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La miopia dell’occidente

di Giuseppe Borgioli

 

Esiste ancora l’occidente come area geopolitica definita da una tavola di valori e non semplicemente da una alleanza militare o peggio da una coincidenza di interessi?

La seconda metà del XX secolo ha visto, sull’ occidente, la leadership americana che ha scalzato i cugini inglesi nei diversi scacchieri strategici. La seconda guerra mondiale è stata lo spartiacque temporale.

Ci limitiamo a segnalare tre episodi che pesano ancora oggi nel quadro delle relazioni internazionali e nella eredità dei problemi irrisolti

1969. L’occidente non fece nulla per fermare la salita al potere in Libia di Muammar Gheddafi che spodestò Re Idris della dinastia dei Senussi.  Fu l’inizio di una rivoluzione permanente da cui la Libia non ò ancora uscita. L’occidente puntò su Gheddafi senza valutare le conseguenze e senza considerare il radicamento sociale della monarchia dei.

Solo la monarchia avrebbe potuto assicurare l’unita e la coesistenza delle tribù e confraternite locali.  I risultati di simile scelta sono sotto gli occhi di tutti. Gheddafi ha governato per circa 42 anni con il pugno di ferro e dopo di lui le fragili istituzioni del paese si sono disciolte come neve al sole dando vita ad una guerra civile senza fine con gli occidentali un ordine scarso, condizionati dai propri interessi petroliferi.

1979. Reza Palhevi lo Scià di Persia è un Sovrano lungimirante che non ha mire imperialiste ma vuole modernizzare il paese introducendo quelle riforme compatibili con l’identità del suo popolo che viene da una storia millenaria. Modernizzare la società nel solco della tradizione, aprirsi al mondo esterno principalmente all’occidente senza rinunciare alla propria identità spirituale.

L’occidente ripaga lo Scià con freddezza. Dopo la rivoluzione komeinista (un misto di giacobinismo e fanatismo religioso) lo Scià in esilio è un ospite imbarazzante per le democrazie occidentali

Oggi l’Iran ò in fattore destabilizzante per tutta l’area e nessun trattato o accordo sembra sopire questa realtà.

Ancora una volta la rivoluzione divora i suoi figli e gli interessi petroliferi soppiantano i valori.

2002. Guerra in Afghanistan dove si nasconde il quartier generale di Al Qaeda. Che senso ha, alla fine del conflitto, la esportazione della grammatica della democrazia politica come la conosciamo in occidente, coi partiti, le elezioni, forse con i brogli? Far funzionare il sistema democratico in quel lontano paese non è come riaprire l’aeroporto di Kabul.

A Roma vive appartato, quasi nell’anonimato, un signore che i vicini di casa conoscono per la sua gentilezza e signorilità, Mohammed Zahir, l’ultimo Re dell’Afghanistan.

Questo Re conosce a ama il suo popolo, non ha altra mira se non quella di favorire la pacificazione. Vuole semplicemente conciliare tradizione e libertà. E’ stato un Re costituzionale che ha fondato la prima università aperta alle donne.  Ma l’occidente, o meglio le voci che più contano in occidente, hanno pronta un’altra terapia. Il dogmatismo democratico si impone su ogni altra considerazione. Così l’Afghanistan è ancora in balia di una interminabile missione di pace.

Se questi sono i risultati come possiamo definire la lucidità di vista dell’occidente: miopia o cecità?