IL MARASMA ITALIANO

di Giuseppe Borgioli

Chiamatelo come preferite: sistema paese alla maniera insapore del premier Conte o stato come osiamo scrivere noi.  Nella società globale nessuna economia sopravvive se non è supportata da una autorità prima giuridica poi politica che la tutela, che fissa dei paletti a evitare che il mondo degli affari e dell’industria siano dominati da un marasma generale.  Soprattutto quando i soggetti sono società multinazionali che chiedono di investire e produrre ma nello stesso tempo devono sottostare a leggi e ai contratti stipulati. È il caso della Arcelor Mittal che è venuta a Taranto e che ha chiesto precise garanzie. Fra le garanzie formali c’era il vituperato scudo legale che è un dispositivo abbastanza comprensibile per un complesso industriale che è tenuto a programmare nel tempo interventi di bonifica delle aree e degli impianti industriali. Come tutti sanno questa misura è stata sancita dal governo Gentiloni, cancellata da dai chi è venuto dopo e riconsiderata quando la Arcelor Mittal ha manifestato la volontà di rinunciare all’impegno nell’ex Ilva di Taranto. Queste decisioni e ripensamenti non fanno onore al governo (e a uno Stato) che dovrebbe avere un contegno univoco per dare agli operatori economici italiani e stranieri il senso della stabilità e continuità. La sovranità si percepisce anche dalla continuità dell’azione pubblica. Così con la crisi dell’ex Ilva si porta un ulteriore e drammatico tassello alla desertificazione industriale del Mezzogiorno d’Italia, dove il lavoro già scarseggia e costringe il fior fiore della gioventù di quelle regioni a scegliere fra l’emigrazione intellettuale qualificata, l’avvilente reddito di cittadinanza e l’accettazione passiva delle opportunità che offre la criminalità organizzata. La retorica di cui ci siamo imbevuti del riscatto del Mezzogiorno va a scontrarsi contro questa triste prospettiva. È un altro banco di prova del fallimento della repubblica fondata sul lavoro che lascia sul campo come vittime le aspirazioni dei giovani a costruirsi una esistenza normale. Dopo le promesse disattese di Bagnoli, Taranto rischia di allungare il rosario della sofferenza dei giovani meridionali. E rimane sul tappeto la questione Alitalia che di rinvio in rinvio è giunta ad un punto oltre il quale c’è solo il fallimento commerciale della compagnia aerea di bandiera. E poi?  Cosa altro dobbiamo aspettarci? Il premier Conte ha confessato a Taranto, di fronte a quelle provate popolazioni, di non avere alcuna soluzione. Per la sua sincerità ha ottenuto il plauso della stampa e della televisione- Ma il presidente del consiglio non può permettersi il lusso di non avere idee. Al museo della Reggia di Capodimonte c’è il dipinto di Bruegel conosciuto e ammirato come la cordata dei ciechi. Cosa accade se una cordata di ciechi adotta un altro cieco come guida. Se inciampa il primo, inciampano e cadono anche gli altri. È il marasma. Nessuno ha il coraggio di ammettere che il bilancio economico relativo agli ultimi decenni di crisi lampante delle istituzioni è pari al disastro di una guerra perduta. C’è pero una differenza di qualità con il passato. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale era viva nella società una riserva di valori morali (il lascito della Monarchia?) che forniva la spinta per risorgere. In questi giorni, in contemporanea con le notizie da Taranto. la televisione pubblica ha messo in onda uno sceneggiato che celebra la vicenda di Enrico Piaggio, l’imprenditore che inventò la Vespa. Piaggio aveva la sua vecchia fabbrica di Pontedera con il brevetto dei motori di avviamento degli aerei. Da buon genio italiano un po’ visionario vide, come in un sogno, che quei motori potevano prefigurare un nuovo mezzo di locomozione. E fu il miracolo (anche tecnologico) della Vespa. Abbiamo bisogno di visionari che vedano cosa può prendere forma oltre questo sistema politico e economico decrepito e fallimentare. Dobbiamo sognare il futuro.