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Debbo alla cortese sollecitudine di Alessandro ( Sacchi n.d.r.) se per la prima volta sono indotto a riflettere sulle ragioni personali della mia lontana adesione all’ UMI e sulle prospettive che intravedo. E’ un ‘operazione che parte da un’analisi del presente e che affronta, in tutta umilta’, il futuro di una scelta che ritengo oggi piu’ valida di ieri.

Sono  quasi 44 anni che sono iscritto all’UMI e va da se’ che qui ho incontrato nel tempo una comunita’ di amicizia e di affetti che mi ha fatto sentire meno solo e mi ha radicato nelle mie giovanili convinzioni.

 Non sono nato monarchico nel senso che  sono cresciuto e educato in un ambiente familiare e sociale ostile al Re. Per giunta, non sono un sentimentale di carattere e ho sempre cercato di dare un fondamento razionale (non razionalistico) alle mie scelte politiche.

Il primo campanello di allarme che suono’ per la mia generazione  furono gli scritti pubblicati da  Giuseppe Maranini  su La Nazione di Firenze e Il Corriere della sera nei quali additava con chiarezza  il peccato originale della neonata repubblica, la partitocrazia. Quella che fu chiamata prima repubblica (  forse sarebbe piu’  appropriato indicare come il primo tempo della repubblica) era corrosa in ogni sua manifestazione dal tarlo dello strapotere dei partiti. La condizione internazionale della guerra fredda e l’incombente pericolo del comunismo in Italia  tendeva a mettere il silenziatore su questo morbo che si manifestera’ in tutta la sua virulenza piu’ avanti con il passaggio al secondo tempo della repubblica  e con lo scempio che e’ davanti agli occhi di tutti.

Bisognava trovare allora  il coraggio intellettuale e morale di affondare  il bisturi nella piaga. La partitocrazia era  stata tenuta  a battesimo dal patto del CLN che consacrava il potere dei partiti senza alcuna remora istituzionale.

I nomi dei partiti sono cambiati, sono stata adottati sistemi elettorali diversi, si sono avvicendate classi politiche di destra e di sinistra ma senza risultati apprezzabili.

Il paese si e’ a mala pena accorto della tanto invocata  alternanza.

E’ in crisi il meccanismo della rappresentanza che ha consegnato il paese ad una oligarchia di inamovibili e ci regalera’  a breve un parlamento di nominati.

Manca un arbitro con la “ a” maiuscola  che tuteli  i valori della cittadinanza e della nazione. Manca un Re.

Il Re  prima che un’istituzione al pari delle altre,  e’ un principio che modella le istituzioni. Un Re ha il limite dell’esercizio del potere in se stesso, nella sua storia, nel suo essere al di sopra delle parti e degli interessi economici.

In un mondo globalizzato, sempre piu’ omologato e appiattito, di questa figura   sentiamo la mancanza. Non discutiamo la qualita’ degli uomini, ne’ il loro valore e il loro coraggio. E’ il ruolo delle istituzioni che puo’ ridare un senso al nostro stare insieme. La famiglia e’ il padre e oggi ci sentiamo tutti, sia a destra che a sinistra,   un po’ orfani. 

La mia generazione  coetanea della repubblica ha assistito allo sfascio delle istituzioni  e dei valori.

Tutto ha acquisito il sapore del provvisorio e dell’immediato. Ora si guarda alla scadenza delle elezioni politiche fra qualche mese ma senza il gusto delle scelte da compiere. Sara’ un voto di rabbia o di paura, o l’accettazione del meno peggio.

La repubblica (sia detto con tutto rispetto) ci ha abituati all’arredemento usa e getta dell’Ikea. La monarchia e’ anche la nostalgia interiore dei mobili che duravano per la vita.  

Giuseppe Borgioli