Parola di Re

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L'UMI è istituita per raccogliere e guidare tutti i monarchici, senza esclusioni, al fine di ricomporre in sè quella concordia discors che è una delle ragioni d'essere della Monarchia e condizione di ogni progresso politico e sociale. Suo compito non è la partecipazione diretta alla lotta politica dei partiti, ma la affermazione e la difesa degli ideali supremi di Patria e libertà, che la mia casa rappresenta.


(Umberto II - 1956)

di Salvatore Sfrecola

Inizia ad operare a Roma, in via Riccardo Grazioli Lante, 15/A, il “Centro Studi Storici, Politici e Giuridici Vittorio Emanuele Orlando”, Associazione senza scopo di lucro nata per promuovere la conoscenza della storia e della evoluzione delle istituzioni pubbliche e concorrere alla individuazione di riforme concernenti l’organizzazione e il funzionamento dello Stato. L’Associazione, pertanto, anche in collaborazione con istituzioni di altri paesi dell’Unione Europea, condurrà studi storici, politici e giuridici attraverso attività di ricerca e formazione; organizzerà corsi, conferenze, convegni e manifestazioni anche mediante pubblicazioni a stampa e in via telematica.

Perché, dunque, Vittorio Emanuele Orlando? È stato individuato come una personalità che ha attraversato un secolo di storia italiana (Palermo 19 maggio 1860 – Roma 1° dicembre 1952), capace di rappresentare i vari interessi che l’Associazione intende perseguire, per essere stato un esponente di primo piano della cultura democratica e liberale, giurista e storico insigne, fondatore della scuola italiana del Diritto pubblico, e poi politico di grande spessore, Ministro dell’interno, dell’istruzione e di Grazia e Giustizia, che allora aveva anche il compito – in assenza di rapporti diplomatici – di tenere relazioni ufficiose con la Santa Sede. Presidente del Consiglio dei ministri dal 30 ottobre 1917 al 23 giugno 1919 Orlando, parlamentare nelle legislature XX, XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII, fu più volte Presidente della Camera dei deputati. Deputato all’Assemblea Costituente è stato Senatore della Repubblica.

Contestualmente all’attività scientifica e all’insegnamento universitario Orlando svolse un’importante vita politica. Nel 1897 fu eletto deputato del collegio di Partinico, dove fu sempre rieletto fino al 1925, quando si dimise da parlamentare. Schierato con Giolitti, dovette subito affrontare da parlamentare, nel periodo politico più agitato e pericoloso del Regno, prima dell’avvento del Fascismo, il compito di sventare, insieme con socialisti, repubblicani, radicali e giolittiani, mediante il ricorso all’ostruzionismo parlamentare, il tentativo reazionario del Pelloux dopo l’assassinio del Re Umberto I.

Dopo Caporetto, il 30 ottobre 1917 fu chiamato alla presidenza del Consiglio dei ministri, in sostituzione di Paolo Boselli. Nelle difficili circostanze del momento volle mantenere anche Ministero dell’interno. Concordò con il Re la nomina di Amando Diaz a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Fu una scelta felice. Volle incitare gli italiani ad avere fiducia nella vittoria e il 22 dicembre 1917 alla Camera il suo richiamo fu perentorio: “La voce dei morti e la volontà dei vivi, il senso dell’onore e la ragione dell’utilità, concordemente, solennemente ci rivolgono adunque un ammonimento solo, ci additano una sola via di salvezza: resistere! resistere! resistere!”.

È noto al grande pubblico per aver rappresentato il Regno d’Italia alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 insieme al Ministro degli esteri Sidney Sonnino, a seguito della vittoria italiana al fianco della Triplice Intesa contro gli Imperi centrali. Ciò che gli valse l’appellativo di “Presidente della Vittoria”.

Nonostante l’esito delle trattative da lui condotte fosse stato giudicato da larghi settori dell’opinione pubblica come una “vittoria mutilata” rispetto alle aspettative e alle indicazioni del Trattato di Londra, Orlando si considerò soddisfatto degli esiti politici della guerra. Il 15 dicembre 1919 dichiarò al Senato che “l’Italia è oggi un grande Stato, non già per virtù di un’indulgente concessione diplomatica, ma perché essa ha rivelato una capacità di azione e di volere che la pareggia effettivamente ai più grandi Stati storici e contemporanei. È questo, secondo me, il primo e principale ingrandimento…non vi sono solo questioni economiche e territoriali che senza dubbio hanno per l’Italia un’importanza incomparabile ma vi è altresì tutto l’assetto etico e politico del mondo…”. 

Lasciato il governo, dal 1919 al 1920 fu presidente della Camera dei deputati e nel 1921 fu rieletto alla Camera.

L’avvento del Fascismo vide Orlando, come altri esponenti liberali, in un primo tempo tra i benevoli sostenitori del Governo Mussolini. Fece parte, con Antonio Salandra, e Gaetano Mosca della commissione incaricata di esaminare il progetto di legge Acerbo, che assegnava al partito o alla coalizione che avesse ottenuto alle elezioni almeno il 25% dei voti i due terzi dei seggi parlamentari. Don Sturzo scrisse in seguito a questo proposito: “Vedi la strana sorte di questi illustrissimi uomini di diritto, professori e consiglieri di Stato, quali Salandra, Orlando, Perla e Mosca. Appartenenti alla più pura tradizione liberale e Orlando per di più democratico di razza, sono obbligati a cancellare il loro passato, a dichiarare la bancarotta del liberalismo, a forzare la storia del diritto pubblico, a proclamare il dogma del diritto delle minoranze soverchiatrici, per arrivare a costituire un governo che non è più il governo del Re, né il governo del popolo, ma il governo della fazione dominante vestita della legalità di pseudo – maggioranza…”.

Eletto in Sicilia nel “listone” alle elezioni dell’aprile 1924, sostenne di essere rimasto il liberale democratico di sempre. Dopo il famoso discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, che segnò la formale instaurazione della dittatura, con la successiva messa fuori legge dei partiti e gli altri provvedimenti autoritari fu all’opposizione.

Nel 1931, il collocamento a riposo dall’insegnamento universitario per raggiunti limiti d’età gli risparmiò di dover scegliere se giurare fedeltà al regime, e nel 1934 si dimise insieme a Benedetto Croce dall’Accademia dei Lincei per non farlo. 

Orlando, con altri esponenti del prefascismo, fu consultato riservatamente dal Re Vittorio Emanuele III nel luglio 1943 nel corso della preparazione della defenestrazione di Mussolini. Redasse di suo pugno il testo del proclama firmato da Badoglio che annunciava la caduta del Fascismo e la continuazione della guerra; appoggiò i governi di unità nazionale, ma fu diffidente verso i successivi governi centristi, cui rimproverava di non porre in primo piano i motivi politici dell’indipendenza e della dignità nazionale.

Con il decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, il Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi lo nominò Presidente della Camera dei Deputati, fino al 25 settembre 1945. Consultore nazionale dal novembre 1945 al giugno 1946, Presidente della commissione esteri, fu eletto deputato alla Costituente nella lista “Unione Democratica Nazionale”, dal 1946 al 1948. Fece clamore nel 1947, il suo discorso in occasione del dibattito parlamentare per la ratifica del trattato di pace, in cui accusò De Gasperi di “cupidigia di servilismo”.

Fu senatore di diritto nella I legislatura repubblicana, dal 1948 alla morte. Fece la sua ultima battaglia parlamentare a 92 anni, in opposizione alla riforma della legge elettorale che introduceva il premio di maggioranza, proposta bollata come “legge truffa”. Dal 1950 al 1952 fu anche Presidente del Consiglio Nazionale Forense.

Morì nel 1952. È sepolto nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma.

Per i giuristi Orlando è un riferimento ineludibile, l’autore di oltre un centinaio di lavori, su questioni legali e giudiziarie che hanno lasciato un segno nell’evoluzione della cultura giuridica. 

Figlio di Camillo Orlando, avvocato, e di Carmela Barabbino, si dedicò con passione agli studi giuridici, in particolare al diritto pubblico. Nel 1880, non ancora laureato, vinse un concorso indetto dall’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere per uno studio sulla riforma elettorale, tema in quegli anni molto dibattuto, che fu pubblicato con il titolo “Della riforma elettorale” nel 1881 alla vigilia dell’approvazione parlamentare della riforma. Questo stesso studio gli permise, una volta laureato, di ottenere la libera docenza e la cattedra di Diritto costituzionale all’Università di Palermo. Insegnò, poi, a Modena, Messina, e ancora a Palermo nel 1889 alla cattedra di Diritto amministrativo, dove per un periodo tenne anche l’insegnamento di Istituzioni di Diritto romano (per il quale scrisse anche un manuale).

Le sue due opere più importanti sono i Principi di diritto costituzionale del 1889 e i Principi di diritto amministrativo del 1890. Queste due opere di manualistica generale sono considerate l’atto fondativo della moderna giuspubblicistica italiana. Con esse Orlando metteva in pratica una vera e propria rivoluzione metodologica, al centro della quale stava la necessità di espellere dallo studio del diritto pubblico, ogni sociologismo e ogni osservazione di carattere politico storico o filosofico. 

Il merito principale di Orlando è quello di aver costruito un sistema dogmatico razionale del diritto pubblico, in linea con la riflessione che si andava sviluppando in Germania. I suoi principi di diritto costituzionale e di diritto amministrativo sono considerati gli “atti fondativi della moderna giuspubblicistica italiana”. In quel periodo la scienza del diritto amministrativo si era sviluppata assumendo piena legittimità scientifica, come dottrina distinta da quella civilistica e l’impostazione metodologica degli studi seguiva quella esegetica adottata dai giuristi francesi, che si avvaleva di analisi comparatistiche, di ricerche sulla tradizione storica, di considerazioni sui costumi e sulla cultura della società. Un metodo, questo, che dominava anche negli studi di diritto costituzionale. Orlando spezzò questa tradizione metodologica. “Affascinato dagli studi pandettistici e dalle conclusioni cui stava pervenendo la pubblicistica tedesca, egli propose la costruzione di un sistema teorico unitario riguardante il solo diritto pubblico prodotto dallo Stato, all’interno del quale la pluralità delle norme potesse essere articolata in categorie astratte unitarie e queste, fondate su principi teorici generali, fossero collegate tra loro in termini logico-razionali. Anche per Orlando, allora, il diritto era solo quello prodotto dallo Stato e il sistema giuridico doveva riguardarlo in via esclusiva, con una netta separazione tra ordinamento giuridico da un canto, società, sua storia, realtà economica, cultura tradizionale, principi giusnaturalistici, scelte politiche dall’altro. In altre parole, un sistema giuridico dogmatico e puro, incentrato sullo Stato-persona. Le linee essenziali di questo indirizzo vennero presentate da Orlando nel primo numero dell’Archivio di diritto pubblico, la rivista da lui fondata nel 1891, dove affermò che gli studi di diritto amministrativo dovevano porsi gli obiettivi di definire in maniera rigorosa il “nesso sistematico tra le varie parti della scienza”, di separare gli aspetti giuridici da quelli sociali ed economici dell’attività dello Stato, di costruire gli istituti giuridici dell’amministrazione statale, anche di quella finanziaria. Il fine ultimo era, allora, la definizione del sistema dei principi giuridici che regolano l’attività statale” (M. Caravale, Storia del diritto nell’Europa moderna e contemporanea, Laterza, Bari, 2012, 391). In linea con quanto la dottrina tedesca andava facendo in Germania sulla direttrice teorica che da Gerber conduceva a Laband e infine a Jellinek. L’affermazione della personalità giuridica dello Stato, la teoria del governo di gabinetto (fondata sul principio della doppia investitura, parlamentare e monarchica) e, infine, il diritto di voto interpretato non già come diritto individuale ma come esercizio di una pubblica funzione.

Nonostante l’assoluta centralità dello Stato, occorreva però trovare una collocazione teorica anche alla dimensione sociale. A questo scopo, Orlando ricorre al concetto di popolo, un concetto anch’esso derivato dalla dottrina tedesca e più in particolare dalla lezione di Savigny. Un popolo, quello di Orlando, che quindi va interpretato non in senso volontaristico, ma come una realtà storico-naturale, custode dei costumi, delle tradizioni, della lingua. 

Imponente la sua produzione scientifica che prese avvio dal volume “Della riforma elettorale”, Milano, 1881. Poi “Le fratellanze artigiane in Italia”, Firenze, 1884; “Della resistenza politica individuale e collettiva”, Torino, 1885; “Principi di diritto costituzionale”, Firenze, 1889; “Principi di diritto amministrativo”, Firenze, 1890; “Teoria giuridica delle guarentigie della libertà,” Torino, 1890; “Primo trattato completo di diritto amministrativo”, in 10 volumi tra il 1900 e il 1932; “La giustizia amministrativa”, Milano, 1901; “Le régime parlamentaire en Italie”, Parigi, 1907; “Lo Stato e la realtà”, Milano, 1911; “Discorsi per la guerra”, Roma, 1919; “Crispi”, Palermo, 1923, “Discorsi per la guerra e per la pace”, Foligno, 1923; “Diritto pubblico generale e diritto pubblico positivo”, Milano, 1924; “Recenti indirizzi circa i rapporti fra diritto e Stato”, Tivoli, 1926; “L’opera storica di Michele Amari”, Milano, 1928; “Su alcuni miei rapporti di governo con la Santa Sede”, Napoli, 1929; “Immunità parlamentari e organi sovrani”, Tivoli, 1933; “Diritto pubblico generale”, Milano, 1940; “Scritti vari di diritto pubblico e scienza politica”, Milano, 1940; “Memorie (1915 – 1919)”, Milano, 1960 (a cura di Rodolfo Mosca); “Discorsi parlamentari”, Bologna, 2002.

In qualche modo il “Centro Studi Storici, Politici e Giuridici Vittorio Emanuele Orlando” prende il posto, nel panorama culturale e politico romano del Circolo di Cultura ed Educazione Politica “Rex” che ebbe, tra i più noti dei suoi presidenti l’avv. Carlo d’Amelio che di Vittorio Emanuele Orlando è stato allievo.