Lecce: Roberto Maggio è il nuovo commissario provinciale
Il Presidente Nazionale dell’U.M.I., Avv. Alessandro Sacchi, ha nominato il Dott. Roberto Maggio, classe 1982, dottore in scienze giuridiche, commissario provinciale di Lecce dell’Associazione. Al Dott. Roberto Maggio i migliori auguri di buon lavoro dall'U.M.I.
Dott. Roberto Maggio
Guido Jetti: Napoli, Via Medina- 11 giugno 1946
Con questa nuova ricerca l’Autore conclude l’analisi del triennio compreso tra il 1943 e il 1946, lasso di tempo nel quale si attuano cambiamenti radicali per l’Italia, non privi di tensioni, scontri ed eccidi, come quello consumatosi sulla strada napoletana di Via Medina nei primi giorni del giugno ‘46, preludio infausto alla nascente Repubblica e all’esilio della Casa regnante. Questo lucido e attento ‘riesame’ dei fatti di Napoli, che la storiografia tende largamente a dimenticare, non è soltanto un “atto dovuto”, e mai compiutamente attuato, alla memoria delle vittime del dissenso popolare filomonarchico, ma è anche una profonda denuncia circa le responsabilità di chi doveva, di chi poteva evitare un’inutile strage, dopo giorni di imponenti e perlopiù pacifiche proteste di piazza, alimentate dall’esito ambiguo – da quel «deficit di trasparenza», per usare le parole dell’Autore – della consultazione referendaria del 2 giugno.
Le mele marce sono sempre di più. Inadeguato il reclutamento all’ingresso e nella catena di comando
di Salvatore Sfrecola
Le mele marce ci sono sempre state, dappertutto. Generali che hanno passato informazioni al nemico, funzionari del fisco e magistrati corrotti, agenti delle Forze dell’ordine infedeli, docenti delle scuole di ogni ordine e grado che hanno dato scandalo. E tutte le volte ci siamo indignati, come nel caso degli eventi delittuosi che si sente dire sarebbero avvenuti nella Caserma dei Carabinieri di Piacenza, dopo esserci stupiti che sia stato possibile. Continuiamo ad indignarci sempre più spesso e questo vuol dire che i casi sono aumentati. Che, in primo luogo, si è eclissato il senso dello Stato, la fedeltà alle istituzioni, il rispetto della legge per il pubblico dipendente che la Costituzione ricorda essere “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98) e deve adempiere le funzioni pubbliche che gli sono affidate “con disciplina ed onore” (art. 54). A monte c’è evidentemente un problema di adeguatezza dei soggetti inseriti nella catena di comando perché, secondo il detto popolare, antico ed efficace, “il pesce puzza dalla testa”. C’è un problema di reclutamento all’ingresso e nella progressione nelle funzioni. Che non è più orientato ad una rigida selezione professionale e morale dei pubblici dipendenti. Un tempo, oltre a prove scritte ed orali capaci di verificare la conoscenza delle materie professionali, c’era anche la “buona condotta”, un requisito che si basava sull’assenza di precedenti penali che, pur non dando luogo alla cancellazione dalle liste elettorali, quindi alla perdita del godimento dei diritti politici, potevano assumere rilevanza sul piano della condotta morale e civile del cittadino. La legge 29 ottobre 1984, n. 732, ha eliminato il requisito dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato. Diminuite le prove selettive, disarticolato il sistema organizzativo con il ripetuto passaggio generalizzato alle qualifiche o ai livelli superiori, in conseguenza di una regola folle, tutta italiana, secondo la quale il trattamento economico cresce in modo significativo solamente se si è promossi ad una qualifica o ad un livello superiori, era inevitabile che avremmo assistito al progressivo sfascio delle strutture pubbliche. L’italica fantasia, con la complicità dei sindacati legati ai partiti politici, ha inventato ogni possibile trasformazione dei ruoli e delle funzioni. Non ci sono più da tempo il gruppo A, B e C, che distinguevano le carriere direttive, di concetto ed esecutive, non le qualifiche corrispondenti a strutture amministrative, la sezione con il Capo Sezione, la Divisione con il Capo divisione. Qualcuno avrà visto un famoso film, Monsù Travet, con Carlo Campanini che impersona un modesto impiegato ansioso di corrispondere alle disposizioni di un Capo Sezione sempre incombente. Una volta si cita il Commendatore, il Capo Divisione, mai il direttore generale. Oggi i direttori generali sono centinaia, spesso preposti a micro strutture, anche solamente di una decina di persone. Chi ricorda che il direttore generale era nel cosiddetto “ordinamento gerarchico” il grado quarto della Pubblica Amministrazione, che nelle Forze Armate corrispondeva a Generale di divisione. L’avete mai visto un generale a due stelle comandare una divisione di dieci soldati? Del resto la Provincia di Roma aveva un Generale di brigata alla guida della Polizia Provinciale, un centinaio di elementi, la consistenza di una compagnia. Roba da tenente o, al più, da capitano.
Ancora un esempio. Alcuni giorni fa, essendomi recato in un ufficio della Polizia Municipale di Roma in portineria mi ha accolto un agente molto gentile che sulla spallina recava due stelle. Un tempo erano le insegne di un tenente. Ancora. Quando si veniva fermati da una pattuglia dei Carabinieri la comandava un vice brigadiere o un brigadiere. Oggi la medesima pattuglia è formata da due o tre marescialli, un grado importantissimo nella struttura di comando, alla guida di una Stazione, il presidio territoriale dell’Arma. Ancora, non me ne vogliano gli amici generali, ma tutti questi Generali di Corpo d’Armata quando non ci sono Corpi d’Armata che ci stanno a fare, che senso hanno, se non per arricchire un biglietto da visita.
Come mai nei film polizieschi in America la polizia delle grandi città è comandata da un tenente o da un capitano? Il Tenente Colombo è passato alla storia del cinema.
Sviliti i gradi, sono risultate svilite le relative funzioni. Un disastro, insieme ai passaggi di livello senza vere selezioni, per finire con l’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001 un “dirigentificio” di amici dei politici. Persone che non hanno mai vinto un concorso, anzi che non hanno mai pensato di farlo, si trovano dirigenti per essere stati al seguito del politico di turno. Con l’effetto di mortificare i funzionari di carriera nelle loro legittime aspirazioni. Altro si potrebbe dire. Ad esempio che i Carabinieri un tempo reclutavano direttamente i loro allievi e li formavano rigidamente. Oggi li prendono dall’esercito essendo diversamente addestrati e se sono fuorviati, quanto a senso dello Stato e dell’onore, non c’è più possibilità di addrizzarli. Mi fermo qui. Disgustato. Le mele marce sono davvero troppe.
RADIO LONDRA – NOTIZIE DAL MONDO LIBERO
di Gaspare Battistuzzo Cremonini
Gretini? No, grazie, siamo conservatori
Chi è sufficientemente anziano ricorderà che al sabato, durante il Ventennio, c’erano i Littoriali: una versione in piccolo, paesana, campanilistica e al sapor di mortadella delle magniloquenti manifestazioni del medesimo nome che il Fascismo organizzava, invece, in pompa magna a Roma.
In questo ultimo anno ci è stato dato di poter assistere ad una nuova versione dei Littoriali del sabato, spostati però al venerdì, quelle che io ho chiamato le Gretinate, ossia le manifestazioni dei cosiddetti Fridays For Future, movimento giovanile di grande successo mondiale formato da quei ragazzi che seguono la trecciuta neo-guru svedese Greta Thunberg, ascesa al ruolo di profeta del verbo Green che saprà portarci nella nuova era della Terra in cui scorreranno fiumi di miele.
A ben vedere il progressismo internazionale non è nuovo a cicliche riscoperte del tema ambientale: gli anni ’70 ci hanno ben insegnato che tra un concerto nudi come mamma li aveva fatti e un viaggio stupefacente in India alla ricerca dei paradisi artificiali negli ashram, i ragazzi della borghesia occidentale rispolverano circa ogni decennio la questione del cambiamento climatico e delle sue conseguenze.
Badate bene, cari amici, non dico assolutamente che il cambiamento climatico e l’ambiente non siano, in questo momento, una priorità cui dovremmo dedicarci. Al contrario, ritengo che essi siano di certo la chiave di volta del nostro futuro: se non lo comprendiamo presto, presto saremo spacciati.
No, qui la questione ha come sempre a che fare con ipocrisia, doppiopesismo e gruppi di giovani annoiati che non sapendo che fare, invece di leggere e documentarsi, seguono quel che il mainstream - ossia l’Orco che il clima lo sta devastando da decenni, - propone loro come protesta, debitamente incanalata in modo che non faccia male a nessuno e che coloro i quali traggono profitto dallo sverginamento del pianeta non debbano preoccuparsi ma al contrario blandiscano, con soffici carezze, questi ragazzetti sprovveduti che non capiscono per cosa protestano.
Per prima cosa sarebbe interessante far notare che il tema della salvaguardia ambientale è, assolutamente e primariamente, un tema conservatore. Il progressismo, che nasce nell’ottocento positivista e sulla scia del marxismo e di movimenti socialisti sperimentali, da sempre inneggia al progresso come leva con la quale le classi oppresse potranno, prima o poi, affrancarsi dai loro oppressori.
Se era un conservatore come J.R.R. Tolkien a dire che preferiva il lampo alla luce elettrica ed il cavallo alle automobili, erano invece gli apologeti del progresso laburista quelli che vedevano nei mezzi di produzione di massa il modo per elevare quella stessa massa a protagonista. Per un Filippo di Edimburgo che fondava il WWF (World Wildlife Fund), c’erano altrettanti Stalin e Mao Tse Tung che implementavano vertiginosamente l’industrializzazione dei loro paesi al fine di renderli competitivi con il nemico di sempre, i capitalistici Stati Uniti.
Il conservatore vero, del resto, è e non può essere altro che il primo ambientalista in quanto ritiene sacro ed inviolabile il Creato poiché egli si considera un custode piuttosto che un padrone: l’organizzazione umana precapitalistica, infatti, il famoso quanto vituperato Ancien Régime, non ha mai inciso sul clima e sull’ambiente quanto ha inciso e sta incidendo il libero mercato che permette a tutti di avere il frigorifero.
Acclarato ciò, resta da puntualizzare un’ipocrisia di fondo che permane fondante nel movimento dei Gretini: essi vorrebbero un ambiente più pulito e salubre senza però punto rinunciare alle comodità cui sono abituati e che, tuttavia, quell’ambiente lo stanno distruggendo. Pur non soffermandosi sulla banale semplicità del Gretino tipo che sfila in manifestazione con l’I-Phone - costato vite di bimbi africani calati in miniera ad estrarre il cobalto e vite di bimbi cinesi pagati 1$/giorno per assemblare i portenti tecnici di Mr Steve Jobs l’ex hippie progressista convertitosi al capitale, - rimane indubitabile che appena si chieda a qualsiasi di questi ragazzi di privarsi del motorino e d’andare a piedi o in autobus: apriti cielo, l’ambiente lo salvino gli altri ché io alle otto ho serata!
La vera contraddizione di fondo però, quella sul serio preoccupante, è che il Green sembra sempre di più il mantello verde sotto il quale si nascondono, compiaciuti, gli sfruttatori ambientali di sempre: per quale motivo i Rockefeller, gli Agnelli, i Soros, i Mittal, i Musk benedicono tutti il nuovo Vangelo Gretinico? Per quale motivo vogliamo tutti una Tesla, l’auto elettrica, senza sapere che costruirla inquina più di quanto inquini una macchina a benzina?
L’ambientalismo sarebbe qualcosa di bellissimo ma quel che si vede in giro sembra più che altro rinnovato conformismo.
AMEDEO GUILLET: IL COMANDANTE DIAVOLO
IL RICORDO DI UNA VITA AVVENTUROSA AL SERVIZIO DELLA PATRIA A 10 ANNI DALLA MORTE
di Michele Di Maio
Amedeo Guillet viaggio in Eritrea
Il buio che avvolge la figura di questo fervente monarchico e le sue ardite imprese nel periodo bellico sono il simbolo di una Repubblica che rinnega la sua storia e non celebra i suoi eroi
Il 16 giugno 2020 segna il decennale della morte di Amedeo Guillet, interessante figura della storia italiana. La vita di questo ufficiale, guerrigliero, e diplomatico è relativamente sconosciuta (difficile che il pubblico, con l' esclusione degli addetti ai lavori e degli appassionati di storia, conosca il nome), tuttavia egli, oltre a rappresentare uno straordinario insieme di coraggio, integrità, caparbietà e spericolatezza, è indubbiamente un autentico eroe italiano.
La sua vita merita di essere qui riassunta nei suoi tratti salienti anche per la sua singolare eccezionalità, la vita di Guillet non ha infatti nulla da invidiare a quella del protagonista di un buon romanzo.
Nasce nel 1909 da nobile famiglia piemontese di tradizioni militari, studia all' Accademia di Modena per divenire poi ufficiale di cavalleria. Presta servizio nella Campagna d' Abissinia, nel corso della quale viene decorato dal Maresciallo d' Italia Italo Balbo, e nella guerra civile spagnola, rinunciando nel mentre al matrimonio con la fidanzata, la cugina Beatrice Gandolfo, che si rifiuta di sposare, pur amandola, per evitare maldicenze circa un matrimonio di oppurtunità mirato ad ottenere la promozione a capitano (alcune recenti norme prevedevano lo stato di coniugato per l' ottenimento di promozioni per i dipendenti pubblici).
È però in Eritrea, dove viene dislocato poco prima dell' ingresso italiano nella Seconda guerra mondiale, che la sua storia assume i tratti della leggenda.
"Dagli inizi in Abissinia e Spagna alle gesta nel conflitto mondiale"
Qui Guillet riceve il comando un gruppo armato di irregolari indigeni al cui comando si rende protagonista di numerose imprese eroiche, come ad esempio una carica di cavalleria contro reparti meccanizzati inglesi, che gli valgono, dalle autorità italiane, la Medaglia d' argento al Valor Militare e, dai suoi soldati, il soprannome di Commundàr es Sciaitan (Comandante diavolo), la cui fama si diffonde in tutta l' Africa Orientale. Egli riesce anche ad ottenere il risulato, affatto scontato in un esercito composto da svariate etnie e religioni differenti, di non avere nella sua unità neanche un caso di diserzione o di contrasto tra i soldati indigeni e si guadagna una lealtà assoluta dai suoi uomini inaugurando un illuminato stile di comando: tratta infatti i suoi soldati con dignità e rispetto permettendo loro di rispettare i propri usi e costumi e concedendogli, secondo le usanze locali, di portare al seguito le proprie famiglie. In quel periodo lo stesso Amedeo ha una concubina eritrea, che lo seguirà per tutto il periodo di servizio eritreo in sfregio alle disposizioni che vietavano ai soldati italiani rapporti continuativi con le donne locali.
Dopo l' ordine di resa impartito da Roma nell' aprile del 1941, Guillet decide di proseguire privatamente la guerra con lo scopo di trattenere in Eritrea quante più truppe inglesi possibili alleggerendo così il fronte libico. A tal fine mette da parte l' uniforme italiana per assumere permanentemente l' identità del "Comandante diavolo" e riuniti i suoi soldati indigeni dà il via ad una feroce guerriglia contro depositi, convogli ferroviari ed avamposti inglesi. La sua leggenda diviene sempre più grande e gli inglesi scatenano una gigantesca caccia all' uomo per catturarlo, mettendo su di lui anche una taglia di 1000 sterline d' oro, ricompensa alta quanto inutile dato che nessuno lo tradirà mai (Le uniche ricompense mai corrisposte dagli Inglesi saranno quelle incassate dallo stesso Amedeo, che sotto falsa identità si presenterà per fornire informazioni sul fuggitivo Guillet).
Dopo oltre sei mesi di lotta e con i ranghi terribilmente assottigliati, giudicando la sua missione non perseguibile oltre, scioglie le sue milizie e si dà alla macchia.
"Una fuga rocambolesca e il rientro in Italia"
Inizia così il periodo più movimentato della sua vita mentre sotto l' identità del lavoratore yemenita Ahmed Abdallah al Redai, cerca una via per rientrare in Italia mantenendosi con umili lavori, quali scaricatore di porto e acquaiolo.
Appartengono a questa parte della sua biografia un viaggio su un' imbarcazione di contrabbandieri, il pestaggio da parte di pastori nomadi, la permanenza presso la capanna di un cammelliere, l' incarico di palafraniere presso la guardia, prima, e di "Gran Maniscalco di Corte" e precettore dei suoi figli, poi, al servizio del sovrano yemenita, per arrivare infine nel 1943 al rientro in patria su una nave della Croce Rossa.
Viene dunque promosso Maggiore per meriti di guerra e assegnato al SIM (Servizio Informazioni Militare) fino all' armistizio dell' 8 settembre, quando passa di nascosto la linea Gustav e giunge a Brindisi per mettersi a disposizione del Re. Torna quindi a svolgere mansioni di agente segreto al servizio del ricostituito Regio Esercito coronando nel mentre l' antico sogno d' amore sposando Beatrice Gandolfo nel 1944.
Terminata la guerra, a seguito dell' esito del referendum istituzionale, Guillet, fedele al giuramento prestato alla Corona, si dimette dall' Esercito e si reca, per palesargli l' intenzione di lasciare il Paese, da Umberto II, il quale lo redarguisce, rammentandogli che l' Italia e la sua indipendenza vengono prima del Sovrano.
Inizia quindi nella vita del Comandante Diavolo un nuovo capitolo caratterizzato dalla laurea in Scienze Politiche e dalla carriera diplomatica.
"Il servizio diplomatico e gli ultimi anni"
Non manca anche in questo ambito di rimanere sé stesso quando nel 1967, da ambasciatore in Marocco, memore della sua esperienza militare, mette in salvo, in una sparatoria verificatasi durante un ricevimento ufficiale a seguito di un tentato colpo di Stato, svariati diplomatici tra cui l' ambasciatore tedesco, impresa per la quale riceverà dalla Germania Ovest la Gran Croce con stella e striscia dell' Ordine al Merito della Repubblica.
Ritiratosi per sopraggiunti limiti di età nel 1975, compie nel 2000 un viaggio in Eritrea, dove viene ricevuto con gli onori di un Capo di Stato e nel novembre dello stesso anno viene insignito dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi della Gran Croce dell' Ordine Militare d' Italia, la più alta onorificenza militare del nostro Paese.
Muore a Roma all' età di 101 anni il 16 giugno del 2010.
Quanto sopra non è che il breve sommario di una vita lunga e densa, ma è sufficiente a cogliere la grandezza di un uomo la cui biografia, malgrado il suo protagonista non sia una delle grandi figure che hanno plasmato il corso della storia, rappresenta una grandiosa e incredibile vicenda umana.
È ora opportuno fare una riflessione e muovere una critica. Come precedentemente affermato, la figura di Amedeo Guillet non è largamente nota, quando invece, come ebbe a scrivere Indro Montanelli, "Se, invece dell' Italia, avesse avuto alle spalle l' impero inglese sarebbe diventato un secondo Lawrence". Il nostro è purtroppo uno Stato che guarda con sospetto ogni esaltazione della storia passata, vedendo in essa non una forza ma un pericolo, e che svilisce il patriottismo scambiandolo per nazionalismo. Tuttavia essere legati alla proria Nazione non significa propugnare la sua superiorità sulle altre, essere fieri dei vanti della sua storia non implica rimpiangerne le pagine più buie e vergognose. Dunque celebriamo senza paura e senza vergogna le nostre grandi personalità e i loro meriti; dobbiamo conoscere la nostra storia guardando con orgoglio alle sue glorie e con severità alle sue colpe, perchè una nazione senza storia è una nazione senza futuro.
Comunicato stampa di domenica 19 aprile 2020
Governano Comitati e Cabine di regia mentre il governo abdica al suo ruolo politico
L’Italia è ogni giorno più governata da elementi estranei alle istituzioni, con effetti devastanti sulla normativa adottata, incostituzionale e confusa, secondo il giudizio impietoso di illustri giuristi, anche di area. Presidente del consiglio e ministri, tutti hanno creato un comitato, una task force, una cabina di regia, per ricevere indicazioni sul da farsi, oltre 450 “esperti”, quasi sempre teorici senza esperienza operativa, per svolgere attività per le quali vi sono strutture amministrative dedicate, con funzionari di prim’ordine.
La politica ha abdicato alla sua funzione fondamentale che è quella di decidere governando con l’Amministrazione e questo preoccupa fortemente l’Unione Monarchica Italiana, da sempre attenta al buon funzionamento delle istituzioni in un ordinamento parlamentare. Anche per la contemporanea emarginazione delle Camere, chiamate ad approvare, senza discussione, solo mozioni di fiducia.
A Palazzo Chigi, accanto al Comitato tecnico scientifico, per le misure di contenimento dell’epidemia dal coronavirus, adesso c’è un Comitato di esperti che dovrà elaborare e proporre iniziative per stabilire le modalità di una ripresa graduale delle attività economiche e sociali, la cosiddetta “fase due”. Ma non basta. Perché, ultimo in ordine di tempo, anche il Ministro dell’Istruzione ha voluto il suo comitato per definire le modalità di apertura delle scuole a settembre. Inutile spiegare al Ministro che accade dal 1861 che le scuole riaprano a settembre. Vi hanno sempre provveduto funzionari di grande esperienza, al ministero e nei provveditorati agli studi. A dimostrazione della inadeguatezza della classe politica al governo che non conosce neppure le strutture amministrative delle quali dovrebbe servirsi per governare o con esse non riesce a dialogare.
Roma, 19.04.2020
Il Presidente Nazionale
Avv. Alessandro Sacchi