Repubblica Italiana – Dai brogli e dal Colpo di Stato del 1946 ai giorni nostri è un libro-bomba lanciato sulla Repubblica Italiana.  Per disseppellire le menzogne che hanno accompagnato la nascita della RI come la chiama tout court l’autore Giulio Vignoli. Solo RI, in quanto non meritevole di altro nome perché nel dopoguerra “il regime politico s’impadronì del potere senza mandato popolare”.

I fatti: il Referendum del 2/3 giugno 1946 si svolse con i voti per la Corona e la Monarchia nettamente in testa fino a tutto il 4 giugno. Una valanga di voti repubblicani sarebbe arrivata nella notte fra il 4 e 5 giugno, proveniente dal Sud, cosa non credibile giacché il Sud votò in massa per la Monarchia. Importante: dal Referendum erano stati esclusi Alto Adige, Venezia Giulia con Gorizia Trieste Pola Fiume le isole del Quarnaro, Zara perché in discussione la loro appartenenza all’Italia. Per Zara, quando Ciampi nel 2001 le attribuì la medaglia d’oro in quanto città martire, ci fu l’insurrezione del presidente della Croazia per cui risulta tuttora congelata. E a quei profughi dell’esodo  a suo tempo De Gasperi fece prendere le impronte digitali.

Dal 13 al 18 giugno il potere in Italia fu detenuto dall’Alcide e “Soci di fatto, ma non di diritto”, con interruzione della continuità costituzionale.

Umberto II, pronto ad inchinarsi alla volontà del popolo, aveva affermato di voler attendere il 18 giugno per la pronuncia della Corte Suprema di Cassazione su “reclami, numero votanti e voti nulli”. Agli Italiani scrisse il 13 giugno: “Improvvisamente, questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il Governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo con atto unilaterale e arbitrario poteri che non gli spettano”.

La Presidenza del Consiglio (De Gasperi) rispose con un comunicato vergognoso su “falsi”, mentre avrebbe dovuto baciargli i piedi poiché toglieva l’incomodo. Il Re, se avesse voluto reagire ai brogli e al Colpo di Stato, avrebbe avuto ottime possibilità di vittoria come dimostrato nel libro dalle forze elencate e a sua disposizione.

Era l’inizio dell’odio dei vermi”, scrive Vignoli, repubblicano di sentimenti ma che giovanissimo iniziò a prendere le difese della Monarchia sabauda e dei monarchici in quanto perseguitati e osteggiati, cosa che gli procurò discriminazioni nell’ambiente di lavoro. L’amor di Patria del professore, già docente universitario a Giurisprudenza e a Scienze Politiche per quasi 50 anni, risalta nella sua vita: ha cercato le minoranze italiane disperse in Europa, ne ha scritto (centinaia di pubblicazioni: libri saggi articoli).

L’impietoso confronto!

1) Il giorno dell’abdicazione Vittorio Emanuele III donò allo Stato italiano la sua famosa collezione di monete, la più grande al mondo, valutata miliardi; Umberto II per le spese del Referendum  impegnò la famosa collana di perle della Regina Margherita e prima di partire  -con due sole valigie- consegnò alla Banca d’Italia i gioielli della Corona.

Il PCI, fino all’epoca di Gorbaciov, fu finanziato dall’URSS con un enorme flusso di denaro, diventando potenza economica con enorme  patrimonio immobiliare, pseudo cooperative, banche come MPS. Ebbe le tangenti del commercio Italia-URSS e a tutto questo presiedette per anni Giorgio Napolitano come attestato dalla deposizione di Craxi al Tribunale di Milano nel processo per “Mani pulite”.

2) Il PCI fu sempre ladrone: dall’oro di Dongo (denaro della Banca d’Italia e quindi degli Italiani) financo ai diritti miliardari d’autore dei Quaderni di Gramsci. Mentre alla di lui figlia, bambina che viveva in Russia, portavano in dono solo una bambolina.

All’inizio ho parlato di una bomba lanciata e questa ha  scoperchiato un vaso di Pandora. Al fondo l’idra feroce del PCI, ma prima, in superficie, tanti mostriciattoli artefici del Comunismo. Napolitano certo, ma anche Togliatti, il criminale astuto (vedi Hotel Lux e periodo della guerra civile spagnola), Nenni che ebbe il “Premio per la Pace Stalin”, prima che se ne svelassero i crimini, De Gasperi definito da Vignoli “viscido austriacante”.

Pregio di questo libro è non fermarsi al passato ma arrivare con cruda e documentatissima analisi ai giorni nostri: dal ’68 alle Br.r., a Berlusconi e alla mala giustizia cioè quella politicizzata, alla scuola dei tutti promossi, alla mafia, ai processi che  videro condannato Priebke che obbedì ad ordini superiori e assolto Piskulic, assassino dei nostri fratelli fiumani, all’odierna invasione musulmana. Il lettore troverà irriverenti, ma azzeccate definizioni, anche per Obama e Papa Bergoglio.

A questo punto conta molto ricordare i nomi. A partire dalle due pagine (18/19) in cui sono elencati molti di coloro che al Referendum votarono Monarchia: “le più alte intelligenze italiane dello scibile in tutti i campi”. Nell’elenco ne cito alcuni perché molto conosciuti: Gino Bartali, Mariù Pascoli (sorella del poeta), Alberto Sordi, Raf Vallone, Amedeo Nazari, Macario, il cardinale Idelfonso Schuster, Valentino Bompiani, Giorgio De Chirico, don Carlo Gnocchi fondatore dell’Opera Mutilatini (Umberto II ospitò al Quirinale i mutilatini della guerra perduta), Leo Longanesi, Indro Montanelli, Padre Pio di Pietralcina che profetizzò “Un  ramo seccherà (Savoia-Carignano), un ramo fiorirà (Savoia-Aosta)…

E “martiri” sono usciti dal vaso di Pandora.

Gli antichi come i nove giovani di via Medina definiti da Napolitano: “popolino monarchico isterizzato”. Il 12 giugno, dopo il referendum, in una Napoli quasi tutta monarchica, alla sede del PCI in via Medina espongono una bandiera senza stemma sabaudo. Chi cerca di arrampicarsi per toglierla viene ucciso a raffiche di mitra. Ida Cavalieri, una studentessa, ebrea milanese, avvolta nella bandiera del Regno muove alla testa di un centinaio di studenti per fermare le camionette della polizia ma, travolta da queste, muore all’ospedale. Commenta Vignoli: “a Tienanmen il carrista deviò per non travolgere lo studente. Migliori i comunisti cinesi di quelli nostrani?” Vennero anche uccisi dai comunisti due Reali Carabinieri di cui non si svelò mai l’identità come scritto nel libro Umberto II e la crisi di Giovanni Artieri.

Pregio grande del Vignoli è citare una messe di libri  storici controcorrente: altri, in questa nostra Italia dell’occultamento, hanno avuto il coraggio della verità.

Come sigla di Vignoli si potrebbero assumere queste sue parole: “La Sinistra non dimentica, anch’io non dimentico e non perdono”.

Ad un martire, più recente, è dedicato il libro: al Caporale degli Alpini Matteo Miotto, che il 31 dicembre 2010 morì in Afghanistan, paese dilaniato da Talebani e ora anche da Isis. Morì dopo aver sventolato dal carro armato la Bandiera Italiana con la Croce Sabauda. Il Comando nella foto che diffuse censurò lo stemma. Intervenne il padre  di Matteo a mostrare la vera immagine.

Il 10/11 aprile 2016 la tomba di Miotto è stata vandalizzata e torno all’immagine della bomba lanciata. “Il fine giustifica i mezzi” è nota frase che Machiavelli mai scrisse. Se il fine della RI doveva essere “gettarsi alle spalle il passato per costruire la pace”, il non aver mai fatto i conti con il vero passato ha inquinato il risultato. Dal vaso  di Pandora scoperchiato è uscita una nube di Chernobyl che con l’ignoranza ancor oggi ottunde le coscienze.

                       

Henrik, principe di Danimarca (Henri Marie Jean André de Laborde de Monpezat; Talence, 11 giugno 1934 – Copenaghen, 13 febbraio 2018), era il principe consorte di S.M. Margherita II, Regina di Danimarca.

Il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha  conferito a S.A.R. Il Principe Aimone di Savoia l’Ordine dell’Amicizia.

L’alto riconoscimento è stato conferito a S.A.R. “ per il contributo alla realizzazione di progetti congiunti di alto livello tra Italia e Russia e per l’attrazione degli investimenti nella Federazione Russa”.

L’Ordine è stato istituto nel 1994 ed è conferito una volta l’anno per cittadini russi e stranieri.

Tra le personalità che hanno ricevuto tale onorificenza ricordiamo: il Principe Michele di Kent, il Maestro Riccardo Muti, l’Amb.Cesare Regaglini, il Dott. Rosario Alessandrello e il Dott. Paolo Scaroni.

S.A.R. Il Principe Aimone di Savoia e il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin.

del Prof. Salvatore Sfrecola

“Ha corrisposto l’Italia unificata da Cavour a quelli che poterono essere i suoi propositi e le sue speranze? È nata l’Italia libera, moderna, progredita sulla linea dell’Europa più avanzata, che egli auspicava? Si è formato uno Stato efficiente, bene strutturato, equilibrato fra esigenze pubbliche e private, collettive e individuali, liberiste e sociali, forte ma giusto nell’ordine e nella giustizia?” Sono interrogativi centrali nella lunga prefazione di Giuseppe Galasso all’“Autoritratto” di Camillo Benso di Cavour (BUR 2010)  nel quale lettere, diari, scritti e discorsi del grande statista sono presentati con straordinaria comprensione del contesto storico. Come per la definizione del perimetro istituzionale nel quale si muove il Conte, persuaso che lo Statuto Albertino racchiudesse “tutti i più grandi principii delle libere costituzioni”, in quanto “consacra fra noi tutti i diritti di cui godono tutte le nazioni più incivilite”, come scrisse il 10 marzo 1848 in un articolo per “Risorgimento”, all’indomani della promulgazione della Carta fondamentale del Regno.

Le risposte affermative alle domande iniziali che si è fatto sulla visione cavourriana del percorso risogimentale, scrive Galasso, “sarebbero poco credibili già in via di principio”. Ma “le risposte negative sarebbero, tuttavia, sicuramente errate”. Questo è Giuseppe Galasso, storico di raro equilibrio, per nulla condizionato dalle sue idee politiche. Sicché repubblicano, e in questa veste Consigliere comunale ed Assessore a Napoli e, poi, deputato al Parlamento per il Partito Repubblicano e Sottosegretario di Stato, ha sempre considerato un valore l’unità nazionale raggiunta nel Risorgimento sotto la guida di Casa Savoia. Per cui, ne scrive sul Corriere della Sera il 13 luglio 2015, gli “appare preoccupante il problema posto dall’antitalianismo borbonizzante. Sul piano culturale lo si può ritenere ben poco vitale e, comunque, destinato a essere superato (e anche omologato in quel tanto di fondato che può essere in esso). Sul piano politico, invece, alla sua incapacità di alimentare un filone politico specifico e consistente, corrisponde la sua forza erosiva e corrosiva dell’idea nazionale italiana, della quale il Mezzogiorno ha tanto partecipato e della quale, nonostante le apparenze, tuttora profondamente partecipa. E da ciò derivano un danno sicuro all’organismo nazionale italiano e un suo indebolimento in Europa, senza che si riesca in alcun modo a vedere che cosa ne venga di buono al Mezzogiorno.ai beni culturali e ambientali”.

Sottosegretario ai beni culturali e ambientali, a lui si deve la legge n. 431 del 1985 per la protezione del paesaggio (detta “legge Galasso”). Dal 1988 al 1991 fu Sottosegretario al ministero per l’Intervento Straordinario nel Mezzogiorno.

Un uomo del Sud, dunque, immerso nella cultura della sua terra, alimentata dalle istituzioni che l’hanno resa famosa, l’Istituto Italiano per gli Studi Storici, dove ha iniziato con una borsa di studio, e di cui sarebbe divenuto successivamente segretario, l’Università Federico II, nella quale è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, e l’Istituto Suor Orsola Benincasa. Ovunque ha insegnato storia moderna. In precedenza nelle Università di Salerno e Cagliari.

Numerose le opere che lo hanno fatto conoscere. A cominciare da la Storia d’Europa, edita da Laterza. Numerose pubblicazioni hanno riguardato la storia dell’Italia meridionale. Qualche esempio: Mezzogiorno medievale e moderno; Dal Comune medievale all’Unità. Linee di storia meridionale; Napoli spagnola dopo Masaniello. Politica Cultura Società; Potere e istituzioni in Italia. Dalla caduta dell’Impero romano ad oggi; Il Mezzogiorno nella storia d’Italia. Lineamenti di storia meridionale e due momenti di storia regionale; L’Italia come problema storiografico; Storia del Regno di Napoli (1266-1860), 6 volumi; Italia nazione difficile. Contributo alla storia politica e culturale dell’Italia unita; L’Italia moderna e l’unità nazionale (con Luigi Mascilli Migliorini); L’Italia nuova. Per la storia del Risorgimento e dell’Italia unita, 7 volumi; Storia della storiografia italiana. Un profilo.

Crociano di formazione, del grande filosofo e storico di Pescasseroli ha curato la riedizione delle opere per la casa editrice Adelphi.

È stato Presidente della Società napoletana di storia patria

Insieme all’attività accademica e politica Galasso ha sviluppato un’intensa attività giornalistica collaborando con numerosi quotidiani e periodici nazionali, da Il Mattino al Corriere della Sera, La Stampa, L’Espresso. I suoi editoriali hanno sempre lasciato un segno nelle menti più attente, spesso affrontando i temi dell’unità nella diversità delle regioni d’Italia, come del resto aveva intuito Camillo di Cavour del quale ha ricordato che aveva scritto “l’Italia considerata come un solo paese”, nel 1847. Italiano, non piemontecentrico come qualcuno ha scritto, già in tempi di molto anteriori alla sua esperienza politica nel Regno di Sardegna.

Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, Galasso ha ricevuto nel 2005 il “Premio speciale della Cultura” della Presidenza del Consiglio dei Ministri  per la sezione “Storia”.

Ce ne vorrebbero di più di storici come Giuseppe Galasso, mai piegato alle mode, mai “di parte”. Così un monarchico si può ritrovare nei suoi scritti.

di Giuseppe Borgioli

Lo scontro di questi giorni fra Eugenio Scalfari il padre di Repubblica e Carlo De Benedetti, Il padrone, rivela la crisi di un giornale che si è sempre proposto dalla sua nascita come la voce più autorevole del regime. Apparentemente il divario di opinioni riguarda l’endorsement a Berlusconi. Ma la frattura è più profonda.  Eugenio Scalfari diede vita a Repubblica – anche con i soldi di De Benedetti.  proponendosi una operazione politica e editoriale ambiziosa. Portare la sinistra italiana al governo con la benedizione dei poteri forti, delle istituzioni finanziarie, di una fetta della borghesia, senza colpo ferire, con la più ampia accondiscendenza possibile

Repubblica fu l’espressione editoriale del compromesso storico.

L’ operazione è andata in porto. Come a dire l’intervento chirurgico è riuscito ma il malato è morto. La sinistra si è frantumata e la voce di Repubblica si è sempre più affievolita: Le encicliche che settimanalmente Eugenio Scalfari andava pubblicando che dovevano dettare la linea di condotta per la si sinistra erano sempre meno prese in considerazione sino a casere nel disinteresse generale.

Scalfari aveva incontrato il suo momento magico con Enrico Berlinguer, quando il suo ruolo di suggeritore del principe era apprezzato. Berlinguer non intendeva andare direttamente al governo e I finanziatori di Repubblica (con De Benedetti in testa) non erano così stupidi da non prevedere il trauma economico che avrebbe provocato  lì inclusione del PCI nel governo-

Lo scopo di Scalfari (e Berlinguer) era di portare il PCI nell’area di governo per scrivere l’agenda della politica e dell’economia, scegliere i ministri e dirigenti pubblici, banchieri e commessi dello stato. Tutti sotto la etichetta indipendenti e la patente di professionalità che solo la sinistra riconosceva.

 Bisognava isolare per colpire quanti si opponevano al regime, quanti erano veramente indipendenti e non erano disposti a obbedire.In questo progetto Scalfari e De Benedetti erano solidali. Appartenevano alla stessa razza padrona. Frequentavano gli stessi salotti. Coltivavano da sempre le stesse amicizie politiche. Si ritrovavano negli stessi club e negli stessi convegni internazionali. Si intervistavano a vicenda e la musica non cambiava mai poiché non erano ammesse voci fuori dal coro.

Repubblica ha saputo gestire con intelligenza una vera dittatura intellettuale finalizzata a fare affari.

Le vicende italiane sono state segnate dell’attività oscura e palese di  questo comitato d’affari che ha segnato alcuni capitoli ancora misteriosi dalla vendita della SME, alla Mondadori, al Banco Ambrosiano. Altro che insider trading- La razza padrona ha spadroneggiato.

“Arricchitevi” era il motto di Francois Guizot. Ma almeno era rivolto a tutti indistintamente e non esclusivamente agli amici e compagni.

02.02.2018