UN SOGNO

di Giuseppe Borgioli

Ho fatto un sogno. Forse sotto l’influenza dei titoli del telegiornale che non danno tregua, forse sotto il peso di una cena Toscana. Ho sognato il presidente della repubblica Sergio Mattarella, si proprio lui con un’aria insolitamente vivace, sembrava reduce da una cura di gerovital. Sembrava un altro. Finalmente, dopo ripensamenti e consultazioni, era giunto ad una sofferta decisione. Ogni mese che passa, ogni giorno che passa, ogni ora che passa, ci ritroviamo con un secolo di ritardo sulle spalle, è un fardello oneroso che non può incupire anche una persona solare come Sergio Mattarella. Ci saranno a settembre le elezioni di mezzo termine, le elezioni regionali accompagnate da discussioni infinite. Altro tempo che se va. È pur vero che i risultati delle i regioni riequilibreranno il numero dei componenti del collegio elettorale che voterà per il presidente della repubblica nei primi mesi del 2020. Ancora un rinvio. Un tempo si diceva il governo sta in piedi a forza di sedute. Il presidente che ho sognato io prendeva il toro per le corna. L’emergenza politica economica non consente passi di minuetto. Il presidente abbandonava le alchimie dei partiti e usava la sua influenza per far ragionare un recalcitrante e temporeggiatore presidente del consiglio. Il tempo è scaduto. Andando indietro coi sogni, non fu così per un giovane presidente del consiglio sbucato quasi dal nulla che si chiamava Camillo Benso, conte di Cavour. L’Italia, chiedo scusa il Regno di Sardegna, non era meno malandato di oggi. Una guerra perduta contro l’impero asburgico, contro un Metternich intenzionato a far pagare a questo piccolo regno quello che aveva osato. Il debito pubblico era alle stelle moltiplicato dai danni e dai risarcimenti della guerra perduta. Le condizioni della resa particolarmente gravi, tanto che il Parlamento Subalpino si rifiutava di firmare. Ci volle tutto il coraggio e la lungimiranza di quel giovane Re, Vittorio Emanuele II, che non per nulla fu ricordato come il Padre della Patria. Quel Re si fece forte della Sue prerogative, come si dice oggi ci mise la faccia cioè, ci mise la Dinastia. Altro che giochi furbeschi fra le consorterie dei partiti nuovi e vecchi. Il Parlamento poteva ben dirsi Parlamento con la P maiuscola.  Grazie a noi non esistevano ancora le consultazioni on line e votò il Trattato, come chiedeva il Re.  Furono mesi e anni difficili, ma quel giovane Re non rinnegò lo Statuto Albertino e 12 anni dopo veniva proclamato il Regno d’Italia. La Dinastia e l’onore erano state le stelle polari che orientarono la Sua azione. Questa semplice rivisitazione sotto forma di sogno vuol insegnare che nulla è impossibile quando ci si richiama ai valori parte del nostro vissuto. Il sogno è svanito presto e noi ci siano ritrovati con i nostri eroi del tempo ordinario (si fa per dire).  Ci ha risvegliati il presidente del consiglio Conte che ha solo parte del nome in comune con il Conte Camillo Benso di Cavour.