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di Davide Simone

Secondo il politologo, studioso di comunicazione e accademico australiano John Hartley, la rete, e specialmente i social, hanno dato all' "uomo comune" la possibilità di fare satira, di irridere l'establishment e i partiti in modo efficace, secondo prerogative, spazi e margini un tempo riservati ai soli "addetti ai lavori" (vignettisti, comici, ecc)."Silly citizenship", "cittadinanza sciocca", così Harley ha ribattezzato questa nuova frontiera della comunicazione, del rapporto tra cittadino e potere. "Silly Citizenship" che a sua vola si lega all' "irreverent internet" , entra in contatto con il "politainment on line" e si snoda attraverso meme, articoli rielaborati in chiave farsesca, post, fotografie alterate, ecc.Per diversi studiosi, come ad esempio Davis, Killen e Love, il fenomeno è positivo e benefico, in quanto:-gioca una parte importante nella comunicazione politica sui social media-è un veicolo per un discorso politico serio e per una partecipazione politic effettiva-è usato ampiamente per decostruire e dividere, ma ha anche ampie valenze pro-attive-non evidenzia particolari difformità di stile – e di eseguibilità – tra i sostenitori di un partito e quelli della parte oppostaTra le sue incognite c'è tuttavia, a nostro avviso, il cosiddetto "slacktivism", un "attivismo pigro" o "per fannulloni" che si auto-soddisfa con il solo agire on-line (mettere un like, postare un contenuto in bacheca, ecc), evitando la partecipazione sul campo. Il cittadino digitale può dunque alienarsi, scollegarsi dalla realtà della politica vera e propria e della sua stessa comunità sociale.A volte, come nel caso del Covid-19, la "Silly Citizenship" diviene anche una valvola di sfogo, per esorcizzare paure e tensioni individuali ed emotive.

Riferimeni bibliografici:"La politica pop online. I meme e le nuove sfide della comunicazione politica", Mazzoleni-Bracciale)