No al vincolo di mandato parlamentare

Dinanzi all’iniziativa di alcuni capi di partito di proporre un “vincolo di mandato” per i parlamentari, oggi vietato dalla Costituzione all’art 67, l’Unione Monarchica Italiana ricorda che quella norma è tratta dallo Statuto Albertino, la Carta costituzionale del Regno d’Italia, la quale all’art. 41 affermava che “I Deputati rappresentano la Nazione in generale e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori”.

È la regola fondamentale delle democrazie parlamentari, l’autonomia della “rappresentanza politica”, che i monarchici italiani intendono difendere per assicurare ai parlamentari la libertà di espressione del loro pensiero e delle loro scelte anche nei confronti del partito di appartenenza, in quanto ognuno degli eletti è interprete dell’interesse reale del Paese, cioè della Nazione.

E ricordano che nella democrazia più antica del mondo (1215), nel Regno Unito, al Primo Ministro negano il voto, quando dissentono, anche i parlamentari del suo stesso partito. Senza che questo desti scandalo.

Roma, 27.09.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

 

L’Unione Monarchica Italiana abbruna le Bandiere per la scomparsa dell'Ing. Piero Stroppiana, ultimo reduce vivente della brigata partigiana Franchi di Edgardo Sogno. L’Ing. Stroppiana era un uomo colto, sensibile, spiritoso, sempre modesto. Grande amico dell'U.M.I., a maggio ha partecipato, in prima fila, al nostro evento torinese e alla commemorazione di Edgardo Sogno.

L'Ing.Piero Stroppiana durante un convegno organizzato dall'Unione Monarchica Italiana a Torino

L'Ing.Piero Stroppiana vicino all'Avv. Alessandro Sacchi, Presidente Nazionale dell'U.M.I.

FUSIONE A FREDDO

di Giuseppe Borgioli

E siamo al Conte bis che sarebbe più corretto denominare Renzi bis, dalla paternità di questa fusione a freddo o matrimonio d’interesse che governa l’Italia. Si sa che spesso i matrimoni d’interesse durano più a lungo dei matrimoni d’amore e questo potrebbe rivelarsi il nostro caso. I bene informati azzardano la previsione che tirerà a campare sino alla elezione del presidente della repubblica. Ma la suprema carica repubblicana non aveva da essere – a garanzia del cittadino non più sudditi – super partes? Alla favola del presidente super partes non ci ha mai creduto nessuna persona con la testa sulle spalle. Le grandi manovre sono già cominciate e per ora lo stratega Salvini ha perso un cavallo. La partita è aperta e ogni partito ha le ciance per partecipare allo scacco del presidente. Dovremo aggiornare il quadro del gioco degli scacchi alla nomenclatura repubblicana.

Intanto Matteo Renzi con 40 senatori e 70 deputati tiene il Conte bis nel suo pugno. Il boy scout di Firenze che si professa alunno di Giorgio La Pira sembra più familiare alla lezione di Machiavelli.

I suoi nemici cha hanno accumulato nel tempo, si aspettano che ne combini una delle sue, per esempio fondare a freddo un nuovo partito. Ce lo dirà la Leopolda in programma fra breve. Sempre i bene informati danno per scontato che tutto è pronto: soldi, nome, uomini e programmi molto vaghi da tirar fuori per ogni evenienza.In vista di queste strategie una legge elettorale proporzionale depurata da un pur minimo premio di maggioranza sarebbe salutata dalla partitocrazia con un sospiro di sollievo. Si tornerebbe alla prima repubblica, ai governi traballanti, alle alleanze mobili, ai piccoli partiti che giocano il ruolo degli aghi della bilancia.

Senza contare che una volta a garantire la stabilità del sistema c’erano la DC e il PCI che da soli potevano contare sul 70 per cento dei voti.Non è difficile immaginare cosa accadrebbe alla scacchiera di oggi.

Nonostante i nostri giochetti e le nostre straregie degne di Von Clausewitz il debito pubblico continua a crescere e nessuno mostra di voler prendere il toro per le corna. Da qui il   disagio crescente della gente che ha perso i riferimenti istituzionali. Se poi questa condizione dovesse essere condita da una deflazione che significa recessione nessuno è in grado di prevedere cosa sarebbe delle regole sella nostra fragile convivenza civile. Questa prospettiva non interessa la maggior parte dei nostri capi politici in tutt’altre faccende affaccendati.

Noi sogniamo il Re leone e ahimè siamo circondati da una massa di conigli.

.      

di Salvatore Sfrecola

 

Leggo sempre con interesse gli articoli che il Prof. Sabino Cassese, amministrativista insigne ed ex giudice costituzionale, va scrivendo da tempo sulle vicende della politica, in particolare per i riflessi che hanno sulle istituzioni. E generalmente condivido le sue tesi.

Stavolta, però, destano in me notevoli perplessità le considerazioni che propone ai lettori del Corriere della Sera a proposito del ruolo che riveste il voto che sono chiamati a dare sulla formazione del Governo gli iscritti alla Piattaforma Rousseau. Ne ho scritto su questo giornale e su www.unsognoitaliano.it sotto diversi aspetti, commentando anche uno scritto del Prof. Michele Ainis che su La Repubblica aveva espresso dubbi su un voto che si inserisce nel procedimento di formazione di un governo. Anche per il Prof. Ainis, come per il Prof. Cassese la decisione del M5S, di sottoporre al voto la scelta della delegazione incaricata di definire con il Presidente incaricato programma e struttura del governo, cozzerebbe con regole e prassi costituzionali.

Scrivo mentre è in corso la votazione ma indipendentemente dal suo esito, quel che sfugge al Prof. Cassese, come era sfuggito al Prof. Ainis, è che quella verifica dell’accordo di programma, svolta con il voto, non solo era stata già attuata senza che nessuno avesse da ridire (forse perché non c’era di mezzo il Partito Democratico), è perfettamente sovrapponibile alle valutazioni che, in altri contesti partitici, sono affidate alle Direzioni o ai Consigli Nazionali, chiamati ad approvare o meno la scelta delle delegazioni incaricate di definire il programma del governo in formazione.

A mio giudizio, infatti, il tema è affrontato da una angolatura sbagliata, come se il voto interferisse sulla decisione del Presidente della Repubblica di conferire l’incarico di formare il governo. In realtà il Capo dello Stato, all’esito delle consultazioni con le delegazioni dei partiti, ha fatto una scelta che l’incaricato ha accettato con riserva, cioè in attesa di verificare se i partiti gli avrebbero assicurato l’appoggio sulla base di un programma e di una struttura (la definizione dell’assetto delle poltrone) definiti nel corso delle consultazioni del Presidente.

Ora è evidente che, all’esito di questa complessa verifica delle disponibilità delle forze politiche a partecipare alla iniziativa del Presidente incaricato, queste, come si è accennato, approvano o meno il lavoro delle delegazioni tecniche e politiche nelle forme proprie di ogni partito, le segreterie, le direzioni, i consigli nazionali. Per il M5S il voto degli iscritti alla Piattaforma Rousseau.

Quale il problema? Votano pochi rispetto ai tanti che hanno portato in Parlamento deputati e senatori in numero molto rilevante? Ebbene, scrive il Prof. Cassese, immaginando un voto negativo rispetto alla ipotesi di un governo M5S-PD, “se la decisione dei parlamentari, comunicata al presidente della Repubblica, e quindi atto di una procedura pubblica, venisse smentita dagli iscritti, si produrrebbero le seguenti tre conseguenze paradossali: La volontà de maggior numero (i rappresentanti-delegati di 11 milioni di elettori del M5S) sarebbe cancellata da quella del minor numero (una maggioranza di 50-60 mila iscritti al M5S) smentendo le invocazioni populiste del Movimento. I rappresentanti del popolo sarebbero smentiti dal partito, rinverdendo i fati della migliore partitocrazia”.

In primo luogo non è esatto che vi sia stata una “decisione dei gruppi parlamentari, comunicata al presidente della Repubblica”. Infatti le delegazioni dei partiti, comprese quelle del M5S e del PD, pur essendo composte quasi sempre dai Presidenti dei Gruppi parlamentari non hanno espresso un orientamento definito con un voto dei Gruppi. E, in ogni caso, se a decidere sull’operato delle delegazioni intervenute nelle consultazioni del Presidente incaricato fossero stati 10 o 100 di una Direzione o di un Consiglio Nazionale non sarebbero stati sempre pochi a contraddire molti? Queste sono le regole dei partiti. Cosa c’entra la partitocrazia?

Evidentemente la sola ipotesi che possa venir meno l’accordo per un Conte bis con il PD disturba chi a quel partito è vicino, passando sopra l’opposizione della prima ora alla conferma del Prof. Conte in ragione della formazione di “governo di svolta” in “discontinuità”, per cui “mai” sarebbe stato consentito un governo con a capo lo stesso Presidente del governo giallo-verde.

Infine, dove la lesione delle regole della Costituzione, quale l’interferenza con il ruolo del Capo dello Stato? Nessuno. In mancanza dell’assenso degli iscritti, come se fosse mancato quello di una Direzione o di un Consiglio nazionale di partito, il Presidente incaricato tornerebbe al Quirinale per annunciare che non è stato possibile formare il governo. Punto.

La democrazia parlamentare quando muta il consenso elettorale esige un ritorno alle urne

Secondo le regole della democrazia parlamentare i governi si formano sulla base delle maggioranze sorrette dal consenso elettorale. Tuttavia, se quel consenso è significativamente cambiato nel corso di successive, univoche prove elettorali, il Capo dello Stato ha il dovere di prenderne atto e di chiamare i cittadini alle urne, al fine di evitare che si realizzi un crescente distacco del popolo dalle istituzioni, con rischi per la democrazia.

Avrebbe dovuto tenerne conto il Presidente Mattarella, anche a tutela della sua immagine di garante imparziale della legalità costituzionale, in ragione della sua pregressa appartenenza al Partito Democratico, al quale, con il nuovo governo affidato al Prof. Conte viene attribuito un ruolo certamente superiore a quello che gli italiani gli hanno attribuito nelle elezioni, prima e dopo il 4 marzo 2018, dal referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre 2016 alle altre consultazioni che, a livello regionale e comunale, hanno disegnato una ben diversa mappa del consenso popolare.

I monarchici italiani, gelosi custodi della democrazia parlamentare, nata con lo Statuto del Regno d’Italia, segnalano all’opinione pubblica una anomalia naturale ovunque il Capo dello Stato è espressione dei partiti.

Roma,29.08.2019

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

Davide e Golia

di Giuseppe Borgioli

La riunione del G7 a Biarritz, sotto la supervisione del super attivo Macron, si è conclusa con un sostanziale nulla di fatto, mascherato dei soliti comunicati di maniera. Si parla e si straparla di globalizzazione ma il mondo non è mai stato così attraversato da divisioni e interessi contrastanti come in questa fase politica e economica. Non intendiamo dare lezioni di diplomazia al grande Macron che prova a ripercorrere goffamente le orme del gigante De Gaulle però è evidente che ogni strada indirizzata a Teheran passa par Israele. Altrimenti si combinano solo guai come nella non dimenticata Libia di Gheddafi.

Se non altro Macron pensa in grande, si illude di rivivere l’epoca d’oro della Francia quando Parigi era al centro del mondo. Più meschino – ci duole ammetterlo – è il capitolo della politica italiana con il governo dei tacchini che stenta a nascere. C’è un modo di dire americano che se dipendesse dai tacchini sarebbe abolito il thanksgiving, proprio come i parlamentari da noi abolirebbero le elezioni o le rinvierebbero sine die.

Nei giorni scorsi il Presidente degli Stati Uniti Trump nel fuoco di artificio delle sue iniziative ha rivendicato la Groenlandia e se non sbaglio si è detto disposto a pagare-Forse gli Stati Uniti presumono di poter comprare tutto. La Groenlandia fa parte integrale del Regno di Danimarca. Dotata di ampia autonomia che è stata sancita dal referendum del 2oo8, la Groenlandia si ritiene a ragione una Monarchia unita alla Corona danese. Bene ha fatto il Governo danese a rispondere picche. Una nazione si giudica anche dalla fierezza di chi la guida. Una volta di più questo popolo ha dimostrato che Davide non teme Golia. La cortesia e la fermezza della Danimarca andrebbero prese a modello da chi si agita e sbraita inutilmente, come fosse sul palcoscenico.