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Addio colpa grave nel danno erariale

Impunità per chi butta soldi pubblici

La novità, come ha scritto <La Verità>, potrebbe anche essere anticostituzionale

di SALVATORE SFRECOLA

Se avessimo avuto l’esigenza di cercare una conferma della confusione che regna a Palazzo Chigi e dintorni e della assoluta inadeguatezza di chi decide le regole della Pubblica Amministrazione l’abbiamo trovata nel decreto semplificazioni, se non altro per quanto attiene l’eliminazione della “colpa grave” nella disciplina del danno erariale. Cioè nella responsabilità che incombe sui pubblici amministratori e funzionari i quali abbiano causato un danno finanziario o patrimoniale allo Stato o ad un ente pubblico che, pertanto, sono tenuti a risarcire. Ora la regola del “chi rompe paga”, che ci accompagna dall’infanzia, non varrà più per i pubblici dipendenti che la Corte dei conti non potrà condannare al risarcimento del danno se commesso con “colpa grave”. Risponderanno solo per “dolo”, in pratica solo in caso di illecito penale.

Ma andiamo per ordine. Il Governo ha deciso questa limitazione della responsabilità sulla base dell’opinione, artatamente diffusa in alcuni ambienti amministrativi e politici, che il rischio di incappare nella sanzione risarcitoria dissuada i funzionari pubblici dall’assumere responsabilità. In prativa avrebbero paura di firmare.

Ho spiegato più volte che si tratta di un falso problema che si trasforma in una impunità per incapaci e disonesti. Infatti la colpa grave, come sa bene l’Avvocato Giuseppe Conte, che ha difeso dinanzi alle Sezioni della Corte dei conti, si configura esclusivamente in caso di inescusabile negligenza, marchiana imperizia o irrazionale imprudenza, cioè in una condizione che dovrebbe ritenersi inimmaginabile per funzionari pubblici dotati di adeguata preparazione professionale. Precisa il testo discusso in Consiglio dei ministri che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. Insomma può essere perseguito esclusivamente il dipendente pubblico che abbia voluto danneggiare l’Erario. Si comprende facilmente che questa è una ipotesi, come si dice, di scuola. In pratica occorre un contestuale illecito penale. Infatti la relazione illustrativa precisa che “il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica”, in conformità all’art. 43 c.p., secondo il quale “Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione… è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

Inoltre, come spiega il comunicato del Consiglio dei ministri, la disciplina derogatoria è eccezionale e temporanea, nel senso che attiene “ai fatti commessi dall’entrata in vigore” del decreto legge e fino al 31 luglio 2021. La limitazione di responsabilità non si applica per i danni cagionati da “omissione o inerzia del pubblico funzionario”. Insomma, chi opera e fa danni non paga se non c’è dolo, ma “se non fa” risponde per colpa grave. La “logica” è quella di evitare che, per paura della firma, il pubblico dipendente ometta di fare quello che la legge o le direttive amministrative prescrivono.

Alcune considerazioni s’impongono. In primo luogo la natura “temporanea ed eccezionale della norma” non appare giustificata da una situazione eccezionale che ben poteva essere individuata nell’“emergenza sanitaria” dichiarata dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020 per la durata di sei mesi. Pertanto, non si comprende come non sia stato coperto dalla normativa eccezionale il periodo della gestione pubblica nel corso della quale molti hanno operato in condizioni di evidenti ed obiettive difficoltà, almeno fino alla “fase tre”.

La norma, invece, prende in considerazione un periodo di tempo nel quale sono previste iniziative destinate a favorire la ripresa dell’economia in un contesto di revisione di attribuzioni e di competenze con semplificazioni varie, soprattutto in materia di contratti pubblici. Per cui si ritiene necessario assicurare agli operatori una relativa tranquillità nella gestione di questi procedimenti, sottraendoli al rischio di rispondere dinanzi alla Corte dei conti ove causassero un danno erariale, con colpa grave, cioè con inescusabile negligenza, marchiana imperizia o irrazionale imprudenza. Una enormità!

Diciamola tutta. Forse il Governo è preoccupato per le iniziative di alcune Procure e Sezioni della Corte dei conti, come nel caso della contestata interpretazione della responsabilità per le consulenze dei professori universitari. In questi casi, da sempre, si provvede con una norma di interpretazione autentica. Non si limita il giudice che decide come non piace.

La normativa introdotta, inoltre, appare censurabile sotto il profilo dell’art. 97 della Costituzione, in quanto risultano lesi i principi del buon andamento e dell’imparzialità in conseguenza della riduzione delle garanzie di legalità nel momento in cui si prevede che danni, anche rilevanti, conseguenza di condotte ed omissioni gravemente negligenti rispetto agli obblighi di servizio, siano punibili esclusivamente nella remotissima ipotesi del dolo con “volontà dell’evento dannoso”.

D’ora in avanti, i cittadini che si lamentassero di sprechi nelle pubbliche amministrazioni, di beni e forniture inutili o troppo costose, di lavori su immobili eseguiti non a regola d’arte, che richiedono manutenzioni straordinarie a pochi mesi dall’entrata in esercizio, sanno a chi rivolgersi, al Professore Conte, Avvocato non degli italiani ma dei funzionari incapaci e disonesti.