questione morale. L’ecologia della natura  ci obbligherebbe a risalire alla ecologia delle relazioni sociali, dallo stato alla famiglia. Il nostro egoismo contrabbandato da libertà ci suggerisce di imbarcarci nell’ennesima campagna a tutela dell’ambiente, magari  modificando il nostro  stile di vita  e riducendo un po’  di consumi, meglio se superflui. Intendiamoci, anche la revisione degli stili di vita e di consumo è necessaria  per difendere il pianeta martoriato. Ma la revisione ecologia non ha molto senso se non  è accompagnata dalla revisione del pensare. Il processo è lungo e difficile, anche se la diagnosi della vera malattia comune a tutte le società prelude alla guarigione. Natura e contro natura  non sono più parole vuote. Da questo nuovo modo di essere e di pensare può prendere l’avvio di una presa di coscienza profonda, che coinvolge individui, famiglie e istituzioni. Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura non perdona mai.

  1. Roccaraso (AQ): Convegno di Formazione del Fronte Monarchico Giovanile
  2. C’è movimento a destra, suscettibile di importanti novità
  3. L'opinione di Giuseppe Borgioli
  4. L'opinione di Giuseppe Borgioli

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