Parola di Re
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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.
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Intervista Presidente Nazionale
Intervista al Presidente Nazionale Avv. Alessandro Sacchi alle ore 21:30 su Alò Web TV, link in basso per seguire la diretta
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Comunicato stampa di martedì 22 marzo 2022
I monarchici chiedono al Governo un piano acquedotti
Nella giornata mondiale dell’acqua 2022, simbolo di civiltà, l’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.) denuncia il grave degrado delle infrastrutture acquedottistiche che segnalano inammissibili perdite di portata, in conseguenza della inadeguata manutenzione degli impianti.
In un territorio ricco di acque, compito dell’autorità pubblica è quello della loro captazione, conservazione e distribuzione. Pertanto, i monarchici italiani sollecitano il Governo ad intraprendere un vasto programma di manutenzione ed ampliamento degli acquedotti, in modo da assicurare ovunque in Italia, nelle città, come nei più piccoli borghi, adeguata disponibilità di acqua per le esigenze civili e dell’agricoltura.
Roma,22 marzo 2022
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi
BRIGANTAGGIO - Polemiche durante le riprese di Terre di Briganti: eroi o assassini?
di Redazione 321
(tratto da: Lo Schiaffo 321: BRIGANTAGGIO - Polemiche durante le riprese di Terre di Briganti: eroi o assassini? | CULTURA)
La lapide all'ingresso del cimitero di Cervinara torna al centro della discussione di Piazza "digitale". In questi giorni sono stati avvistati decine di briganti e soldati piemontesi sulle montagne del Partenio grazie all'importante lavoro cinematografico e storico del gruppo Terra di Briganti.
Cresce l'attesa per la pellicola, in fase di lavorazione, che potrebbe vedere la luce nei prossimi mesi e rispolverare la storia locale grazie al fantastico romanzo Terre di Briganti scritto dal prof. Angelo Renna.
Intanto l'ala Monarchica filosabauda rappresentata da Augusto Genovese, portavoce del Movimento Pendolari disagiati della Valle Caudina, rievoca il duplice assassinio del sergente Cesare Vettori e del soldato Angelo Bianchi, i Piemuntes uccisi il 23 agosto 1861 in un agguato che porterebbe la firma dei Briganti operanti in zona.
«La mia risposta - scrive Genovese - a chi ancora oggi, nel 2022, esalta il Brigantaggio a Cervinara. La maggioranza dei Briganti erano stati delinquenti durante il Regno delle Due Sicilie. Il Regno delle Due Sicilie è imploso nel 1848 quando furono concessi gli Statuti. Il Regno di Sardegna, a differenza degli altri stati preunitari, non ritirò mai lo Statuto Albertino. Cita anche Dante con il celebre Ahi serva Italia, di dolore ostello».
Partecipa alla diatriba pubblica sul Brigantaggio anche Dimitri Monetti, esponente della Lega di Matteo Salvini, racconta un interessante pezzo di storia della sua Famiglia:
«Il mio trisavolo napoletano, comandante della Gendarmeria Reale, fu destinato a Cervinara per combatterli (i briganti n.d.r.). Sposò nel 1859 a Cervinara Angiola Mercaldo e per questo fu destinato in Amalfi - scrive Monetti».
Nella discussione poi sono intervenuti Gianfranco Marchese (UserTv), Angelo Vaccariello (ex In Cammino e Il Caudino) e Francesco Viola (Terra di Briganti) che hanno alimentato lo scontro culturale, fatto anche di goliardia, ma orientato alla classica discussione storico/politica che magari qualche anno fa si sarebbe svolta al Pont'o'camp, in Piazza Trescine o a Ferrari, tra un sorso d'acqua e la bellezza della cittadina Caudina.
Sulle nostre colonne digitali abbiamo pubblicato un articolo dell'amico Fiore Marro, Cervinarese emigrato a Caserta ed esponente dei Comitati Due Sicilie, un movimento filoborbonico a difesa del Brigantaggio come fenomeno di ribellione sociale. Anche in quel caso la lapide di marmo in copertina tornò al centro dell'interessante dibattito storiografico.
«Per ironia della sorte invece, il cimitero di Cervinara -scrive Marro - espone all’entrata del suddetto camposanto, due lapidi dedicate a due carabinieri piemontesi, caduti sotto le armi dei nostri resistenti. Di fronte a questi due loculi giganteggia una lastra enorme, che riporta i nomi di oltre 200 caduti del luogo, morti non certo durante la resistenza borbonica Cervinarese, ma bensì da emigranti di stanza in Canada, frutto del sopruso e dell’invasione dei due carabinieri piemontesi e della barbara invasione militare sabauda».
Riflessioni
Da sempre ci siamo battuti per la riscoperta del Brigantaggio nelle nostre zone, soprattutto dal punto divista culturale, musicale, storico e filosofico. Un mondo che ci ha sempre affascinato, ma non ci ha mai trascinato nell'esaltazione dogmatica della reazione "antiSavoiarda" registrata da queste parti.
Il Brigantaggio è un fenomeno fin troppo complesso e articolato da poter essere inquadrato o liquidato sulle reti sociali digitali o nelle discussioni da bar. Solo lo studio e l'approfondimento, senza paraocchi, permette una crescita culturale reale e non falsata da qualsivoglia schieramento intellettuale o pseudo tale.
E’ COME LA PRIMA GUERRA MONDIALE E PUO’ PROVOCARE LA TERZA
di Giuseppe Basini
Non siamo nel settembre del 1939, come in troppi pericolosamente proclamano, abbiamo certo differenze ideologiche, anche profonde, ma niente di realmente paragonabile (a parte alcuni stati feudali o teocratici non però protagonisti) alle concezioni dogmatiche inconciliabili esistenti all’alba del secondo conflitto mondiale. E se anche ci sono, nelle grandi nazioni, protagonisti politici probabilmente capaci di delitti di stato, non ci sono tuttavia, com’era allora, dirigenze che comunemente pratichino stragi interne su basi di massa anche in tempo di pace. Però potrebbero risorgere, come già visto nella storia. Nel Luglio del 1914, invece, vi era un mondo multipolare senza chiare egemonie, con differenze certo tra le potenze, che andavano dalla democrazie borghesi, all’autoritarismo temperato, ma vi era un equilibrio di fondo, anche di valori, basato sulla tradizione diplomatica di classi dirigenti non improvvisate, che certo cercavano di accrescere la propria potenza economica e militare, ma mantenendo dei rapporti, se non di rispetto, almeno di rispettabilità. La prima grande guerra, rompendo quell’equilibrio di consuetudini, di rapporti commerciali, di cultura (e perfino di parentele dinastiche tra le case regnanti), che permeava la grande civiltà europea, competitiva certo, ma anche convintamente persuasa di partecipare a una comune civilizzazione, aprì la strada, col rapido e inevitabile indurirsi degli scontri, al risorgere della barbarie. Fu una guerra nata quasi per caso, per incidente, per l’accumulo di tensioni che la corsa agli armamenti, praticata per voglia di primeggiare, paura degli altri e perfino pura vanagloria, aveva innescato col suo carico di sospetti reciproci. Fu una guerra stupida, forse la più stupida della storia, tra paesi simili che non avevano alcun interesse a farla e che infatti uscirono –tutti- indeboliti, cominciando a perdere la loro influenza nel mondo fino alla progressiva scomparsa dei loro imperi e del primato della loro civilizzazione. Una guerra stupida, che divenne immensamente crudele e fu una guerra provocata soprattutto dalle parole. Sì, le parole, spesso pronunciate senza troppo pensare, ma che poi ci inchiodano, specie se pronunciate dai leader verso le loro pubbliche opinioni. I proclami sempre più incendiari delle cancellerie, il tintinnio di sciabole, le orazioni gonfie di iperboli degli intellettuali impegnati, la rimozione di tutte le ragioni degli altri, ci spinsero sempre di più sul piano inclinato della guerra, creando un’enorme ondata psicologica alla quale diventava impossibile resistere senza farsi travolgere, senza figurare vili o traditori. Arnold Toynbee, ammoniva che il dramma della storia “ è che quasi sempre le ragioni sono da entrambe le parti”, ma noi troppo spesso attiviamo una sorta di filtro mentale che lascia passare verso la nostra coscienza vigile solo le riflessioni e le informazioni che vogliamo ascoltare. E’ così si arrivò rapidamente alla deformazione degli avversari, alla loro identificazione coi mostri, i Tedeschi (il cui Kaiser solo un mese prima era “Il caro cugino” del Re d’Inghilterra) diventarono i “sales boches” che uccidevano i bambini (per noi, l’anno dopo, gli Unni), mentre i giornali di Vienna cominciarono a chiamare l’Italia “la perfida nemica del sud”, definendo colpevoli tutti e soli gli altri dei più abominevoli massacri, ai quali era naturalmente assoluto dovere morale opporsi. E così i massacri arrivarono davvero, dall’una e dall’altra parte e dal crollo di civiltà, cultura, buon senso e voglia di vivere, sorsero, alimentati da un terribile rancore, il comunismo e il nazismo. Perché ricordo questo oggi ? Perché rischiamo di far diventare il mondo accettabile del 1914 di nuovo quello inaccettabile del 1939, ma con in più un’aggravante assoluta, quella di vivere in un mondo con bombe termonucleari. Putin è un autocrate, ma non è Stalin, gli oppositori che manifestano in piazza a Mosca e che vengono arrestati e identificati (e che ricordano gli studenti americani ai tempi del Vietnam) all’epoca dell’Unione Sovietica sarebbero scomparsi subito perché fucilati sul posto, mentre certi resoconti che mostravano donne ucraine, che affrontavano con le parole i carri e i soldati degli occupanti, non mi hanno colpito solo per il loro coraggio e determinazione, ma anche perché alcuni soldati all’inizio cercavano di non sparare. Putin non è Stalin, ma finirà per diventarlo se continua così, le bombe russe stanno diventando di giorno in giorno meno selettive e, come sempre, la guerra, da troppi alimentata, un terribile carnaio, mentre in occidente il livello di eccitazione è ormai preoccupante. L’Ucraina non è, per molti Russi, come l’Ungheria, una nazione diversa e indipendente da loro criminalmente occupata, ma un pezzo vivo di Russia (lo stesso termine di “Rus”, nasce a Kiev, che anzi fu la prima capitale di tutte le Russie) a loro sottratto da noi occidentali con la falsa promessa di un benessere europeo. E se oggi, per i terribili errori da Mosca commessi, gli ucraini sono diventati in maggioranza anti russi, anche laddove non lo erano (lo erano già nella parte occidentale abitata anche da Ruteni e Polacchi, annessa dopo la spartizione della Polonia con Hitler) anche noi occidentali (soprattutto Americani) non possiamo essere orgogliosi dei sanguinosi moti di piazza che fecero cadere il governo Yanukovich, incapace ma regolarmente eletto. Oggi tutti siamo colpiti dall’immagine di una popolazione più piccola e meno armata che si difende e la memoria corre inevitabilmente all’Ungheria del 1956, ma non è affatto uguale, anche se rischia di diventarlo. La Russia di oggi era un paese profondamente inserito nel commercio internazionale, si era trasformata in un paese ancora autoritario, ma non più totalitario, aveva ripudiato il comunismo e i suoi cittadini cominciavano a viaggiare, mentre i suoi uomini d’affari stringevano accordi in tutto il mondo. Guardava all’occidente la Russia e, paese in fondo di cultura europea e cristiana, si aspettava di entrarne a far parte a pieno titolo, convinta che gli anglosassoni, che da sempre hanno organizzato coalizioni contro l’avversario più forte, che oggi è la Cina, l’avrebbero ammessa. Era questo anche il disegno di Donald Trump, che aveva compreso come la tradizionale visione eurocentrica di De Gaulle non fosse necessariamente negativa per un’America desiderosa di concentrarsi su di sé e sul confronto con la Cina. Ma oggi, se non si ferma subito la guerra tenendo realmente conto anche della Russia, stiamo marciando verso un disastro, che sarà non solo umanitario, ma anche civile ed economico e che ci sarà comunque, mentre (ed è quello che temo di più) non ne conosciamo ancora le dimensioni. I Russi devono certo smetterla di pensare al passato e rendersi conto che, se pure una volta non era così, oggi gli Ucraini in maggioranza non li vogliono e che con la violenza non li piegheranno, anzi li faranno diventare più convinti di essere un popolo diverso da loro, gli Ucraini a loro volta considerino che non vi è solo una vicinanza dell’occidente, ma anche la volontà di una parte di esso di indebolire la Russia, che la parte di russofoni che si sentono legati alla Russia, non può essere semplicemente tacciata di tradimento e infine che l’eroismo non può sostituire la ragione. Ma noi occidentali dobbiamo renderci conto che spingere la Russia in braccio alla Cina è una follia che pagheremo per decenni, che la sottrazione dei beni della banca centrale russa è contro la credibilità delle regole del mercato, che l’esclusione dallo Swift darà forza al sistema alternativo cinese, che le sanzioni creeranno una divisione perché saranno un disastro solo per gli europei e non per gli americani, che l’ostracismo totale ai russi è pagato con sangue ucraino. Ma soprattutto tutti, proprio tutti, non possiamo dimenticare che viviamo in epoca nucleare e che è vero e proprio cinismo quello dei buonisti professionali, che si riempiono la bocca di frasi toccanti sulla democrazia, le vittime innocenti, la guerra giusta, creando di nuovo un’ondata psicologica, senza tenere le bombe atomiche in conto, senza vedere che il rifiuto di compromessi o prolunga un conflitto pagato duramente dagli ucraini o fa rischiare a tutti, in occidente e in oriente, l’Apocalisse (ma quella vera, Hiroshima, non quella degli ecologisti). La mancanza di leadership della presidenza Biden, che, a differenza dell’amministrazione repubblicana, ha ignorato i canali di comunicazione con la Russia, lasciando che i militari trattassero la politica come un risiko, ci ha portato in una situazione che sarà comunque un disastro, sicuramente per gli ucraini, probabilmente per i Russi, forse per tutti. Soprattutto se noi europei non sapremo unirci. La storica domanda, eticamente giusta, se si possa tollerare un’aggressione militare per riparare torti veri o presunti, che segna certo uno spartiacque tra violenza e diritto, oggi non può però avere la stessa risposta del passato. Oggi Chamberlain avrebbe ragione.