Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, un patriota

di Giuseppe Borgioli

In questi giorni ricorreva l’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine dove trovò la morte fra gli altri Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, Comandante del Fonte Militare Clandestino che nella Roma occupata rappresentava la parola del Re. Medaglia al valore alla memoria, il suo nome ha subito un’operazione di silenzio quasi che il suo ricordo desse fastidio al nuovo regime repubblicano. La menzione doverosa e frettolosa nelle celebrazioni delle Fosse Ardeatine che si sono susseguite negli anni, e niente più. Intanto il sacrificio dell’Ufficiale piemontese avrebbe indotto a spiegare che cosa ci faceva nella Roma occupata e il ruolo da Lui ricoperto nella resistenza patriottica come rappresentante legittimo del governo del Re.  Come è stato messo a tacere il contributo di sangue e di coraggio del Ricostituito Esercito Italiano raccolto in una straordinaria e puntuale documentazione da Gabrio Lombardi uno dei protagonisti di quelle giornate. Tutto è stato sepolto dalla retorica resistenziale che mirava a enfatizzare sottolineare la parte avuta dal partito comunista (e azionista): i Savoia, cioè lo Stato legittimo, andavano screditati per cancellarli dalla memoria degli Italiani. Da qui il tentativo di sottacere ed espungere dalla storia quei capitoli che costituiscono l’identità di un intero popolo. Noi stessi monarchici abbiamo spesso citato Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo per dire che nella resistenza c’eravamo anche noi, che non era solo un affare delle bande comuniste e delle formazioni azioniste. C’eravamo anche noi con le tradizioni, con il nostro patrimonio morale e militare. Sotto questa luce c’è qualcosa che non va. Quel “anche noi” non rende giustizia della verità storica.  È troppo riduttivo.  C’eravamo noi, soprattutto noi a garantire il carattere nazionale e patriottico della resistenza. Giacomo Noventa, un pensatore solitario, aveva chiarito questo aspetto. Dobbiamo distinguere resistenza e antifascismo. L’antifascismo fu per quei pochi che lo professarono un tributo alla coerenza che va ammirato. L’adesione alla resistenza per il giuramento di fedeltà al Re fu un’altra cosa. Fu prima di tutto una scelta in qualche caso drammatica, sempre difficile. L’intruppamento nella repubblica sociale rispondeva di più ad un bisogno di coerenza formale verso il dittatore (Mussolini), verso un’alleanza (italo-tedesca). Obbedienza e fedeltà non sono sinonimi. I fascisti avevano il motto credere, obbedire, combattere. Se si è fedeli al Re si è ad una Dinastia ad una storia. La scelta dell’otto settembre 1943 fu questa, la scelta per una Dinastia e uno stato che garantiva al di sopra di tutto e di tutti l’unita della nazione. Non si può dire lo stesso delle bande e formazioni partigiane che avevano tutte delle bandiere ideologiche da sventolare, dei programmi politici da lanciare a guerra finita per conquistare il potere. L’attentato di Via Rasella a 33 militi per altri di origine altoatesina, da cui prese il via la rappresaglia della Fosse Ardeatine, fu progettato e attuato dal partito comunista romano. Fu un’azione criminale, senza ma e senza se che costò la vita a 330 persone. Non c’era in gioco un obiettivo militare o strategico. Solo una lotta di potere per la supremazia fra i gruppi partigiani romani. È per questo che Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo rifiutava la qualifica di partigiano, si riteneva e lo era un patriota.