di Gaspare Battistuzzo Cremonini

Il cerusico Azzolina non può guarire la ‘supplentite’

 

Operazione riuscita, paziente morto. Uno dei guai tipici della politica, e nella fattispecie della politica italiana, è che al roboante proclama ministeriale per solito corrisponde un deludente incontro con la realtà dei fatti: quattro mesi di quarantena da Covid-19 hanno convinto studenti, docenti e famiglie che la tanto sbandierata DAD (Didattica a Distanza) non è altro che un mero palliativo utile a farci dimenticare che nel nostro paese non vi sono strutture scolastiche adeguate a poter riprendere la loro funzione senza mettere in pericolo personale e allievi.

Il ministro Lucia Azzolina, che siede, val la pena di ricordarlo, sulla poltrona che fu di Francesco De Sanctis, sommo critico letterario dell’ottocento, è al centro delle polemiche però per ben altro: un giorno dice di aver risolto la supplentite - ossia l’atavico problema della scuola italiana che tira a campare con supplenti mal pagati invece di metterli in regola formando una vera classe docente, - e quello dopo sostiene di non poter fare di più che assumere 1/6 del personale che da anni è in attesa di essere regolarizzato. Salvo poi, il giorno dopo, ribadire che risolverà il problema a breve. Per poi dichiarare di non farcela il giorno di poi.

Sarebbe tuttavia poco gentleman-like, poco cavalleresco, cari amici, imputare a Lucia Azzolina tutti i mali della scuola italiana: già da sola è riuscita a fare così tanta confusione che attribuirgliene altra sembrerebbe voler sparare sulla Croce Rossa. In effetti, ad essere onesti, il problema viene da lontano.

Allo stato attuale delle cose, in Italia vi sono perlomeno 150.000 insegnanti precari, regolarmente iscritti in graduatoria e pertanto già dipendenti dello Stato, che aspirerebbero ad essere regolarizzati. Il vero ostacolo, facendola breve, è l’articolo 97 della Costituzione che prevede che agli impieghi di Pubblica Amministrazione si acceda soltanto mediante concorso.

Ciò significa che al momento i Vostri figli stanno facendo lezione con personale che è dipendente pubblico ma non è di ruolo, ossia non gli viene riconosciuta la piena qualifica di impiegato della Pubblica Amministrazione, perlomeno per quanto attiene alla sfera reddituale e del mero contratto di lavoro (per il resto, ogni docente in servizio è Pubblico Ufficiale e gode dei medesimi diritti dei colleghi di ruolo): spesso, si tratta di docenti che insegnano da anni e per anni restano supplenti.

La cosiddetta supplentite (termine che il ministro Azzolina usa spesso) impone pertanto di scegliere cosa voler fare di questi docenti a metà: se da un lato la Comunità Europea ha rilevato più volte l’irregolarità della situazione, rimane lo scoglio del concorso pubblico che per sua natura, dovendo selezionare, non metterà mai in regola tutti gli insegnanti che però già insegnano per contro regolarmente.

C’è peraltro di più. Il ministro Valeria Fedeli (PD) aveva provato ad aggirare l’ostacolo con quel favoloso istituto giuridico tutto italico ed azzeccagarbugliesco che era il concorso non selettivo, una cosa al cui confronto le convergenze parallele di Moro sembrano retorica per bambini: il docente sostiene la prova e passa anche se non la passa. E’ un concorso ma non è selettivo.

Il ministro Bussetti (Lega), più realista ed ecumenico, aveva proposto una soluzione tanto ovvia quanto semplice: un concorso per soli titoli, accademici e di servizio, per regolarizzare finalmente 150.000 docenti visibili solo da settembre a giugno. Però all’epoca ci si concentrò nel dare addosso al Bussetti tacciandolo di fascismo – pensa che originalità, - per aver proposto la reintroduzione della divisa scolastica al posto delle canotte dell’ NBA o delle minigonne adamitiche.

Il vero punto tuttavia è un altro. Siamo di fronte all’ennesima arma di distrazione di massa perché ove si volesse davvero regolarizzare questi precari, lo si potrebbe fare con estrema facilità utilizzando il piano Bussetti (ossia il famoso PAS annuale): il tema è piuttosto monetario che non ideologico.

Regolarizzare i precari vuol dire che lo Stato, di colpo, dovrebbe corrispondere 150.000 stipendi anche per i mesi estivi, mesi in cui il precario tipo entra invece in Disoccupazione e ricade sotto la protezione dell’INPS. In ultima analisi, vorrebbe anche dire che i vari atenei della penisola vedrebbero sfumare milioni di euro di compensi per i corsi di Psicologia, Pedagogia e Formazione (i famosi 24 CFU) che il candidato al Concorso Scuola deve ottenere come requisito propedeutico all’ammissione alla prova.

Insomma, lo diceva anche Giovanni Falcone: se vuoi sciogliere il mistero, segui il denaro. Il cerusico Azzolina la supplentite non la può guarire, troppi sono gli interessi che la rendono uno stato sfortunatamente fisiologico del sistema scolastico italiano.