DOLORE E RABBIA

di Giuseppe Borgioli

La tragedia idrogeologica che colpisce l’Italia è sicuramente il risultato dello sconvolgimento dell’equilibrio climatico globale più volte (e molto autorevolmente) denunciato. Per obiettività nel conto dobbiamo anche mettere, e non in fondo alla lista, l’inerzia e la incoscienza degli uomini, della classe politica dirigente di tutti partiti, delle moltitudini dei cittadini scandalizzati che voltano lo sguardo dall’altra parte e non fanno nulla per impedire queste catastrofi ormai non più catalogabili nella emergenza straordinaria. Tutti colpevoli e quindi nessuno responsabile? No, ci sono troppi capitoli di questa ultima catastrofe che chiamano in causa gli amministratori e politici. Da Matera a Venezia c’è un territorio lasciato a stesso dove la sua onerosa conservazione è l’ultima delle preoccupazioni. Qualcuno potrebbe insinuare che quest’Italia non merita il patrimonio artistico e paesaggistico che i nostri padri e la natura ci hanno consegnato. Fiumi che sono diventati discariche a cielo aperto, boschi che con l’abbandono dei contadini si sono trasformati in giungle inestricabili, città storiche che sono lasciate in pasto a traffici di ogni genere. È questo il bel paese? Come siamo giunti a questo punto? Quale diabolica forza si è impossessata delle nostre menti e delle nostre volontà? La risposta è semplice. Il bel paese negli ultimi decenni non è stato più governato, è cresciuto selvatico al punto che oggi non c’è chi sia in grado di ripristinare un minimo di ordine e di armonia. La fuga dalle responsabilità è generale. L’enorme espansione della burocrazia, la bulimia legislativa per cui le leggi si sovrappongono le une alle altre, la diffusione di poteri impeditivi che si ostacolano a vicenda, questo è il quadro dell’anarchia repubblicana che è giunta a maturazione dopo un periodo relativamente lungo di incubazione. Lo scontro dialettico che anima le pseudo discussioni pubbliche è fra onestà e competenza come fossero degli accessori da scartare o preferire. Le opere pubbliche dovrebbero essere affidate a persone oneste e competenti. Altrimenti è la paralisi che conosciamo e sperimentiamo nel nostro tormentato declino. Altro che decrescita felice! Qui ci tocca in sorte la decrescita infelice!  La politica è fatta di un quadro istituzionale che sorregge l’impalcatura dell’amministrazione, della gestione dei territori, del governo del quotidiano. Senza il riferimento istituzionale non c’è più nemmeno la scrupolosa amministrazione, la manutenzione dell’esistente. Tal volta si ha l’impressione di abitare uno di qui palazzi patrizi ben conosciuti dagli amici di Palermo, Napoli, Roma dove dominano gli spazi saloni immensi con lampadari di cristallo. Però questi palazzi sono fatiscenti e si sgretolano sotto gli occhi dei visitatori. Grandi saloni ma pochi impianti igienici che si fatica a trovare in caso di bisogno. Nessuno è in grado di gestirli e i proprietari sono rassegnati a vederli rasi al suolo e sostituiti con uno dei tanti supermercati. L’Italia fra le distruzioni (subite o volute) la svendita.  È il titolo di questo addolorato capitolo. I vecchi monarchici ricorderanno la promessa minacciosa di Pietro Nenni, capo socialista, alla vigilia del referendum “o la repubblica o il caos”. Troppa grazia, onorevole Nenni, li abbiamo avuti entrambi, due al prezzo di uno.