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UNA SOCIETA’ IN QUARANTENA

di Giuseppe Borgioli

Sono tempi molto tristi ed io sono fra quanti non gioiscono nel vedere le nostre belle città deserte, che prefigurano ciò che potrebbe avvenire. Non tutti la pensano come me. Io rispetto soprattutto in una materia incandescente come questa il parere degli altri che spesso sono illustri ricercatori e uomini di scienza. A dire il vero l’epidemia (pardon la pandemia) ha dato a costoro una insperata e meritata notorietà che tutti si augurano si materializzi coi fondi governativi, europei e del CNR. Il Professor Roberto Burioni, cattedratico di fama, ha scritto e parlato molto. Citiamo una sua frasetta che fa riflettere. “Bisogna evitare i contatti personali. È una sorta di nuova resistenza che dobbiamo fare contro questo tiranno. Ci vuole costanza, ci vuole volontà. È un sacrificio, ma pensiamo a ciò che hanno fatto le altre generazioni.”  Ben detto, il coronavirus sembra aver risvegliato un sano patriottismo nelle abitudini degli Italiani. Anche se la nuova linea del Piave è l’emergenza sanitaria, il confronto con il patriottismo delle passate generazioni ci sembra azzardato. In fin dei conti si tratta di una pandemia che mobilita la scienza medica e la collaborazione generosa dei cittadini. Il fine à quello di un ritorno alla normalità, cioè alla libertà. I sacrifici di oggi avvengono in questo orizzonte di speranza. Non credo che a nessuno faccia piacere vivere in una società in quarantena. Forse in Cina il dilemma non si pone, ma nella sensibilità che avvertiamo in occidente eccome se si pone. E veniamo alla medicina in generale e alla virologia in particolare. Siamo proprio sicuri che la medicina abbia bisogno di un nemico (”il tiranno” rappresentato oggi dal corona virus, ultimo in ordine di tempo) da combattere per progredire? Questa à una concezione “metafisica” della medicina e della patologia. Alcuni, anche uomini di scienza, hanno una concezione umanistica della medicina che non vede la malattia con la M maiuscola ma dà la parola al malato che soffre e che chiede al medico di lenire la sua sofferenza. È il giuramento di Ippocrate: non varcherò la porta della casa di un malato se non per portare lenimento alla sua sofferenza. La medicina del nostro tempo si affida spesso alle campagne multimiliardarie contro questo e contro quello e lascia nelle trincee i soldati dell’assistenza vera ai malati. A questi medici e infermieri di trincea, eroi ignoti di questa pandemia, andrebbe sì elevato un monumento.