Ognuno per sé Dio per tutti

di Giuseppe Borgioli 

La Fiat resta Italiana se non altro per il diritto di nascita. Il mancato accordo con Renault sta a dimostrare tante cose, in particolare una. Renault ha dietro di sé uno stato che è anche azionista della società. L’industria Italiano non ha nulla di simile. L’Europa è il teatro in cui avvengono gli scontri e gli incontri fra i vari interessi nazionali che restano i protagonisti-Dal punto di vista istituzionale l’Europa è oggi una sorta di confederazione con una moneta unica che impone ai singoli stati rigide regole di bilancio, Questo era l’obiettivo principale dei padri fondatori che dettero vita alla moneta unica,

Guido Carli che fu un caposcuola e che veniva da una giovanile affiliazione al partito d’azione considerava che il governo Italiano (retto allora dalla democrazia cristiana alleata ai socialisti) non sarebbe mai stato convertita ad una linea economica di austerità. La moneta unica nella mente di Carli era un sostituto di autorità che avrebbe costretto gli Italiani ad accettare quelle virtù che non appartenevano ai politici di governo- Fu quasi un colpo di stato che gli “europeisti” fecero a fin di bene, anche se Guido Carli finì per essere eletto senatore a Milano (come indipendente) nella lista della democrazia cristiana non cambiò idea.

Il peso (inversamente proporzionale alle sue fortune elettorali) che il partito d’azione ferocemente antimonarchico ha esercitato nella vita politica e economica della nazione è un capitolo di storia ancora da scrivere.Comunque le basi monetarie dell’Europa sono queste e tutta la costruzione istituzionale risente di un’artificiosità che tiene i popoli fuori dalla porta.

A cammino inoltrato è possibile (prima che auspicabile) tornare indietro? Le vicende inglesi dimostrano che non è facile ripercorrere la retromarcia.A maggior ragione non à consigliabile uscire dalla moneta unico se non si vuol andare incontro a grossi rischi tanto più forti quanto ù fragile l’economia nazionale

Chiunque sia chiamato a muoversi su questo terreno, dovrà perseguire un’idea di Europa coi piedi per terra. Non tira aria da manifesti ideologici.L’Europa non ò la medicina magica per curare i nostri mali nazionali come qualcuno si illudeva, Rimbocchiamoci le maniche e riportiamo l’ordine nel giardino di casa.

Serve una modifica costituzionale

Per spezzare il circuito vizioso delle nomine su base correntizia, bisogna passare al sorteggio dei candidati. È la via più certa verso l’imparzialità dei magistrati

di SALVATORE SFRECOLA

Le polemiche che in questi giorni accompagnano le notizie sull’inchiesta della Procura della Repubblica di Perugia sui comportamenti di alcuni componenti del Consiglio Superiore della Magistratura intenti ad immaginare, insieme a uomini di partito, le nomine delle più importanti Procure, a cominciare da quella di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone, possono fare molto male alla Magistratura. Infatti, sull’onda dello scandalo, per cui un politico sotto indagini avrebbe voluto concorrere alla scelta del suo inquisitore, vanno emergendo ipotesi varie, come quella della separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, della sottoposizione di questi alle direttive del Governo, della eliminazione della obbligatorietà dell’azione penale. Se ne parla da tempo con opposte valutazioni, ma il pericolo è di riforme, come spesso accade in Italia, adottate sull’onda delle emozioni.

Andiamo, dunque, per ordine, partendo dalla riforma fondamentale, visto che parliamo di nomina dei responsabili degli uffici direttivi, in particolare delle Procure, cui spetta l’esercizio dell’azione penale. Il problema, come sta emergendo, è quello della composizione del Consiglio Superiore, espressione della indipendenza di quell’“ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” che è la Magistratura, come si legge nell’art. 104 della Costituzione. Presieduto dal Capo dello Stato e con componenti di diritto il Primo Presidente della Corte e il Procuratore Generale della Cassazione, il Consiglio è composto per due terzi da magistrati ordinari eletti “tra gli appartenenti alle varie categorie” e per un terzo da eletti dalle Camere.

L’esperienza ci dice di una progressiva degenerazione del sistema dovuto alla elezione dei componenti togati che ha provocato il consolidamento degli interessi dei gruppi, le correnti che organizzano il consenso all’interno della magistratura e non svolgono solamente un ruolo “culturale” sui temi della giustizia. Influiscono sulla scelta dei componenti togati del CSM i quali, in quella sede, decidono su promozioni e assegnazioni e sull’esercizio dell’azione disciplinare, insomma esercitano un potere rilevante che dai gruppi si trasferisce nel CSM e da questo torna ai gruppi in forma di scelte. Insomma, spesso un magistrato che si candida ad un posto direttivo, Presidente di Tribunale o di Corte d’appello, Procuratore della Repubblica o Procuratore Generale, ha speranza di veder accolta la propria istanza solamente se appoggiato da un gruppo che conta autorevoli rappresentanti nel CSM.

Tra i primi a criticare questo sistema Piercamillo Davigo, all’atto del suo insediamento nel ruolo di Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Non va bene disse perché introduce elementi personalistici che nulla hanno a che fare con scelte che dovrebbero essere guidate da una obiettiva valutazione della specifica professionalità ed esperienza in relazione all’esercizio di una determinata funzione.

Le correnti della Magistratura, tuttavia, non ci stanno. Negano che la loro influenza nel CSM ne condizioni le scelte. Il tema è antico ma in questa stagione la polemica si è aggravata e la lotta “di potere”, un’espressione che dovrebbe essere bandita quando si parla di Giustizia, è diventata ancora più esasperata da quando l’improvvida decisione di Matteo Renzi di disporre con legge pensionamenti anticipati, presentati come un ampio “ricambio generazionale”, che non c’è stato e non c’è, ha scatenato la lotta per l’assegnazione dei posti di vertice di gran parte degli uffici giudiziari.

Nella gestione delle nomine, come ha dimostrato l’inchiesta di Perugia, le scelte vengono pesantemente determinate dalle varie componenti presenti nel CSM dove siedono laici eletti dal Parlamento, cioè dai partiti, e togati scelti dalle varie correnti della Magistratura, eletti dai colleghi. L’esperienza insegna che, per ottenere un posto di responsabilità e di prestigio, il candidato deve avere il gradimento delle due componenti. Ed è inevitabile che i curricula dei partecipanti alle procedure siano esaminati almeno sotto due profili, uno per qualche verso “politico”, come emerge dalle critiche di Matteo Salvini ad alcuni giudici che a lui sono apparsi ideologicamente qualificati, l’altro dell’appartenenza ad una determinata corrente dell’ANM. Fuori di questa logica non c’è spazio. Clamoroso il caso di Giovanni Falcone che, nonostante l’esperienza che poteva vantare nella lotta alla mafia, fu superato nell’attribuzione del posto di capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo da un collega, certamente più anziano, ma con una esperienza che forse sarebbe stato meglio utilizzare altrove.

Una soluzione s’impone, dunque, rapidamente per restituire serenità alla Magistratura con una modifica incisiva della composizione degli organi di autogoverno. Ma serve una modifica della Costituzione che prevede l’elezione. La soluzione è una sola, quella di prevedere che i componenti togati siano scelti sulla base di un sorteggio tra tutti i magistrati in servizio, tenendo conto di anzianità e funzioni svolte, in modo da assicurare all’organo di autogoverno esperienze e professionalità diverse capaci di una equilibrata valutazione delle candidature ai vari posti di funzione. Ci sarà sempre la possibilità che un magistrato sorteggiato nel CSM possa essere “sensibile” alle aspettative del collega di concorso o che ha condiviso con lui qualche esperienza professionale. Ma non ci sarà più una scelta per motivi di appartenenza correntizia a tutti i costi, anche quando sia evidente che il candidato non ha i requisiti per ricoprire il ruolo per il quale concorre.

Lo stato di grazia della Lega

di Giuseppe Borgioli

I risultati elettorali del 26 maggio stanno a dimostrare due dati incontrovertibili, uno riguarda l’Europa l’altro l’Italia. Questi dati hanno sorpreso i corifei del consenso al regime che ne hanno ridotto la portata spiegandoli con ragionamenti che non colgono la dirompente novità di quanto è accaduto.

 Il tema dominante non è il tanto vituperato populismo, che ha assunto un significato dispregiativo. Gli Italiani hanno fame di cambiamento e sono pronti a dare fiducia a chi lo promette. Hanno fame anche di autorevolezza. Chiedono agli uomini politici di parlare chiaro e di assumersi le responsabilità di quelle che dicono.

Lo stato di grazia della Lega è lo stato di grazia del suo leader Matteo Salvini che ha saputo incarnare con il suo stile di governo questa domanda radicale della gente. Solo così si spiega un successo diffuso in tutte le aree del paese, in tutte le regioni, in tutti i comuni, al nord come al sud-

Non è facile fare delle previsioni. Non possiamo dire come Matteo Salvini saprà cavalcare questo stato di grazia. Le prove che attendono i vincitori delle elezioni sono ardue, cominciare da quelle economiche e finanziarie. Una cosa è certa; l’attuale temperie politica non si riduce al braccio di ferro con il movimento delle cinque stelle, alla competizione all’interno del governo con Luigi Di Maio.

Il cambiamento avvertito un po’ da tutti è qualcosa di profondo che implica ragioni spirituali e istituzionali non più rinviabili. Non si tratta di nuove formule politiche o coalizioni di governo. Il cambiamento à la domanda di dignità e di rappresentanza che avvertono poveri e ricchi, abitanti delle metropoli e delle periferie. Elettori orientati a destra e elettori orientati a sinistra.

Se Salvini saprà cogliere questa stato d’animo, farò di una aspirazione, effimera, di un gesto di protesta, le premessa di una svolta storica.  E’ veramente il modo migliore per sanzionare la festa della repubblica che si celebra stancamente fra una settimana. Rispetto all’Europa, non si può fare a meno di osservare che a parte gli esiti elettorali nei singoli stati, la mappa del vecchio continente rassomiglia ad un manto di leopardo con forze politiche disomogenee e in conflitto aperto fra di loro.

Se l’Europa fosse retta da un sistema parlamentare classico con un governo effettivo non sarebbe agevole identificare una maggioranza politica possibile. Per costruire l’Europa abbiamo scelto la strada più breve e non quella che tiene conto della realtà r della diversità.

La storia si vendica delle nostre illusioni.

      

L’Istituto Tecnico Industriale Vittorio Emanuele III non deve cambiare nome

Nelle polemiche sulla vicenda degli studenti dell’Istituto Tecnico Industriale Vittorio Emanuele III di Palermo, ai quali evidentemente la Professoressa Maria Rosa dell’Aria non aveva spiegato che non è corretto equiparare le leggi razziali e il decreto sicurezza, si inserisce oggi la Senatrice a vita Liliana Segre per chiedere che l’Istituto cambi nome del Re che “ha messo la sua firma sulle leggi razziali”.

L’Unione Monarchica Italiana ricorda alla Senatrice Segre che, “processato”, ad iniziativa della Comunità Ebraica di Roma, per aver promulgato, dopo tre rifiuti, le leggi approvate dal Consiglio dei Ministri e votate da Camera e Senato, il Re Vittorio Emanuele III è stato assolto da ogni addebito. Un Re costituzionale s’inchina al volere delle Camere. Alla stessa Senatrice i monarchici ricordano che, ripresi i poteri statutari dopo il 25 luglio 1943, sulla base del voto del Gran Consiglio del Fascismo all’ordine del giorno Grandi, che espressamente intendeva ripristinare “la legalità costituzionale”, il Re Vittorio Emanuele III ha congedato Mussolini con un atto che i giuristi “di sinistra” continuano a ritenere un colpo di Stato, ha portato l’Italia fuori da una guerra, non voluta dagli italiani e da Lui stesso subita, ed ha abrogato le leggi razziali che apertamente aveva aborrito.

L’Unione Monarchica Italiana invita la Senatrice Segre e tutti coloro che si occupano di fatti storici di rispettare sempre la verità, ad onore dei protagonisti e perché i giovani sappiano e siano messi in condizione di giudicare.

Roma,22.05.2019

 Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

I monarchici per la riforma dello Stato

Il dibattito di questi giorni, che vede contrapposti i partiti di governo sul futuro delle province, dimostra, da un lato, la scarsa conoscenza del ruolo prezioso di questi enti, legati alla storia, alla cultura, all’economia ed all’ambiente delle comunità locali, dall’altro, mette in risalto l’esigenza, indilazionabile, di riconsiderare l’assetto complessivo dello Stato a livello territoriale e delle attribuzioni degli enti che lo costituiscono.

L’Unione Monarchica Italiana ritiene da tempo che vada profondamente rinnovato l’assetto degli enti territoriali, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni, nella disciplina della loro autonomia e nelle rispettive attribuzioni, in funzione delle esigenze dei cittadini sempre più disorientati dalla sovrapposizione di competenze che rendono globalmente la Pubblica Amministrazione assolutamente inefficienze anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi dei diversi livelli di governo come delineati dall’indirizzo politico emerso in sede elettorale.

Chi ha memoria delle vicende italiane sa che l’Amministrazione pubblica un tempo additata per la sua efficienza è sempre più irriconoscibile. Basti pensare che una struttura di eccellenza come il Genio Civile, che ha unificato l’Italia e l’ha ricostruita rapidamente nelle infrastrutture industriali, ferroviarie, stradali e civili dopo la prima e la Seconda guerra mondiale, è stata progressivamente smantellata insieme ad altre, come drammaticamente dimostrato dalla omessa prevenzione dell’assetto idrogeologico del territorio in occasione delle calamità naturali che hanno colpito il Paese e nei successivi interventi di ricostruzione. Responsabilità grave della politica, resa palese, da ultimo, nel caso del terremoto di Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche, dall’abbandono totale di quanti hanno subito gravi danni con pregiudizio anche delle attività economiche.

Per contribuire al dibattito sulla riforma dello Stato l’Unione Monarchica Italiana ha istituito un Comitato di Studio che, con l’apporto di varie professionalità, si propone di avanzare proposte concrete per un’Italia rinnovata nell’efficienza, al servizio del cittadino.

Roma.06.05.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi