Lo scorso 30 giugno, le spoglie di S.A.R. principe Amedeo di Savoia sono giunte da Firenze a Torino, storica capitale dei domini sabaudi dal 1563, quando il duca Emanuele Filiberto “testa di ferro” la preferì a Chambéry, fino al 1865, allorché, conclusosi il tanto atteso progetto unitario, la capitale venne trasferita dapprima a Firenze e poi, definitivamente, a Roma. Giovedì 1° luglio, a un mese esatto dalla scomparsa del Principe, si è celebrata una messa solenne in sua memoria presso la Basilica di Superga, sulla collina torinese alla presenza della Famiglia, delle autorità civili (Regione Piemonte, Consiglio Regionale del Piemonte, Città Metropolitana di Torino, Città di Torino) e di affezionati cittadini. La Basilica, straordinario esempio di architettura barocca del Piemonte di inizio Settecento, opera dell’architetto messinese Filippo Juvarra, era gremita di persone giunte a Superga per porgere l’ultimo saluto al Principe. Il feretro, avvolto nel Tricolore con le insegne sabaude e affiancato dai simboli della monarchia sabauda, quali la Corona Regia e il Collare della Santissima Annunziata, unitamente a quelli di ufficiale della Marina Militare, il cappello e la sciabola d’ordinanza, è stato presidiato dal picchetto della Marina per tutta la durata della liturgia officiata da Monsignor Antonio Vigo, già cappellano della Marina Militare. Il feretro del Principe è poi stato trasferito nel mausoleo di Casa Savoia, la Cripta Reale di Superga, dove ne hanno dato sepoltura le LL.AA.RR. la principessa Silvia, il principe Aimone con la moglie principessa Olga di Grecia e Danimarca e i figli i principi Umberto, Amedeo e Isabella, le principesse Bianca e Mafalda con le rispettive famiglie. Il Presidente dell’Unione Monarchica Italiana, avv. Alessandro Sacchi, ha ricordato come con questo ultimo atto, che rispetta le volontà del defunto Principe, la storia si sia ricongiunta alla storia.

 

Feretro di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia

Il feretro di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia con alle spalle la Famiglia Reale d'Italia

Il Presidente Nazionale dell'U.M.I., Avv. Alessandro Sacchi, con la moglie, Ing. Daniela Scala 

S.A.R. il Principe Aimone di Savoia Aosta, Duca di Savoia, Capo della Real Casa di Savoia, e dietro il Presidente Nazionale dell'U.M.I.,Avv. Alessandro Sacchi

di Salvatore Sfrecola

( tratto da: www.unsognoitaliano.eu)

 

“Gli Azzurri sfidano le corone”, così Corrado Augias su La Repubblica di oggi, si avventura a denigrare le monarchie. Niente più di gossip, ovviamente. Con più di qualche svista, a cominciare dal titolo. Perché gli “azzurri”, come sono chiamati i giocatori della nazionale italiana di calcio, indossano quella maglia, che ha il colore azzurro (o blu) Savoia in onore della Casa regnante quando la squadra fu costituita per la prima volta. Azzurra la maglia degli sportivi, come la sciarpa degli ufficiali delle forze armate. Ho scritto che l’articolo “denigra” non critica le monarchie, Spagna Inghilterra, Danimarca. Perché la critica è sacrosanta, in ogni caso e in ogni contesto. La denigrazione per sua natura sempre generica non porta argomenti al dibattito. Monarchie “un po’ anomale”, scrive il Nostro. E parte dalla Corona inglese della quale rileva “l’evidente declino”. Sono a lui evidente, se è stato sottolineato il ruolo della Regina Elisabetta perfino nel corso della pandemia, che falciava giorno dopo giorno giovani e anziani, quando, in soli quattro minuti, in un intervento televisivo apprezzato dai comunicatori di tutto il mondo, ha mandato un messaggio chiaro ai suoi concittadini ricordando che avevano affrontato, e vinto, ben altre battaglie. Quattro minuti con voce e sguardo fermo per dire parole chiare e definitive. Un discorso efficace, molto più di quelli, lunghi e spesso fumosi, ai quali ci hanno abituato i nostri politici. La Corona inglese che, forse Augias non sa, porta punti al PIL del Regno Unito per il fascino antico e moderno di quel ruolo che è espressione di identità nazionale apprezzata dagli inglesi e da quanti guardano alla loro esperienza nazionale. Quella identità nazionale che un popolo costruisce lungo gli anni, che manca agli italiani ai quali è stato insegnato che l’Italia è nata nel 1946, e pertanto festeggia il 2 giugno, una ricorrenza comunque divisiva, anziché altra occasione come il 17 marzo, data della costituzione dello Stato nazionale (1861), un evento che solitamente si festeggia ovunque nel mondo, siano repubbliche o monarchie. Segue il caso del Regno di Spagna. Augias non può non ricordare che Re Juan Carlos, in presenza di un tentativo di colpo di Stato che aveva trovato eco in vari ambienti delle forze armate, si presentò in TV con l’uniforme di Capitano Generale per ordinare ai suoi soldati di tornare nelle caserme. Poi quel sovrano, certamente benemerito della democrazia spagnola, per aver assicurato la pacifica transizione dal franchismo alle istituzioni liberali, ha dimostrato di non saper invecchiare con la stessa dignità con la quale aveva regnato e, nel rispetto del ruolo al quale era stato educato, ha deposto la corona nelle mani del figlio che la tiene con grande dignità, tra l’altro garantendo con la sua presenza l’unità del paese che l’inadeguatezza delle forze politiche, a Madrid come a Barcellona, ha più volte messo in forse. Infine la Danimarca, che Augias ipocritamente apprezza per “una discrezione spinta al punto che non molti saprebbero dire se sieda su quel trono un re o una regina”. Forse non ha avuto occasione di essere in quel paese per la festa nazionale o del genetliaco del sovrano (oggi della sovrana) quando i danesi si accalcano dinanzi al Palazzo Reale per acclamare e ricordare che in quella istituzione non è solo la loro identità come popolo ma anche un costume democratico nel rispetto delle leggi. Forse Augias non sa che la Danimarca è, secondo la rilevazione di Transparency International sulla percezione della corruzione il paese più virtuoso del mondo. Il primo, cui seguono quelli che progressivamente si discostano di più dalle regole, fino a giungere oltre al 50 esimo posto al Botswana e a Cuba e all’Italia, Repubblica dei partiti e delle camarille. Purtroppo, perché noi amiamo immensamente questo Paese, come i nostri padri ed i nostri nonni, fin da quando gli atleti hanno cominciato ad indossare la maglia azzurra. L’Italia, soprattutto, e sempre. Come ha dimostrato il Principe Amedeo di Savoia Aosta sepolto il 1 luglio a Superga che, da ufficiale della Marina Militare, aveva giurato fedeltà alla Repubblica, perché così autorizzato esplicitamente dal dallo zio, il Re Umberto II. Così si è italiani, caro Augias, per l’Italia non per la fazione.

 

L’Unione Monarchica Italiana (U.M.I.) aderisce ai referendum promossi dal Partito Radicale in tema di Giustizia per superare, di fronte all’evidente, prolungata incapacità della classe politica al potere, inefficienze ed ingiustizie che pesano sulle persone e le imprese con possibili, gravi conseguenze negative anche sulla realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (P.N.R.R.), e s’impegna nella raccolta delle firme.

Roma, 24 giugno 2021

Il Presidente Nazionale

Avv. Alessandro Sacchi

di Davide Simone

 

"Sarebbe ridicolo, o quanto meno paradossale, in epoca in cui le conquiste dello scibile vertono verso traguardi mai sognati prima d'ora, in epoche in cui l'uomo volge alla conquista degli spazi ed alla scoperta di nuovi mondi celesti, parlare, ancora, di argomenti che sanno di marcatamente oscurantismo come è l'argomento MAFIA. Ma in Sicilia [...] questo argomento è quanto di più scottante e realistico, poiché la situazione ambientale è rimasta ai primordi del Cinquecento e forse del Medio Evo, vista in rapporto ai popoli che ghermiscono l'Europa ed il Mondo Civile. Che cosa si intende per MAFIA? Cento anni fa, allorché prima del regno Sabaudo imperava il Borbone, non era possibile, nel Meridione, e specie in Sicilia, tutelare la giustizia mercè di uomini dediti alla pubblica sicurezza. Le polizie di allora, deboli, male organizzate e pressocché inefficaci, non avevano alcun ascendente verso la popolazione che veniva abbandonata a sé stessa ed i relitti del sistema feudale, allora vigenti ed imperanti, conferivano ai feudatari di allora anche il potere di amministrare la giustizia con un potere esecutivo affidato all’arbitrio dei propri vassalli. Mutati i tempi e divenuta politicamente UNA l'Italia, malgrado la generosa opera svolta dalle forze di polizia del nuovo Regno Sabaudo intese alla epurazione delle popolazioni dal brigantaggio, rimasero tuttavia radicate quelle tradizioni che a lungo avevano imperato. Si giunse, talvolta, a dare uno sfondo politico all'opera delittuosa dei briganti per dare loro un'aurea di gloria che, alla luce della realtà, si traduceva invece ad atti di violenza, di profanazione dell'ordine costituito e di sovversivismo." Le riflessioni proposte non appartengono ad un qualche sostenitore di Casa Savoia, magari del Nord Italia, ma sono tratte da un verbale stilato nel giugno 1963 dai Carabinieri di Corleone, Palermo ("La mafia in Corleone 1963-1964" - Squadra P.G Carabinieri Corleone – 3508/11RPP RISERVATISSIMO) Uomini del Mezzogiorno e appartenenti ad un'epoca in cui la memoria degli eventi descritti era ancora viva e vivida (anche per la presenza di testimoni diretti, seppur molto anziani), questi militari confermano, con la loro analisi storica e investigativa, come la Mafia esistesse già prima del 1860/1861 e come il brigantaggio post-unitario fosse un fenomeno essenzialmente criminale e criminogeno. Un contributo preziosissimo e di innegabile e indubitabile valore storico, che fa tabula rasa di certe manomissioni (pseudo-revisionistiche) di matrice anti-unitaria e anti-risorgimentale rilanciate e tornate in voga negli ultimi anni con la crescita o il riaffacciarsi di sigle vicine al "legittimismo borbonico". Le valutazioni del verbale trovano peraltro riscontro nei lavori di ricerca di grandi studiosi meridionali come ad esempio Napoleone Colajanni, di cui si ricorda, in questa sede, il saggio "Nel Regno della Mafia"*.

 

*E' disponibile una buona bibliografia sul rapporto fra Mafia e brigantaggio siciliano anche partire dalla famosa inchiesta Sonnino-Franchetti del 1876

di Salvatore Sfrecola

( tratto da: www.unsognoitaliano.eu/2021/06/21/e-sempre-colpa-degli-altri-mai-una-sana-autocritica/ )

È sempre colpa degli altri. Dei poteri forti, naturalmente, soprattutto internazionali, dei partiti e dei gruppi di pressione, che hanno il potere, il denaro, i giornali, le televisioni. E la conclusione è che le cose non potevano non andare come sono andate, perché “vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare” Lo fa dire Dante a Virgilio. Ed è comodo giungere alla conclusione che non si poteva fare altro, che bisognava subire l’iniziativa degli altri, che è inutile assumere delle iniziative, anzi è inutile farsi promotori di idee e di programmi e cercarne l’attuazione. Più semplicemente è inutile pensare. Lo sento dire da quando ero bambino. E da allora respingo decisamente questo atteggiamento. Perché se così fosse effettivamente molti progressi della storia non si sarebbero fatti. E, tanto per non andare lontano, l’Italia non si sarebbe fatta se quei nostri progenitori avessero ritenuto che il potere dell’Austria-Ungheria era inattaccabile, che la presenza di un regno nell’Italia meridionale, erede dei colonizzatori spagnoli, era inevitabile, che Roma doveva rimanere alla Santa Sede, non per garantire, con un minimo di territorio, la giusta indipendenza all’autorità religiosa. Insomma, “un po’ di Roma”, come titola il bel romanzo storico di Alessandro Sacchi. Infatti, che senso ha uno “Stato della Chiesa”, amministrato tra inefficienza e corruzione, che due anni prima di Porta Pia condanna a morte dei patrioti che lottavano per l’annessione di Roma all’Italia! E così andando avanti nel tempo siamo arrivati al referendum istituzionale del 1946 quando, ammesso che i risultati siano esatti e moltissimi dubitano che lo siano, se non altro perché molti non hanno potuto votare o non hanno potuto votare liberamente, si è voluto chiudere con la storia d’Italia, con il Risorgimento, “unico tradizionale mastice della sua unità”, come ha scritto Indro Montanelli nell’>Avvertenza a “L’Italia della Repubblica”. Come se lo stato italiano fosse nato nel 1946. E questa è una bugia, una bugia grave non solo sul piano della nozione storica, ma perché impedisce di riandare al moto di formazione dello Stato italiano, al Risorgimento e prima ancora al pensiero di quanti nel corso dei secoli hanno propugnato l’idea di uno stato autonomo, da Dante a Guicciardini, da Machiavelli a Vittorio Alfieri, a Manzoni e via di seguito. E mentre nascevano le grandi monarchie europee, gli stati nazionali, Francia, Spagna, Inghilterra, c’erano da noi, e ci sono ancora, alcuni secondo i quali avremmo dovuto continuare ad essere, in un piccolo territorio (di poco più di 300 mila chilometri quadrati, incluso San Marino e il Vaticano), diviso in 7 stati, prevalentemente vassalli delle grandi potenze. Non ci sto, perché chi in Italia, dal 1946 ha gestito per decenni un potere assoluto non può andare esente da colpe. Perché chi ha issato la bandiera dei valori cristiani ha, quanto meno, assistito inerte o incapace di reagire alla scristianizzazione della società, avendola già privata della sua identità, della sua storia che, pure, è straordinaria, da Roma lungo i secoli. Basti vedere in quali condizioni sono gli istituti di istruzione, spesso privi dei servizi minimi, palestre, laboratori, biblioteche, un tempo assicurati indifferentemente a tutti i ragazzi, qualunque fosse la condizione sociale della famiglia, con sostanziale parità nel merito. Del degrado dell’istruzione sono una immagine impietosa le bandiere sdrucite, sporche, esposte da anni, sempre le stesse, giorno e notte, tutto l’anno, in violazione delle norme che ne disciplinano l’uso. Neppure i partiti che si dicono tutori della Patria hanno saputo impegnarsi perché sulla facciata delle scuole sventolasse una bandiera come quelle che il campionato di calcio richiama sulle finestre dei tifosi. E voi genitori, perché non donate una bandiera alla scuola dei vostri figli? Per ricominciare a credere nel ruolo dell’istruzione, non una spesa “corrente” ma un investimento sul futuro della società. Il che vuol dire anche pensare ad un’edilizia adeguata, ad una più attenta selezione dei docenti, da retribuire quanto il loro ruolo richiede. E poiché abbiamo iniziato dicendo che non va bene affermare che le cose non vanno perché altri sono contrari, non va trascurato che la Chiesa, che un tempo vantava un impegno importante nell’istruzione, è pressoché assente. Come nell’educazione. Un tempo c’erano gli oratori, luoghi d’incontro e di formazione. Ricordo che un mio collega, la cui famiglia non poteva pagare le ripetizioni, ripassava latino e greco con un sacerdote colto, mentre io giocavo a ping pong. Stupirsi della scristianizzazione della società è ipocrita. Non si trovano buoni sacerdoti. Io credo che quella “vocazione” sia condizionata anche dall’appeal che un ruolo ha nell’opinione pubblica. Senza che sembri irriverente vale anche per altre “professioni”, il funzionario pubblico, il Carabiniere, il magistrato, il medico. Il reclutamento segue l’attenzione che l’opinione pubblica riserva a queste attività. Più sono circondate di rispetto e di stima, più attirano i giovani i quali sono sempre guidati anche dall’immagine che ricavano dalla realtà del loro tempo.