Comunicato stampa del 17 marzo 2021
Nasce l’Italia, 160 anni.
Il 17 marzo di 160 anni fa si realizzava il sogno italiano. Le diverse anime – da quella moderata e monarchica di Cavour a quella rivoluzionaria di Mazzini e Garibaldi – che in quegli anni avevano agitato la scena nazionale trovarono comunione d’intenti ma, soprattutto, una guida salda e determinata in Vittorio Emanuele II. Si poté così compiere quello che era stato l’auspicio non solo di Carlo Alberto, padre delle istituzioni del Regno grazie allo Statuto del 1848, ma anche di tutti i patrioti che vedevano nell’unità nazionale l’ideale supremo di italianità così lungamente negato.
Roma,17 marzo 2021
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi
Lecce: Roberto Maggio è il nuovo commissario provinciale
Il Presidente Nazionale dell’U.M.I., Avv. Alessandro Sacchi, ha nominato il Dott. Roberto Maggio, classe 1982, dottore in scienze giuridiche, commissario provinciale di Lecce dell’Associazione. Al Dott. Roberto Maggio i migliori auguri di buon lavoro dall'U.M.I.
Dott. Roberto Maggio
Guido Jetti: Napoli, Via Medina- 11 giugno 1946
Con questa nuova ricerca l’Autore conclude l’analisi del triennio compreso tra il 1943 e il 1946, lasso di tempo nel quale si attuano cambiamenti radicali per l’Italia, non privi di tensioni, scontri ed eccidi, come quello consumatosi sulla strada napoletana di Via Medina nei primi giorni del giugno ‘46, preludio infausto alla nascente Repubblica e all’esilio della Casa regnante. Questo lucido e attento ‘riesame’ dei fatti di Napoli, che la storiografia tende largamente a dimenticare, non è soltanto un “atto dovuto”, e mai compiutamente attuato, alla memoria delle vittime del dissenso popolare filomonarchico, ma è anche una profonda denuncia circa le responsabilità di chi doveva, di chi poteva evitare un’inutile strage, dopo giorni di imponenti e perlopiù pacifiche proteste di piazza, alimentate dall’esito ambiguo – da quel «deficit di trasparenza», per usare le parole dell’Autore – della consultazione referendaria del 2 giugno.
Le mele marce sono sempre di più. Inadeguato il reclutamento all’ingresso e nella catena di comando
di Salvatore Sfrecola
Le mele marce ci sono sempre state, dappertutto. Generali che hanno passato informazioni al nemico, funzionari del fisco e magistrati corrotti, agenti delle Forze dell’ordine infedeli, docenti delle scuole di ogni ordine e grado che hanno dato scandalo. E tutte le volte ci siamo indignati, come nel caso degli eventi delittuosi che si sente dire sarebbero avvenuti nella Caserma dei Carabinieri di Piacenza, dopo esserci stupiti che sia stato possibile. Continuiamo ad indignarci sempre più spesso e questo vuol dire che i casi sono aumentati. Che, in primo luogo, si è eclissato il senso dello Stato, la fedeltà alle istituzioni, il rispetto della legge per il pubblico dipendente che la Costituzione ricorda essere “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98) e deve adempiere le funzioni pubbliche che gli sono affidate “con disciplina ed onore” (art. 54). A monte c’è evidentemente un problema di adeguatezza dei soggetti inseriti nella catena di comando perché, secondo il detto popolare, antico ed efficace, “il pesce puzza dalla testa”. C’è un problema di reclutamento all’ingresso e nella progressione nelle funzioni. Che non è più orientato ad una rigida selezione professionale e morale dei pubblici dipendenti. Un tempo, oltre a prove scritte ed orali capaci di verificare la conoscenza delle materie professionali, c’era anche la “buona condotta”, un requisito che si basava sull’assenza di precedenti penali che, pur non dando luogo alla cancellazione dalle liste elettorali, quindi alla perdita del godimento dei diritti politici, potevano assumere rilevanza sul piano della condotta morale e civile del cittadino. La legge 29 ottobre 1984, n. 732, ha eliminato il requisito dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato. Diminuite le prove selettive, disarticolato il sistema organizzativo con il ripetuto passaggio generalizzato alle qualifiche o ai livelli superiori, in conseguenza di una regola folle, tutta italiana, secondo la quale il trattamento economico cresce in modo significativo solamente se si è promossi ad una qualifica o ad un livello superiori, era inevitabile che avremmo assistito al progressivo sfascio delle strutture pubbliche. L’italica fantasia, con la complicità dei sindacati legati ai partiti politici, ha inventato ogni possibile trasformazione dei ruoli e delle funzioni. Non ci sono più da tempo il gruppo A, B e C, che distinguevano le carriere direttive, di concetto ed esecutive, non le qualifiche corrispondenti a strutture amministrative, la sezione con il Capo Sezione, la Divisione con il Capo divisione. Qualcuno avrà visto un famoso film, Monsù Travet, con Carlo Campanini che impersona un modesto impiegato ansioso di corrispondere alle disposizioni di un Capo Sezione sempre incombente. Una volta si cita il Commendatore, il Capo Divisione, mai il direttore generale. Oggi i direttori generali sono centinaia, spesso preposti a micro strutture, anche solamente di una decina di persone. Chi ricorda che il direttore generale era nel cosiddetto “ordinamento gerarchico” il grado quarto della Pubblica Amministrazione, che nelle Forze Armate corrispondeva a Generale di divisione. L’avete mai visto un generale a due stelle comandare una divisione di dieci soldati? Del resto la Provincia di Roma aveva un Generale di brigata alla guida della Polizia Provinciale, un centinaio di elementi, la consistenza di una compagnia. Roba da tenente o, al più, da capitano.
Ancora un esempio. Alcuni giorni fa, essendomi recato in un ufficio della Polizia Municipale di Roma in portineria mi ha accolto un agente molto gentile che sulla spallina recava due stelle. Un tempo erano le insegne di un tenente. Ancora. Quando si veniva fermati da una pattuglia dei Carabinieri la comandava un vice brigadiere o un brigadiere. Oggi la medesima pattuglia è formata da due o tre marescialli, un grado importantissimo nella struttura di comando, alla guida di una Stazione, il presidio territoriale dell’Arma. Ancora, non me ne vogliano gli amici generali, ma tutti questi Generali di Corpo d’Armata quando non ci sono Corpi d’Armata che ci stanno a fare, che senso hanno, se non per arricchire un biglietto da visita.
Come mai nei film polizieschi in America la polizia delle grandi città è comandata da un tenente o da un capitano? Il Tenente Colombo è passato alla storia del cinema.
Sviliti i gradi, sono risultate svilite le relative funzioni. Un disastro, insieme ai passaggi di livello senza vere selezioni, per finire con l’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001 un “dirigentificio” di amici dei politici. Persone che non hanno mai vinto un concorso, anzi che non hanno mai pensato di farlo, si trovano dirigenti per essere stati al seguito del politico di turno. Con l’effetto di mortificare i funzionari di carriera nelle loro legittime aspirazioni. Altro si potrebbe dire. Ad esempio che i Carabinieri un tempo reclutavano direttamente i loro allievi e li formavano rigidamente. Oggi li prendono dall’esercito essendo diversamente addestrati e se sono fuorviati, quanto a senso dello Stato e dell’onore, non c’è più possibilità di addrizzarli. Mi fermo qui. Disgustato. Le mele marce sono davvero troppe.
RADIO LONDRA – NOTIZIE DAL MONDO LIBERO
di Gaspare Battistuzzo Cremonini
Gretini? No, grazie, siamo conservatori
Chi è sufficientemente anziano ricorderà che al sabato, durante il Ventennio, c’erano i Littoriali: una versione in piccolo, paesana, campanilistica e al sapor di mortadella delle magniloquenti manifestazioni del medesimo nome che il Fascismo organizzava, invece, in pompa magna a Roma.
In questo ultimo anno ci è stato dato di poter assistere ad una nuova versione dei Littoriali del sabato, spostati però al venerdì, quelle che io ho chiamato le Gretinate, ossia le manifestazioni dei cosiddetti Fridays For Future, movimento giovanile di grande successo mondiale formato da quei ragazzi che seguono la trecciuta neo-guru svedese Greta Thunberg, ascesa al ruolo di profeta del verbo Green che saprà portarci nella nuova era della Terra in cui scorreranno fiumi di miele.
A ben vedere il progressismo internazionale non è nuovo a cicliche riscoperte del tema ambientale: gli anni ’70 ci hanno ben insegnato che tra un concerto nudi come mamma li aveva fatti e un viaggio stupefacente in India alla ricerca dei paradisi artificiali negli ashram, i ragazzi della borghesia occidentale rispolverano circa ogni decennio la questione del cambiamento climatico e delle sue conseguenze.
Badate bene, cari amici, non dico assolutamente che il cambiamento climatico e l’ambiente non siano, in questo momento, una priorità cui dovremmo dedicarci. Al contrario, ritengo che essi siano di certo la chiave di volta del nostro futuro: se non lo comprendiamo presto, presto saremo spacciati.
No, qui la questione ha come sempre a che fare con ipocrisia, doppiopesismo e gruppi di giovani annoiati che non sapendo che fare, invece di leggere e documentarsi, seguono quel che il mainstream - ossia l’Orco che il clima lo sta devastando da decenni, - propone loro come protesta, debitamente incanalata in modo che non faccia male a nessuno e che coloro i quali traggono profitto dallo sverginamento del pianeta non debbano preoccuparsi ma al contrario blandiscano, con soffici carezze, questi ragazzetti sprovveduti che non capiscono per cosa protestano.
Per prima cosa sarebbe interessante far notare che il tema della salvaguardia ambientale è, assolutamente e primariamente, un tema conservatore. Il progressismo, che nasce nell’ottocento positivista e sulla scia del marxismo e di movimenti socialisti sperimentali, da sempre inneggia al progresso come leva con la quale le classi oppresse potranno, prima o poi, affrancarsi dai loro oppressori.
Se era un conservatore come J.R.R. Tolkien a dire che preferiva il lampo alla luce elettrica ed il cavallo alle automobili, erano invece gli apologeti del progresso laburista quelli che vedevano nei mezzi di produzione di massa il modo per elevare quella stessa massa a protagonista. Per un Filippo di Edimburgo che fondava il WWF (World Wildlife Fund), c’erano altrettanti Stalin e Mao Tse Tung che implementavano vertiginosamente l’industrializzazione dei loro paesi al fine di renderli competitivi con il nemico di sempre, i capitalistici Stati Uniti.
Il conservatore vero, del resto, è e non può essere altro che il primo ambientalista in quanto ritiene sacro ed inviolabile il Creato poiché egli si considera un custode piuttosto che un padrone: l’organizzazione umana precapitalistica, infatti, il famoso quanto vituperato Ancien Régime, non ha mai inciso sul clima e sull’ambiente quanto ha inciso e sta incidendo il libero mercato che permette a tutti di avere il frigorifero.
Acclarato ciò, resta da puntualizzare un’ipocrisia di fondo che permane fondante nel movimento dei Gretini: essi vorrebbero un ambiente più pulito e salubre senza però punto rinunciare alle comodità cui sono abituati e che, tuttavia, quell’ambiente lo stanno distruggendo. Pur non soffermandosi sulla banale semplicità del Gretino tipo che sfila in manifestazione con l’I-Phone - costato vite di bimbi africani calati in miniera ad estrarre il cobalto e vite di bimbi cinesi pagati 1$/giorno per assemblare i portenti tecnici di Mr Steve Jobs l’ex hippie progressista convertitosi al capitale, - rimane indubitabile che appena si chieda a qualsiasi di questi ragazzi di privarsi del motorino e d’andare a piedi o in autobus: apriti cielo, l’ambiente lo salvino gli altri ché io alle otto ho serata!
La vera contraddizione di fondo però, quella sul serio preoccupante, è che il Green sembra sempre di più il mantello verde sotto il quale si nascondono, compiaciuti, gli sfruttatori ambientali di sempre: per quale motivo i Rockefeller, gli Agnelli, i Soros, i Mittal, i Musk benedicono tutti il nuovo Vangelo Gretinico? Per quale motivo vogliamo tutti una Tesla, l’auto elettrica, senza sapere che costruirla inquina più di quanto inquini una macchina a benzina?
L’ambientalismo sarebbe qualcosa di bellissimo ma quel che si vede in giro sembra più che altro rinnovato conformismo.