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La repubblica del lavoro (che non c’è’)

Giuseppe Borgioli

Giorgio La Pira in sede di assemblea costituente chiedeva che la istituzione si aprisse, sull’esempio americano, nel nome di Dio.

I padri costituenti hanno preferito stabilire con l’articolo uno che la repubblica è fondato sul lavoro che riecheggiava il peso della presenza comunista attestata sulla repubblica dei soviet.

Col tempo   la rivendicazione si concentrava sul “posto di lavoro”. Oggi con il 40 per cento di disoccupati fra i giovani anche il posto di lavoro è diventato un miraggio, una specie di lotteria che non premia i migliori.

Sul lavoro (meglio, sul posto di lavoro) si è costituito un sistema politico e sindacale ben stabilizzato che ha ingabbiato non poche risorse umane e economiche-

La tendenza storica va in tutt’altra direzione. Il lavoro che in quanto impegno fattivo dell’uomo non à destinato a scomparire, subirà nuove trasformazioni. Nell’economia di massa è sempre più preponderante la produzione di beni immateriali.

Il tempo libero (o liberato) con le attività ad esso connesse è una voce non secondaria delle economie più avanzate- Sono quasi scomparse le tute blu e l’automazione espelle dai lavori più faticosi la presenza umana. Ne sanno qualcosa a Torno che sotto questo aspetto ha avuto una vicenda emblematica e in alcuni passaggi dolorosa.

Per quanto sia fervida la nostra fantasia non riusciamo a immaginare come sarà la società di domani.

Di una cosa siamo certi che il sistema politico ha bisogno più che mai di fattori simbolici e immateriali che la repubblica fondata sul lavoro non può dare.

Questa costituzione che alcuni soloni si ostinano a definire “la più bella del mondo “ è nata vecchia anche e soprattutto nella enunciazione dei principi fondamentali.

L’unica strada per non cadere sotto la mannaia del tempo inclemente è attenersi a principi che non temono gli aggiornamenti perché attingono all’eternità della storia.

La forza del Re è anche questa: interpretare ogni fase del cammino incessante della vicenda della nazione non per spirito di adattamento ma per educazione a distinguere l’essenziale dal transitorio.